
Premessa
Le Foche parlanti, come altri gruppi nati in questi stessi anni, appartengono a una nuova generazione di poeti e artisti. Molto spesso sono, come in questo caso, gruppi femminili o con una forte presenza femminile. Nel caso specifico, le Foche operano in ambito milanese, ma la loro attività non è certo circoscritta a questo ambito. La seconda caratteristica del gruppo come di altri è la scelta di proporre le serate in librerie che sono al tempo stesso bar, bistrot e luoghi di conversazione assai piacevoli. I caffè letterari non sono naturalmente una novità, ma la differenza con esperienze storiche milanesi ben note, è che molti di essi si trovano in zone periferiche e non solo nel centro della città e tendono ad avere un rapporto con i loro quartieri; ma in fondo, per come è fatta Milano, anche quei locali che si trovano in zone centrali, sono frequentati da chi vive nelle vicinanze. A parte locali di lunga durata come la Scighera o Mamuska in zona Bovisa, altri sono molto recenti. Ne indico alcuni: Lapsus in via Meda, Gogol&Company, in fondo a via Savona, che unisce una libreria fornitissima e cibo e birre di qualità, alla recente, Open Milano di Viale Montenero, Volume di via Porro Lambertenghi. Il Ciq di via Fabio Massimo in zona Corvetto Porto di mare, Anares via Pietro Crespi, zona via Padova via dei Transiti, dove il mese di dicembre scorso si è tenuta una serata di Vocale, presentata da Elisa Longo, Ecate via Pomponazzi, Long song Books in via Stoppani, I Baffi via Lepontina, LibrOsteria. Proprio in quest’ultima, situata in via Cesare Cesariano, si tengono molte delle iniziative del gruppo.
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Franco: Come vi siete conosciute e come è nata la scelta del nome del gruppo?
Francesca: Le Foche Parlanti Poetry Club nascono nel 2016 a Milano con lo scopo di fare e diffondere la poesia e l’arte. All’epoca non sapevamo ancora di preciso che forma avrebbe preso questo intento: nel tempo si è sviluppato poi attraverso eventi e performance. Alice e Francesca si conoscevano già dal liceo; l’incontro con Acelya, che ha sancito l’inizio di una magia, è avvenuto a un poetry slam all’Ostello Bello. Dai primi eventi al Manatì – un locale in Conca del Naviglio che ormai non esiste più, purtroppo – non ci siamo più fermate. Il Manatì era un locale piccino, una tana perfetta per cominciare a sperimentare. Il nome del gruppo proviene dalla Foca-donna: nella mitologia nordica simboleggia forza, emancipazione, libertà: ci siamo ispirate a questa figura perché desideravamo creare uno spazio che accolga e che lasci le persone libere di esprimersi, sempre nel pieno rispetto altrui. La capacità di parlare, in questo senso, vuole essere un invito a non spegnere la propria voce, ma a cercarla, a interrogarsi continuamente.
Alice: Ciò che ricordo in modo più vivido di quel periodo era l’urgenza di iniziare a condividere una ricerca, sensibile e critica, che scavasse in parallelo nelle nostre singole vite e portasse alla luce qualcosa di più forte insieme. Come in tutte le architetture abbiamo cercato l’equilibrio attraverso un costante confronto e fiducia reciproca. Avevamo inoltre bisogno di uno spazio aperto, autonomo ed orizzontale dove potersi esprimere come donne, sorelle ed essere libere di ascoltare, accogliere senza pregiudizi. Da qui, la soluzione del collettivo.
Açelya: Ho incontrato per prima Alice, come ha raccontato Francesca a un poetry slam, l’unico che abbia mai fatto. Da lì ci hanno invitate Mariella Musso e Piero Tanca a creare un evento. Cercavo di crearmi uno spazio immaginato, oltre quello che mi dava Milano, e diverso dal poetry slam. Allora parlando con un amico mi ha chiesto di proporre un evento per il locale Manatì dove lui aveva qualche conoscenza. Manatì viene dal lamantino, allora ho pensato allo spazio che volevo creare, quindi è nato il nome Le Foche Parlanti Poetry Club, dalla tradizione delle selkie nordiche. Ho pensato subito ad Alice, che poi mi ha presentato Francesca, e così è iniziato il viaggio!
Franco: Vi ho incontrate per la prima volta alla Libreria Verso e ho subito pensato che mi trovavo nel mezzo di una generazione nuova di poeti, non solo per una evidente ragione di età, ma per il modo di porsi. Oltretutto, il locale accanto alla libreria, il caffè Portnoy, negli anni ’80 e ’90 è stato uno dei luoghi privilegiati per la presentazione di libri e le letture di poesia e il confronto per me era inevitabile: quelle presentazioni non erano diverse da quelle che si tenevano nelle librerie. Ecco: vi siete poste il problema di come rinnovare una certa tradizione precedente nel porgere la poesia a un pubblico, oppure siete arrivate spontaneamente a soluzioni diverse senza pensarci troppo?
Francesca: Penso che, per la spontaneità con cui abbiamo iniziato a organizzare eventi e a performare insieme, proporre la poesia a modo nostro sia stato un processo naturale. Abbiamo cominciato cercando innanzitutto di impostare un approccio verso l’altro che non fosse escludente, come ci sembrava che fossero certi eventi e certi spazi. Questo, col tempo, ci ha portate a riflettere su cosa stavamo facendo e sul come lo stavamo facendo e la risposta che ci siamo date è stata che non ce la stavamo cavando affatto male: il riscontro delle persone che abbiamo incontrato in questi anni è stato entusiasta e affettuoso, il che, penso, riflette come ci siamo sempre poste verso il pubblico – che pubblico in senso stretto non è mai né lo è mai stato, visto che ci rivolgiamo alle persone in un modo partecipativo.
Alice: Aggiungo che erano anni in cui a Milano stava mormorando un sottobosco di realtà costituite da persone assetate di ricerca poetica con le quali ci siamo messe in relazione. Dall’ibridazione delle nostre pratiche si è sviluppato ciò che abbiamo manifestato. Cambiano le tecniche e le tecnologie, ma le radici a cui tendiamo e in cui siamo immerse sono sempre le medesime; cerchiamo di rinnovare la nostra curiosità, non la tradizione.
Açelya: Sì, l’ispirazione è venuta dai locali di New York dove la poesia era performata o letta dagli anni ‘50. In particolare il Café Cino. Immaginavo un luogo dove una Patti Smith italiana potesse cominciare a calcare la scena poetica. Nella mia testa l’intenzione era precisa, non credevo però che ci saremmo riuscite così bene e cresciute negli anni!
Franco: Vi considerate più delle poete o delle performers?
Francesca: Rispondo con una domanda: scrivere e assistere a se stessi nell’atto di scrivere non è già una performance?
Alice: Personalmente, cerco di non circoscrivermi in definizioni. Il nome del nostro collettivo è già di per sé una significanza. Ed in essa si intravede tutta l’intenzione autoironica e liberatoria della nostra voc-azione.
Açelya: Io sono tante cose, come le altre foche. Scrivo prosa, poesia, provo con la musica, il ritmo. Chi lo sa.
Franco: Sono andato a rileggermi le vostre newsletter per questa intervista. Ne scelgo un paio: Le Isola-te Un’isola tutta per sé: è un titolo/sintesi molto efficace e dalle molte suggestioni che si amplificano ancor più se vado a una serata precedente dove le Isola-te diventano, Le Jeanne d’Arc, Le Voci, Le Mistiche, Le Isola-te della Storia, Le Streghe dei Roghi che continuano a bruciare .Questa associazione è molto interessante e mi piacerebbe che diceste qualcosa di più nel merito.
Francesca: Scegliamo sempre dei temi che abbiano un’attinenza con quello che viviamo nelle nostre vite. La scelta del tema diventa un’occasione per approfondire un momento che stiamo affrontando o un pensiero che abbiamo fatto. Le isola-te, in questo caso, volevano portare alla riflessione sia sulla condizione femminile di grandi donne coraggiose punite per la loro voce sia sul processo creativo, che richiede un raccoglimento.
Alice: Sì, sottoscrivo le parole delle altre foche e aggiungo che in una prassi come la nostra abbiamo a cuore l’invisibile, ma anche la crudezza di una realtà dove le discrepanze e le relazioni di potere ci mettono in una posizione di responsabilità, alla quale rispondiamo con (in)disciplinate letture ed incessanti esercizi di scrittura.
Açelya: I temi sono riflessioni e modi di coinvolgere il pubblico anche a livello culturale.
Franco: Siete un gruppo di donne, tuttavia a me sembra che per voi questo dato di fatto non sia vissuto come momento separato, visto che alle vostre serate invitate anche poeti uomini; ma non solo per quello. Cosa ne pensate di un’espressione che sempre negli anni ’80 e ’90 era spesso usata: poesia al femminile. Ricordo per esempio rassegne come donne in poesia di Maria Pia Quintavalla a Milano e Bianca Maria Frabotta a Roma. Vi sentite in qualche modo un po’ figlie di quella storia oppure no?
Francesca: Penso che purtroppo ancora oggi si debba parlare di poesia al femminile, come per tante aree dell’arte, perché si fa ancora fatica a prendere la produzione artistica femminile tanto seriamente quanto quella maschile. Questo è uno dei motivi che ha fatto nascere questo gruppo, per esempio: volevamo (ri)dare dignità alla voce femminile e scardinarla da un’impronta maschile, che, nella nostra esperienza, a volte ha portato a una ghettizzazione e derisione delle donne nell’ambito artistico. Abbiamo un approccio inclusivo proprio perché non vogliamo far sentire le persone come ci siamo sentite noi nel nostro percorso di crescita artistica.
Alice: Sì, è capitato sovente di sentirmi dire: ‘scrivi come un maschio’… cosa significa? Perché nel duemilaventicinque c’è ancora chi si ostina a costruire gabbie lessicali ed etiche invalidanti, per di più nei confronti di operazioni così genuine e marginali come frequentare e praticare la parola poetica? La forza del nostro progetto sta proprio in questo, nel riconoscere l’universalità di un linguaggio e nel suo ‘rumore bianco’, destrutturarlo e lasciarlo germogliare .
Açelya: Sinceramente, lo trovo riduttivo. La spoken word più famosa appartiene a donne, come Laurie Anderson, e Patti Smith. Poete donne all’estero sono molto riconosciute da anni, anzi da mezzo secolo fa come Anne Sexton, Sylvia Plath, Mary Oliver, Maya Angelou, Jo Harpo e le recenti, Amanda Gordman, Rupi Kaur. Non vedo questa appropriazione e lo trovo anacronistico e inesatto. In Italia abbiamo Chandra Livia Candiani, Patrizia Cavalli, Silvia Bré. Credo che i tempi di Ungaretti e Foscolo siano ben lontani.
Franco: Avete dedicato una serata alla poesia dadaista e in quel contesto leggo un nome: Patrizia Vicinelli. Lei è stata importante sia come esponente radicale dell’avanguardia, oltre la stessa appartenenza al gruppo ’63. Cosa significa per voi la sua esperienza e più ingenerale quella della neoavanguardia?
Alice: Per quanto riguarda la mia personale esperienza, la neoavanguardia e il gruppo 63 hanno esercitato ed esercitano tuttora un forte fascino sulla mia pratica non solo verbale, ma anche visuale, sonora ed esistenziale. Ho avuto la fortuna in questi anni di essere guidata da amici poeti, tra i quali cito Dario Bertini, alla conoscenza di questa dimensione, che poi ho cercato visceralmente di rendere il più decifrabile e decodificabile possibile. Tuttavia, il punto della neoavanguardia era quello di totalizzare un’esistenza all’aderenza di una scelta artistica radicale, noi oggi ne siamo la virgola e di totalizzante cerchiamo solo l’abilità di imparare a respirare e la consapevolezza di farci largo oltre la ‘domanda della sete’. Come scrive Patrizia Vicinelli in Non sempre ricordano, p.245: ‘Sono stanca di raccontare/ a tutti/ la mia storia/ Perché non la capiscono,/ la mia storia/ non credono sia mia/ E finirò col credere/ che la mia storia/ è un’altra.’
Franco: Un’altra delle vostre serate era intitolata Sconfinare Uscire dai limiti proposti Border Crossing e questa frase in particolare mi ha colpito: “La poesia è un linguaggio senza bordi. O semplicemente si nasce così, sconfinati, e non può essere imitato né cambiato. Si nasce liberi e senza paura dell’ignoto“. Ma nasciamo davvero liberi?
Francesca: Credo che nasciamo con delle potenzialità, sia in termini di inclinazioni personali che di offerta che il proprio contesto può dare. I limiti dati dal contesto si imparano crescendo, ma, crescendo, si impara anche a essere liberi all’interno del perimetro in cui si vive: liberi di prendere delle decisioni difficili, ad esempio. Fare arte, oggi, è una scelta difficile se il proprio contesto non offre una strada di facile percorrenza. L’importante, credo, è sentirsi liberi dentro questa scelta.
Alice: Concordo in toto con le altre foche, siamo soglie.
Açelya: Credo di averla scritta io come incipit a una newsletter e non a una serata. Si nasce liberi perché è l’inizio di mille opzioni e possibilità. La propulsione a esistere dal nulla è un atto di liberazione dal non esistere.
Franco: Vedendo quello che avete fatto e prodotto in poco tempo, mi colpisce la molteplicità delle vostre proposte: non temete un eccesso di eclettismo?
Francesca: In realtà, il sottotesto a tutto ciò che proponiamo, in termini artistici, è sempre la libertà di espressione. Ci piace usare la parola contaminazione per esprimere quello che facciamo: contaminiamo spazi e arti con la libertà che sentiamo e che cerchiamo, sempre con l’idea di creare qualcosa di bello, godibile, a disposizione degli altri e che ci renda fiere di ciò che facciamo.
Alice: Se per eclettismo intendiamo versatilità, apertura e dedizione, non temiamo alcun eccesso. Scegliamo con attenzione e professionalità gli spazi ove operare e gettiamo il cuore oltre l’ostacolo. Mi viene in mente un’affermazione di Jerzy Grotowski : ‘Non voglio scoprire qualcosa di nuovo, ma qualcosa di dimenticato’. Forse è questo l’ingrediente segreto…
Açelya: Non mi piace né la parola eccesso, né l’eclettismo. Appunto siamo libere di esplorare e fare quello che ci viene e ci pare, se no che artiste saremmo?
Franco: Cosa avete in cantiere per il prossimo futuro?
Francesca: Ci piacerebbe costituirci come associazione, per formalizzare quello che abbiamo costruito in nove anni di lavoro. Per tutto il resto, invitiamo a seguirci sui nostri canali Instagram individuali (@fffralenuvole – @poetryandthecity – @labisorforosa) e a iscriversi alla nostra newsletter: mandateci una mail a lefocheparlanti@gmail.com!
Açelya: Il nostro progetto cresce e sta diventando una realtà che viene imitata da altri. Noi lavoriamo sempre verso l’avanti e immaginiamo cosa sarà la nostra prossima avventura. E ci saranno delle sorprese in arrivo!
Alice: Do not miss the seals! (cit. Francesca) [ride]

Brave Foche Parlanti. Abbiamo davvero bisogno di una diffusione capillare in città di iniziative del genere. Che altro modo c’è se non sfuggire dalle perimetrie ridondanti delle vecchie rivistine, dei vecchi salottini? Poesia, arti, musica, fotografia e quant’altro mixato vs AI!