«Si è sempre detto quando cadrà Roma cadrà il mondo. La stessa cosa vale per l’America, se cadesse o finisse nelle mani di qualche stupido dittatore, quali ripercussioni potrebbero esserci?» Francis Ford Coppola
Dopo avere seguito in diretta, lo spoglio dei voti delle elezioni presidenziali negli Usa, ho pensato che Coppola, con Megalopolis, ha proprio scelto il momento giusto per lasciarci il suo testamento spirituale, corredato da un sottotitolo – una favola di Francis Ford Coppola – niente affatto casuale. Un aspetto favolistico è sempre presente nel cinema di Coppola, che lo mutua da Frank Capra e ci mette del suo declinandolo nel senso di un omaggio all’American dream, sempre presente nei suoi film e ne cito un altro per tutti: Tucker. Coppola non ha mai nascosto di credere nel sogno americano democratico, con tutte le ingenuità del caso, eppure la mia impressione è che in quest’ultimo film il finale favolistico suoni solo come necessità di ribadire il cliché perché una favola deve avere un lieto fine, ma senza più crederci, tanto che certe colorazioni e l’ambientazione stessa di Megalopolis hanno persino delle assonanza con le colorazioni di Barbie.
In Megalopolis, un altro motivo originale e per niente scontato, se si pensa ai suoi film precedenti, è proprio la sovrapposizione fra la Roma di Catilina e la società statunitense contemporanea, una sovrapposizione sfrangiata e a tratti persino strampalata, ma che sta dentro l’immaginario di una buona parte dell’establishment statunitense. Noti consiglieri di stato come Edward Luttwak, per esempio hanno dedicato studi approfonditi sull’impero nel tentativo di capire se gli Usa finiranno nello stesso modo. Coppola affronta questa tematica da par suo, anche nel senso dell’esagerazione e di una qualche approssimazione. Non è chiaro perché scelga proprio la Roma repubblicana di Catilina, visto che gli Usa attuali sono a tutti gli effetti un impero. Quanto alla radicalità eventuale delle riforme che Catilina cercò di introdurre, va pure detto che il momento più aureo di tali riforme furono i Gracchi mentre quello che venne dopo era molto edulcorato. Rimangono però due punti a favore delle scelte compiute dal regista: il tentativo di Catilina di liberarsi del senato e dei veti incrociati, che certamente riguardano anche gli Usa attuali, e poi il debito. Queste due questioni corrispondono a mio giudizio anche a due momenti particolarmente comici del film. Il primo, quando Franklin Cicero pronuncia durante un comizio la famosa invettiva Fino a quando Catilina …: il corto circuito fra l’immagine dell’uomo di colore in divisa da sindaco statunitense e le parole celeberrime di Cicerone hanno un effetto dirompente. Il secondo momento, quasi alla fine del film quando Cesar Catilina, dalle fattezze di un Obama bianco, dopo avere fatto un accordo con Hamilton Crasso che gli permette di finanziare il suo progetto di Magalopolis, urla dal palco Abbattere il debito. Anche in questo caso l’effetto comico è dato a mio avviso da due particolari: il primo è che la battuta appare del tutto estemporanea, senza un prima e un dopo. Non c’è un nesso del tutto chiaro fra le parole che precedono lo slogan e quanto avviene dopo. L’effetto comico sta nella incongruenza dello slogan medesimo: siamo oltre la demagogia, ma è proprio questa oltranza a essere a mio avviso decisiva. L’aspetto comico sta in evidenza alla superficie, ma nominando il debito Cesar Catilina e Coppola con lui nel suo modo un po’ stralunato, nominano eccome la sostanza del problema! Il dollaro, moneta internazionale dalla fine degli accordi Bretton Woods – 15 agosto 1971 – garantito solo dalle armi imperiali, è una delle ragioni della crescita esponenziale del debito statunitense, che tutto il resto del mondo paga. Se dunque da un lato il grido di Cesar Catilina non ha alcun senso se si guarda alla sua fattibilità in quanto scelta imperiale, esso si pone nel solco di una strampalata visionarietà, che è poi la cifra dell’intero film. Perché in fin dei conti, a livello mondiale, i tentativi di porre fine alla sovranità del dollaro esistono eccome! Basta leggere i pochi interventi seri comparsi sulla stampa occidentale sul recente convengo dei Brics a Mosca per rendersene conto: suggerisco a questo proposito quanto scritto da Aletta su Milano Finanza.
Il finale del film chiude a mio avviso il cerchio. La sua cifra più favolistica sta in un particolare che lo percorre dall’inizio alla fine. La voce misteriosa che all’inizio salva Cesar Catilina dal suicidio intimandogli di fermarsi, diviene nel prosieguo il tempo stesso che può essere fermato da lui e da Julia, la protagonista femminile più importante del film. In ogni momento e nei passaggi più drammatici è la sola a mantenere la capacità di stare nel processo degli eventi senza subirli, molto più di Cesar Catilina stesso, che l’alcol e la propria instabilità emotiva mettono spesso fuori gioco. L’espediente di fermare il tempo, del tutto interno al cliché favolistico, assume allora un valore ben più profondo. Per ben tre volte il tempo si ferma e allora l’espediente risuona anche in un altro modo: è un avvertimento che può salvare la repubblica solo se lo si ascolta veramente. Julia e Cesar Catilina ci riescono ma intorno a loro c’è il vuoto, la campana continua a suonare ma nessuno la sente più. Alla fine però l’amore vince di nuovo, i due hanno una figlia dal nome impegnativo: Sunny Hope – Speranza radiosa. Se il grido Abbattere il debito risuona un po’ come quello del bambino della favola che smaschera la nudità del re, Sunny Hope, una bambina, è la flebile speranza di un futuro incerto perché lei, a differenza di Julia e Cesar Catilina non avrà più la facoltà di fermare il tempo: la favola è finita.