MICHELE ARCANGELO FIRINU: IL PIEDE SULLA LUNA

Premessa

Il titolo è importante per un libro, ma non sempre succede, come in questo caso, di interrogarsi sulle ragioni della scelta. Luna è una parola molto connotata per il linguaggio poetico, ma l’omaggio che Firinu intende rivolgere alla nostra compagna di viaggio non ha nulla a che vedere con il poetese; peraltro, il piede cui allude il titolo non è quello imperiale di Neil Armstrong, come si può intuire leggendo il testo eponimo a pagina 65. Bisogna dunque pensare ad altro e la prima associazione che mi è balzata alla mente è che il nostro satellite è il luogo dove Ariosto aveva spedito in un’ampolla tutta la saggezza, introvabile sul nostro pianeta e che il povero Astolfo va a cercare là; forse l’omaggio che Firinu rivolge alla Luna è allora lo stesso che si può rivolgere all’utopia, che sta là, lontana da noi, ma su cui cercare di mettere almeno un piede è quanto mai necessario.

Il libro, pubblicato da Fermenti, è un’antologia del lungo percorso poetico del suo autore e comprende testi che vanno dal 1980 al 2023. In essi sono presenti un po’ tutti i mondi che Firinu ha attraversato, tranne uno e anche questo è un tema intrigante. Infine, nel concludere questa mia premessa, trovo assai felice la scelta compiuta dall’autore – da lui stesso indicata nell’introduzione – di optare per un montaggio tematico del testo e non cronologico.  

Il mare prima di tutto

La sardità appare subito nella prima sezione, ma viene attenuata nel titolo: Di qua e di là dal mare. Un’isola è questo, il mare la circonda, ma è anche mezzo per attraversare e andare altrove e fare i conti con la storia, che appare subito in un testo come Mediterraneo, un poemetto dal tono consapevolmente epico e dialogante con Sergio Zuccaro cui la poesia è dedicata:

Ho visto triremi strisciare vele/sulla mia seta/navi con corazze di ferro/come cavalieri caracollare/lance tonanti in resta/sui miei cavalloni  infuriati/e baci trasvolare come spore inseminando//

Il tono però cambia subito nella parte che segue, dove i protagonisti diventano i fuggitivi odierni, i migranti che cercano di venire in Europa e che Firinu rappresenta in un modo che si discosta dall’immagine di pura sofferenza:

E tu sai quanti andranno/nelle città invetriate/verso il tremila sogguardando/con neri occhi fenici vispi lazzi/carnose labbra moresche/guance di satrapo romano/e visi levantini e frizzi/ -i miei popoli hanno lingue/sapide dei miei spumosi/spruzzi di sale -/risate che crosciano come ghiaie/frante dalle mie onde// …

Nel prosieguo, il punto di vista cambia di nuovo ed è il Mediterraneo stesso a raccontare la sua storia millenaria:

Il mio alito scalda radici millenarie/da Ilio eterna a Valencia moresca/…

La storia viene ripercorsa a grandi balzi, ma non è solo quella degli eroi perché il mare è nutrimento e vita:

… porto le leccornie dei mari/ostriche gamberi aragoste/cernie orate dentici/e tutto ciò che guizza/mie belle signore/ …

È un passaggio in cui la semplice evocazione dei nomi conferisce al testo una musicalità particolare. Il testo continua ritornando alla storia:

Sulla mia schiena ho trascinato flotte furenti/condottieri a segnare col sangue/di dissipati eserciti nuovi confini/per vecchie eterne ambizioni/ho cullato civiltà sparso saperi/ho fatto bisticciare poeti/con canzoni in cento favelle//

Il finale di questo testo così importante lo vedremo nelle conclusioni.

In casa

Le sezione che segue si riferisce al contesto domestico, ma la parola Casa riveste una valenza particolare nella cultura sarda. La casa è tanto, si potrebbe dire che è un’isola dentro l’isola ed è il mondo degli affetti primari – la madre per esempio – protagonista di un lungo e intensissimo testo, ma alleggerito da un titolo teneramente ironico: Mamma son tanto felice. Le figure che popolano la casa ci sono tutte. Dopo la madre, il padre, le figlie, la moglie Franca e un testo molto autoironico su se stesso dal titolo Di me, un vero e proprio autoritratto ma in forma di galleria dei tanti se stesso che nel tempo sono cambiati. Di questo testo cito alcune parti:

 Mi vedo in lunghe file dei me di ogni età/di tutti i me press-agent/portavoce di tutti i e/lasciati a casa in pantofola i doppi/i miei più intimi e privati che non amano il pubblico ….

Non si tratta però di semplici ritratti personali, perché i cambiamenti sociali entrano in scena anche qui e così essi diventano specchio per una generazione intera, vista da un’angolatura del tutto particolare che riguarda un’istituzione come la chiesa cattolica:

… universitari barbuti e senzadio sicché finalmente/ l’ultimo ginnasiale si decide e si toglie la tonaca/e lascia un po’ basiti un po’ contenti /gli altri pretini me/applausi dai liceali in su ma/dalle file in alto un scompiglio …

I cambiamenti tumultuosi post conciliari intersecano i movimenti del 1968:

… Ora la folla di tutti i me che passano/si ricompatta in marcia verso/piazza santi Apostoli di sicuro gremita/tutto un bel corteo/pacifico e di massa i quarantenni e cinquantenni me/fanno il servizio d’ordine e guardano in cagnesco /quel me venticinquenne che ha gridato Mao/ Lin Piao/ rivoluzione …

Lontano da casa

Con la sezione Per via il percorso poetico si apre al mondo senza limitazioni e sarà così anche nelle sezioni successive: Porca miseria, Seme, Fuori dalle chiese, Coi poeti, Nelle ellissi del tempo, Cul de sac, Slanci nel vicolo buio e cieco.

All’interno di ognuna delle sezioni la cronologia riflette cambiamenti sia personali sia epocali, ma c’è una cifra comune che li contraddistingue tutti e sempre di più cioè la tensione civile e politica della poesia di Firinu, dai toni diversi che vanno dall’invettiva vera e propria a quello dolente di laica preghiera. Un altro importante elemento è la ricerca continua di comunità con gli altri poeti, testimoniata dalle dediche e dal titolo della sezione Coi poeti.

La tensione civile e politica si manifesta in modi diversi: in qualche caso, come in Fuga sui mercati, prevale un’ironia amara, oppure lo sberleffo come in Pil; oppure ancora la parodia quanto mai tagliente del francescano Cantico delle creature.   

Scelgo infine alcune parti di due testi per me emblematici. Il primo è dedicato ai morti sul lavoro e credo sia stato scritto anche per ricordare una delle stragi più gravi, quella della TyssenKrupp. Il titolo, Volano angeli, mi ha ricordato anche una bellissima e struggente canzone di Chico Buarque de Hollanda, intitolata Costruzione nella traduzione italiana e dedicata anch’essa a un morto sul lavoro, caduto da una impalcatura:

… Come volano gli angeli/nei cieli delle fiamme torinesi/l’ala di fuoco la mano di dio/li ghermisce,/li solleva,/li setaccia/ li sublima/nell’ordalia della linea cinque degli altiforni della TyssenKrupp/ …

La sequenza dei morti in questo lungo poemetto è anche un’incursione nella storia, dove trovano il loro posto i minatori uccisi dal gas nella miniera di Marcinelle e quelli delle interminabili tragedie italiane di sfruttamento selvaggio e mancanza di diritti che percorrono l’intero dopoguerra.

La seconda è Ave Maria dedicata a Brenda e a un fatto di cronaca che suscitò il solito scandalo prêt-à-porter senza conseguenze, ma che vedeva coinvolto l’allora presidente della regione Lazio. Brenda è il nome della trans che fu trovata con lui: le foto dei loro incontri finirono sui giornali e il nome di Brenda divenne di dominio pubblico. Fu trovata morta nel suo appartamento e la versione ufficiale fu quella di un incidente domestico, ma ci sono molti dubbi su di essa e l’ipotesi che si trattò di un delitto mascherato sono più che plausibili; il testo poetico vi accenna in modo assai puntuale. Il testo è una preghiera laica, ma anche un’invettiva contro l’ipocrisia della morale superficialmente cristiana. Questo testo ha suscitate anche l’interesse del cantautore Simone Cristicchi:

Ave Maria/ di silicone piena nella grazie/il signore è con te per venti euro/ti sei rigenerata tra le donne/ma non avrai mai frutti in seno/benedetta per le curve esagerate/pelle di sete a dominio di eroina e ormoni//Ave madonna nera merce carne/sotto le docce di luce dei lampioni avvolta nei cartocci degli sguardi/tra i barriti dei fari a frotte i peccatori/a te clamanti vengono ai sollazzi/camionisti gaudenti governatori/assurta sugli altari i paparazzi//Santa Maria povera crista-cristo fronte recto/tu non avrai mai stelle ma dolori/in case-stalle elargirai languori//Madonna brasileira/madonna delle blatte /nessuno pregherà per te/preda dei disonesti/nell’ora della morte/servita sul vassoio di servizi/negra dagli occhi neri e pesti tradita/impasticcata per gli  ultimi supplizi/crocifissa nel sonno sulla branda/affumicata come una salsiccia//Puttana povera/ madonna infine/assunta in cielo a fil di fumo/povera Brenda ave/Polvere nera di Maria./

Per concludere

Il poemetto Mediterraneo, dopo l’ampio excursus nella storia, si conclude con questi versi:

 … Ho portato Roma in gloria/di trionfo in trionfo nel mondo/cessati i clamori delle legioni/duemila anni tritati nelle mie sabbie/Roma nutre ancora il mondo/con le sue sontuose tronfie/mammelle di marmo.

Scrivevo nell’introduzione che ai molteplici mondi attraversati da Firinu ne manca uno, proprio Roma, davvero poco presente se non per qualche citazione toponomastica oppure per ricordare semplicemente che per ragioni lavorative Firinu è stato romano, ma anche milanese. Anche nei versi di cui sopra è il Mediterraneo stesso che racconta, ma si può immaginare che la sua voce – in questo caso – coincida pienamente con quella dell’autore. La Roma pietrificata del verso finale è l’immagine di un potere immobile e credo che questa sia una delle ragioni dell’assenza. Roma è tante cose, molte delle quali bellissime nonostante tutto, ma è prima di tutto la sede del potere, a cominciare da quello millenario incarnato dal cattolicesimo, rifiutato dall’autore, ma certamente più importante delle tante marionette di potere della politica attuale, altrettanto assenti.

Infine un’ultima considerazione sul linguaggio. Firinu usa registri linguistici diversi, dal basso e colloquiale all’alto e solenne, ma senza retorica. È verso metamorfico: l’unità di questo libro antologico è data dalla tensione civile e politica ricordata in precedenza e dallo sguardo che sta sempre dalla parte dei vinti e non da quella dei vincitori. Piuttosto che dalla ricerca intorno al significante in sé, il plurilinguismo di Firinu cerca sempre di aderire al testo specifico e al tema in questione, anche se nelle sezioni finali si affacciano persino la poesia visiva e soluzioni grafiche che ricordano le esperienze di molta avanguardia, specialmente romana.