RIFLESSIONI RAPSODICHE SU MATEMATICA, LINGUAGGIO ED ECONOMIA

Tutte le epoche in regresso e in dissoluzione sono soggettive, mentre tutte le epoche progressive hanno una direzione oggettiva.” W. Goethe nei colloqui con Eckermann

«La posizione consapevole significa che lo scopo precede il risultato. Questo è il fondamento dell’intera società umana, » 739. Lukacs, Ontologia dell’essere sociale II volume pag. 739.

Premessa

Tempo fa mi capitò di leggere un saggio che mi ha fatto saltare sulla sedia già dal titolo: Smarriti nella matematica. Il testo si trova nel sito www.iltascabile.com, ma è stato rilanciato anche in Sinistra in rete. L’autore si chiama Massimo Sandal (La Spezia, 1981) è stato ricercatore in biologia molecolare, specializzato in dinamica delle proteine, ha conseguito un dottorato in biofisica sperimentale a Bologna e uno in biologia computazionale ad Aquisgrana, dove vive tuttora. Collabora con Le Scienze, Wired e altre testate. Uno scienziato con le carte in regola dunque.1 La matematica divide l’umanità in due schiere distinte: chi ne gode e chi la subisce, difficili le mezze misure, che si trovano facilmente per le altre discipline. Anche uno stonato può cantare e ci sono persino i cori degli stonati. Anche chi non è poeta può scrivere una poesia e leggerne molte godendone comunque: difficile invece per chi la matematica proprio non la digerisce improvvisare un’equazione! Chi subisce la matematica – come il sottoscritto – è il più delle volte un rassegnato a non capire metà del mondo, ma se poi gli capita di leggere che la fisica moderna e i fisici si sono smarriti nella matematica, lo spirito si risolleva.

Uso della matematica e pratiche sociali

Usciamo dal paradosso: sto ovviamente parlando dell’uso che si fa della matematica, non della matematica in quanto tale. Gli esempi di Sandal nel suo saggio sono inquietanti per quello che affermano e anche per il sostrato ideologico che s’intravede dietro di essi e sono esempi che anche chi di fisica legge soltanto libri divulgativi può capire. Quello che mi ha particolarmente colpito della sua riflessione, tuttavia, è una tipologia di ragionamento che dalla fisica può essere trasferita ad altri campi, anche sorprendentemente lontani come la linguistica, o in generale lo studio del linguaggio e persino l’economia politica. Quando Sandal, per esempio, ricorda che la fisica si chiama così perché, in definitiva, ogni speculazione e teoria o teorema deve poi trovare un sostrato – fisico appunto – senza il quale finisce per smarrirsi in un circolo vizioso, il mio pensiero è corso subito al rapporto fra significato e significante. I cultori estremi di quest’ultimo, che lo considerano una variabile del tutto indipendente con la quale si può giocare finché si vuole, mi ricordano assai i fisici smarriti di cui parla Sandal. Il linguaggio trova il suo senso – parola che a volte sembra essere diventata una bestemmia – nella sua relazione con qualcosa che sta fuori dal codice e che sta al significante come la natura fisica dei fenomeni sta al linguaggio matematico di cui si servono i fisici come gli altri scienziati: lo stesso Wittgenstein negli scritti successivi al Tractatus, si era reso conto, che non è possibile ricercare una sorta di essenza del linguaggio in sé, al di fuori dei diversi usi che se ne fa; dunque, che non si poteva prescindere dalla dimensione antropologica e dalle diverse pratiche sociali e culturali che coinvolgono gli esseri umani: altrimenti il linguaggio diventa una macchina autoreferenziale, ma anche paradossalmente arbitraria in senso soggettivistico. La frase di Goethe che ho ricordato in esergo viene, in questo senso, quanto mai a proposito perché a me sembra una drammatica rappresentazione della nostra epoca di solipsismo soggettivistico e identitario, di post verità e questo mi riporta ancora una volta agli esempi che Sandal porta nel suo testo.

Che c’entra però l’economia politica in tutto questo? Anche in economia esiste prima di tutto una sostanza fisica: tutto ciò che serve per riprodurre la vita di ogni giorno, che richiede cura e attenzione, oggi come migliaia di anni fa. Tale sostanza fisica si estende poi alle costruzioni, alle case, poi a quello che nel gergo economico si definisce infrastruttura e cioè le strade, i ponti, le ferrovie: in sintesi, i beni che permettono di vivere. Questa è l’economia, ma non è di ciò che si parla quando nella nostra contemporaneità si usa il termine. Oppure, come accadde in Italia dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, si nomina la sostanza fisica dell’economia soltanto per registrare le catastrofi che accadono: i ponti che si sbriciolano, gli argini dei fiumi che collassano, i comportamenti anomali del clima che generano altre catastrofi. La pandemia da Covid 19 ha confermato tutto questo a livello planetario, il che lascia sgomenti ma contiene pure l’ovvietà che la terza globalizzazione ha reso da tempo i confini permeabili, non solo alle merci e agli esseri umani, ma anche ai virus. Del resto gli scienziati e gli epidemiologi ammonivano da anni che si stavano creando le condizioni per la diffusione di nuove pandemie, ma nessuno li ha ascoltati; salvo poi abbandonarsi a teorie assurde e complottiste quando invece, le spiegazioni sono più semplici e hanno a che fare proprio con l’assetto generale dell’economia e, nel caso del Covid, con la distruzione dei sistemi sanitari pubblici, che ha gettato nel panico i governi, i quali hanno scelto la via più facile: mettersi in modo più che disgustoso nelle mani di Big Pharma senza contrattare nulla, come dimostra la stessa inchiesta della commissione europea sul comportamento per nulla trasparente di von Der Leyen .

E la matematica? C’entra anch’essa, ma i passaggi, per arrivarci, sono un po’ un avventurarsi nel bosco e come Pollicino, sarà bene avere con noi qualche semino da lasciare come traccia per uscirne fuori. I beni sono anche quantità e non solo qualità, cioè valori d’uso, su questo non c’è alcun dubbio; dunque la necessità di quantificarli e misurarli fa parte della natura fisica dell’economia. Quale matematica è però necessaria e sufficiente per discuterne? Due riferimenti ci possono aiutare. Il primo è che nelle scuole medie italiane s’insegnava l’economia domestica, il secondo che l’autorità massima di controllo dei conti si chiama “ragioniere generale dello stato”. Nel primo caso, l’insegnamento dell’economia domestica era viziato da un’evidente discriminazione di genere: era la materia che doveva preparare buone mogli, madri e massaie, cui spettava il ruolo di gestire la casa e la famiglia nella divisione sessuale del lavoro in una società patriarcale che era considerata naturale e che nessuno metteva in discussione. La scelta di abolirla dall’insegnamento, però, fu – come spesso avviene in questi casi – del tutto sbagliata e controproducente: non intaccò per niente le radici patriarcali della società italiana, ma provocò un danno di cui forse non ci siamo resi conto della portata. Bisognava estendere alla popolazione scolastica maschile l’insegnamento dei rudimenti di economia domestica e di gestione della casa. Essa ha prima di tutto a che fare con le risorse materiali, i beni prima che non il denaro, la cura di cose e persone. Se si ascolta il rumore di fondo sgradevole che ci sommerge quotidianamente con discorsi che si spacciano per economia, di tutto questo non si parla, ma sono altri i parametri che vengono usati, talmente alienati, che il primo effetto di questa narrazione, prima di tutto ideologica, è l’avere introiettato in ciascuno di noi la convinzione che l’economia sia qualcosa che non possiamo capire. Invece dovrebbe essere sufficiente ragionare sul semplice fatto che ognuno di noi, mediamente, sa fare i conti di casa propria, per comprendere che non è così. Certo, possiamo farli più o meno bene, essere più o meno oculati o spendaccioni, ma se davvero l’economia fosse qualcosa di totalmente precluso alla comprensione dei non economisti, se non capissimo i meccanismi fondamentali che regolano i rapporti fra risorse e obiettivi, nel giro di un anno saremmo ridotti in miseria.

Il revisore di più alto livello dei conti statali si definisce come Ragioniere generale dello stato e le definizioni non sono casuali: significa che per gestire il bilancio dello stato, come quello della famiglia o di una comunità qualsiasi, la competenza di un ragioniere è più che sufficiente, ma intimoriti come siamo dalle cifre iperboliche, abbiamo scordato questa verità elementare. Un piccola parentesi sui numeri iperbolici: qualsiasi cifra che riguardi l’economia è pur sempre un numero dall’uno al 9, seguito da una piccola o grande montagna di zeri. I bilanci e la partita doppia si fanno ricorrendo ancora oggi alle quattro operazioni, anche se le macchinette del calcolo nascondono le procedure. Anche per calcolare l’ammortamento di un bene che si consuma nel tempo sono sufficienti poche operazioni. Comunque, per dare uno scherzoso riferimento in più: se si parla di decine e centinaia di migliaia di euro si tratta del mercato immobiliare, se parliamo di milioni di euro si tratta del mercato calcistico, se si parla di miliardi di euro si parla di economia. Questo è necessario ricordarlo anche per non prendere abbagli.

La capacità di gestire risorse è più entusiasmante, ma a questo non veniamo più educati. Questa competenza necessaria, anzi indispensabile, è stata tolta dalla formazione e i risultati si vedono. Certo, si dovrà riformarla l’economia domestica, introdurre principi nutrizionali, principi di riciclo e riuso che sono andati perduti tutto quello che si vuole, ma poiché sono ormai convinto che nulla sia casuale, la sua scomparsa ha contribuito a sequestrare l’economia politica relegandola, come il vecchio latinorum, in una regione incomprensibile ai più e di cui noi possiamo solo misurare gli effetti che produce: povertà, precarietà, odio sociale, pandemie, guerre e miseria. La matematica entra in gioco a questo punto del discorso e cioè quando, dopo avere occultato la natura fisica dei beni economici, li si è smaterializzati e dissolti in un universo finanziario e soggettivistico (la propensione del consumatore di cui parla la teoria marginalista, o l’utilità marginale) facendo diventare l’economia – con un paradossale doppio salto mortale – qualcosa d’altro.2 Con il primo salto essa diventa una scienza soggettiva del gusto, con al centro la figura del consumatore, poi con il secondo salto con doppio avvitamento, una scienza esatta cui si può – anzi si deve – applicare la matematica delle scienze cosiddette dure: algoritmi, equazioni, simulazioni avveniristiche. A questo punto il gioco è fatto: mentre scompare del tutto la sostanza fisica dell’economia e del valore (quali beni e perché? Come si producono e da dove viene il loro valore? Come si distribuiscono? Come si conservano? Come si riproducono?), rimane un sistema di algoritmi e di simulazioni che si muovono nello spazio vuoto e desertificato dell’accumulazione del capitale. Tornare a ragionare d’economia, dunque significa uscire dalla gabbia mentale e mortifera degli algoritmi e delle simulazioni, che hanno prodotto una narrazione che ha posto un’entità metafisica come il Mercato al posto di dio e costruito intorno a esso una teologia medioevale rozza, fatta di deliri algebrico-computazionali, potenziata dall’intelligenza artificiale e gestita da una casta sacerdotale ieratica e feroce, che si presenta con il volto anonimo della banalità del male e che produce miseria, precarietà, odio sociale, imbarbarimento dei rapporti sociali e di genere, razzismo.3

Riprendersi l’economia è oggi un gesto di opposizione e ribellione primario e lo è anche perché è prima di tutto un parlar d’altro rispetto alla sostanza grettamente economicistica dell’economia. Non è un caso infatti che tutti gli economisti degni di questo nome e non i funzionari anonimi al servizio del capitale come soggetto automatico, si sono posti domande che sconfinano assai – chi più chi meno – dall’aspetto strettamente economico. William Petty si chiedeva chi fossero il padre e la madre del valore economico, Ricardo e Marx da dove venisse il valore, Smith come si formano i prezzi, Keynes – addirittura si domandava perché ci piace il denaro. A proposito di Keynes, è assai interessante notare cosa pensasse della matematica. Un recente e prezioso saggio di Anna Carabelli, pubblicato su Kritica economica e ripreso da Sinistra in rete, è illuminante al proposito4. Ne cito alcuni passaggi:

… Nella sua discussione con Roy Harrod nel 1938, cioè nel suo manifesto metodologico più maturo e schietto, quando afferma che “l’economia è una branca della logica, un modo di pensare, piuttosto che una scienza pseudo-naturale”, Keynes sta semplicemente riaffermando la sua posizione precedente (CW XIV, 296) …

… Cos’è dunque l’economia per Keynes? La risposta è che egli considera l’economia sia una scienza morale che una branca della logica. È una scienza morale nella misura in cui si occupa di valori etici e di introspezione (CW XIV, 300). E, allo stesso tempo, è un ramo della logica, un modo di pensare. È fondamentalmente un metodo, che aiuta gli economisti a trarre conclusioni logicamente corrette per evitare di cadere in fallacie logiche nel ragionamento, come la fallacia additiva della probabilità o la fallacia della composizione in economia …

… Il punto chiave, secondo Keynes, è che senza tale logica, gli economisti potrebbero perdere la strada nel bosco empirico e matematico, come, secondo lui, era stato il caso di econometristi come Tinbergen e Colin Clark, e degli economisti matematici. Il problema, secondo lui, è che l’applicazione di linguaggi matematici e statistici con i loro presupposti di omogeneità, atomismo e indipendenza a materiale economico che è essenzialmente “vago” e “indeterminato”, dà luogo a fallacie logiche, una delle quali è la fallacia dell’”ignoratio elenchi” nella teoria economica classica (Carabelli 1991). La definizione di Keynes della matematica ne La teoria Generale come “imprecisa” significa che la cieca applicazione della matematica e della statistica all’economia, con i suoi aspetti non numerici, non comparativi e non ordinali, richiede attenzione logica (CW VII, 298; Carabelli 1995) …

Queste citazioni sono già sufficienti per mettere in evidenza sia la complessità del pensiero di Keynes sia la preziosità del saggio di Carabelli nel focalizzare aspetti della sua teoria che sono stati sottovalutati o volgarizzati.

Per concludere

Con tutti gli autori citati in precedenza siamo dentro l’economia, con le loro diversità e anche contraddizioni, e cioè dentro l’epoca che secondo Goethe è progressiva in quanto oggettiva, con il marginalismo usciamo da quel mondo ed entriamo in quello di un’aberrazione e non di una teoria. La parola aberrazione, riferita al marginalismo, fu usata da Piero Sraffa ed è stata proprio la rilettura del suo grande libro- Produzione di merci a mezzo merci – e di alcune e prime incursioni nel suo sterminato archivio, a convincermi che, per tornare a parlare di economia, occorre prima di tutto uscire dalla narrazione corrente, sfidandone il senso comune e specialmente violando quel confine che i guardiani armati del neoliberismo non vogliono che venga sorpassato. Per farlo si deve parlare di economia ma non solo, come tutti i classici Smith compreso, hanno sempre fatto. Uno degli arcani dell’economia, infatti, è che quanto più ci si avvicina alla sua sostanza fisica, tanto più essa ci sfugge se pensiamo di poter calcolare qualsiasi grandezza, perché l’economia è una scienza umana – forse – che ha che fare come afferma Keynes con l’etica e l’indeterminatezza. Travalicare i confini invisibili, ma pur sempre presenti, significa finire in un gorgo di sabbie mobili che una matematica e una tecnologia fintamente onnipotenti hanno reso ancor più pericolose. Per esempio, parlare e scrivere di economia significa fare i conti con il tempo, cioè con una tematica centrale nella tradizione filosofica occidentale, ma fondamentale per qualsiasi cultura. 5

Math equations written on a blackboard – mathematics and science concepts

1     Il saggio è del 2016 e nel sito, che si trova indicato nel testo, Sandal cita anche una collega in questo modo:

… la fisica è fuori rotta? Rischia di schiantarsi seguendo il canto di sirene dai nomi irresistibili di simmetria, naturalezza ed eleganza matematica? Cassandra di questo possibile naufragio è Sabine Hossenfelder, fisica teorica della gravità quantistica all’Istituto di Studi Avanzati di Francoforte, blogger e ora autrice di Lost in Math: How Beauty Led Physics Astray (letteralmente “Smarriti nella matematica: come la bellezza ha portato la fisica fuori strada”),

2 Ecco come il filosofo Mario Trinchero affronta il tema della matematica nella sua introduzione alle Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein. La citazione è tratta da Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, a cura di Mario Trinchero, Piccola biblioteca Einaudi.  dove l’intera opera del filosofo è riprodotta integralmente in traduzione italiana: L’aritmetica non è lo sviluppo di una logica unica e assoluta, cosi come non è prodotto del pensiero o dell’intuizione, o sistema assiomatico: essa è, in realtà, un «guazzabuglio di tecniche» in cui è appena possibile fare un po’ d’ordine. In questo è simile al linguaggio quotidiano: un insieme di strumenti eterogenei, creati per scopi diversi, che fanno parte di un complesso sistema di forme di vita. Il matematico non contempla essenze, ma le crea; non scopre, ma inventa. Ciò che in matematica c’è di profondo, di essenziale, è depositato nella grammatica; la forza costrittiva delle prove, il carattere necessitante delle regole, sono legati alla stabilità delle istituzioni umane; sono consuetudini che abbiamo assimilato col linguaggio, convenzioni di cui è intessuto il nostro agire quotidiano.  Ciò fa sorgere in noi l’illusione che la matematica sia legata a forme immutabili del pensiero o della realtà, ma in effetti le sue proposizioni sono modelli, paradigmi grammaticali «assunti una volta per tutte tra gli strumenti del nostro linguaggio». In esse non è insita nessuna necessità logica: un cambiamento nelle regole della matematica e nei nostri giochi linguistici quotidiani è logicamente possibile; lo rendono di fatto irrealizzabile i legami di queste regole e di questi paradigmi con tutta quanta la nostra «storia naturale».  Ciò non significa, tuttavia, che la matematica sia psicologia, o si fondi su basi empiriche; in quanto paradigma, modello linguistico primitivo, essa non dipende né dai nostri stati interni né dalle strutture del mondo esterno. Ciò significa soltanto che per rendere conto della sua intersoggettività e della sua possibilità di interagire col mondo dell’esperienza occorre partire non già dall’analisi delle sue strutture algoritmiche, ma da quella del linguaggio quotidiano, in cui sono depositati gli schemi sui quali costruiamo le nostre conoscenze …

3 La citazione qui di seguito, è tratta dallo scritto di Benjamin del 1921 sul capitalismo. Si tratta di uno dei saggi giovanili più importanti insieme al Frammento teologico politico e al saggio sulla violenza: …  Nel capitalismo va scorta una religione, vale a dire, il capitalismo serve essenzialmente all’appagamento delle stesse ansie, pene e inquietudini alle quali un tempo davano risposta le cosiddette religioni. L’essenza di questo movimento religioso che è il capitalismo implica perseveranza fino alla fine, fino all’ultima e completa colpevolizzazione/indebitamento di Dio …

4        4 Il saggio di Carabelli è di grande importanza perché offre un’interpretazione del pensiero di Keynes assai originale e illuminante. Peraltro l’autrice ha scritto libri e altri articoli sull’argomento che sono citati nel saggio pubblicato da Kritica economica. Il mio dunque è un invito a leggerla, aldilà delle poche citazioni che vengono riportate in questo mio saggio.

5 Sull’opera di Sraffa Paolo Di Marco ed io abbiamo appena pubblicato un libro dal titolo La Dissoluzione dell’Economia Politica: Note, commenti e qualche elaborazione a margine agli appunti di Piero Sraffa per le lezioni sulla teoria neoclassica  Sulla rivista online Overleft, ho pubblicato un saggio dal titolo La Sfinge marxiana, sempre dedicato a Sraffa.