SOGNARE IN VERSI

Quella che segue è una minuscola antologia di testi poetici da tre diversi libri: ho scelto pochi testi, fra quelli che ho letto di meno durante pubbliche letture.  

Da Le radici immaginarie, Campanotto 1995.

Terzo enigma.

L’intreccio casuale degli annali

gettava ai piedi tuoi nel crocevia

quel corpo frutto d’alba e d’agonia.

Anche le sue spalle erano curve

di sofferenza antica;

l’abito largo d’ebreo e di camita.

Posasti su di lui

sguardo di madre che dà il nome

e la separazione fu colmata.

Nel cono d’ombra millenario

Serbavi il fuoco di casa e d’ordalia:

fu quel moto sfavillante

oppure il grido che si perse con le fiamme?

Dentro di lui si rovesciò l’idioma avito

e nacque, accanto alla parola prima,

muto geroglifico materno,

la figlia di un altro fuoco eterno.

Da L’epoca e i giorni, Viennepierre Milano 2008

A un giovane uomo

Non spegnere la voce

che al limite di te implora un guizzo.

Assecondala così che un dio amico

possa aiutarti a stendere le ali…

Ti seguirò distante

accecando l’occhio controllore.

Sopra una zattera di vento

poserò la carezza

che ti raggiunga e sia

legato che ti segue ma non lega.

Nascite.

Era quando fra le braccia del dottore

quieto seme e foglia

ti dilavavi assopito…

Era quando annusavi la parola

nostra lingua animale…

Era quando sul capo di salice ridente

S’inanellavano gocce d’oro…

Tedoforo di te già non mi appartenevi

ma insieme a questo ribollire

delle stelle apparteniamo.

30 Giugno.

Che belli quei colori oro e verde

le perle scolpite sulla pelle

ebano e pianto e pioggia di riso

a inondare la sposa di tutti…

Scende sulla città una coltre grassa

danza mollemente l’estate

all’occhio avido del sole…

Che belli quei colori oro e verde…

Tornavo da Genova dove

scrosciavano parole sognanti

come gocce di una pioggia d’oro

distillate sul corpo dell’estate…

Come queste voci, queste carni

danzanti, che sventolano bandiere…

Che belli quei colori oro e verde…

Tornati da quel tumulto si sta assorti

osservare le strade è un sogno

la folla in tram il romanzo più bello…

E sostando in un caffè del centro

la sua figura mi si parò davanti…

ero entrato distratto

come chi torna da Genova

e si porta addosso la levità

di una città di porto.

Insieme a lei era salita un’onda

che mi strappava all’attimo e

mi portava in alto e poi

precipitava … ho continuato

a bere il caffè, a gustarne

l’ambivalenza, sorso dopo sorso,

e ricordai la zingara che si specchia

nel suo fondo fino alla poltiglia viva…

Che belli quei colori oro e verde

le perle scolpite sulla pelle

ebano e pianto e pioggia di riso

a inondare la sposa di tutti.

La città è una festa di profili d’ebano

di suoni, di voci di una lingua inaudita.

Se un dio esiste parlerà in portoghese

e ballerà come una donna brasiliana

e chi è nato qui si sente

trascinato a sud, come si va

verso l’amore…

foglia e virgola fra queste note

vorrebbe vivere una vita intera,

mozzo di bordo sui loro

vascelli sussurrati…

Che belli quei colori oro e verde…

Svanita la figura dove

la città pare svuotarsi

l’estate immobile e stanca,

distende pigramente le sue ali,

copre appena di un lenzuolo azzurro

il suo amante ora addormentato.

E’ una festa degli istanti e

in questo ribollire siamo niente

o tutto in quel fondo di caffè

e nella zingare lontana

che dei segni sarà sempre la custode …

Dietro la porta che si chiude

veste l’assenza l’abito da sera. 4

Da Veglia Europa, Plumilia 2016

L’ultimo Alessandro  

Gallia est omnis divisa in partes tres,

quarum unam ìncolunt Belgae,

aliam Aquitani, tertiam qui

ipsorum lingua Celtae,

nostra Galli appellantur.

La lingua limpida, il dettato

che non liscia la storia,

le linee diritte dell’agire

come vie ben tracciate

le navi, la perizia del comando

lo stile flessibile e severo.

Ma fra tutti più valorosi

sono i Belgi perché lontani

dalle raffinatezze…

i Nervi non permettono prodotti

di lusso e vino, perché

indeboliscono gli animi…

Rovesciare su Roma

le ignote plaghe di nord ovest

e la clessidra. Fu questo il guado

del Rubicone. La porta aperta a

Occidente chiudeva e separava

permaneva il sogno distratto

non ancora vinto, un oriente

sognato e ideale miraggio.

A Egira a Egira, millenni dopo…

Ma la barra diritta

scopriva la selva, il nord favoloso,

le brume dei laghi ghiacciati,

il senso vero del fuoco d’inverno,

il villaggio. Così fra i Britanni e

lungo il Tamigi…

Tra tutti i popoli della Britannia,

quelli dell’interno per gran parte,

non seminano grano,

ma si nutrono di latte e carne,

si vestono di pelli.

Tutti i Britanni si tingono

col guado, che produce

un colore turchino,

e perciò in battaglia il loro aspetto

è ancora più terrificante.

Hanno le donne in comune, vivendo

in gruppi di dieci o dodici,

soprattutto fratelli con fratelli

genitori con figli; se nascono bambini,

sono considerati figli dell’uomo

che per primo si è unito alla donna.

uno stile anglosassone…

In tutta la Gallia ci sono

due classi di uomini

tenuti in qualche conto,

quella dei druidi l’altra

dei cavalieri la plebe che nulla

osa è alla stregua di schiavi,

non partecipa a nessuna decisione.

molti, essendo oppressi dai debiti o

dal peso delle tasse

o dalla prepotenza dei potenti,

si offrono schiavi ai nobili,

ipotecano le case, accendono

mutui per la scuola dei figli,

cadono nella tresca usuraia

si aggrappano a vecchie ricchezze,

mettono all’incanto la breve stagione

dei diritti per tutti, affollano

le strade fuggendo da guerre,

scavano rifugi nelle città martoriate

fondano comunità solidali lungo

le strade o in mezzo ai rifiuti scagliati

lontano dalle ricche città assediate.


4 I versi si sente trascinato al sud/ come si va verso l’amore/ sono tratti liberamente dalla canzone Vuelvo al sur; in particolare avevo in mente l’interpretazione che ne dà Caetano Veloso. Quanto ai segni lasciati dai fondi di caffè, si riferiscono a un ricordo personale: molti anni fa, a Veliko Trnovo in Bulgaria, una zingara lesse il mio futuro in quel modo.

Il primo testo qui di seguito è inedito ed è stato letto per la prima volta durante un incontro del salotto Galzio. Il secondo testo è l’ultimo del libro Veglia Europa, pubblicato da Plumilia con prefazione di Aldo Gerbino.

Scolpire il legno

A mio padre Attilio

Mio padre guidò precoce la mano

nell’intaglio, un’arte che richiede

la pazienza di una forza dolce.

Si comincia da grandi monoliti

grezzi e irregolari da segare o

sgrossare col saracco;

si tolgono le bave col gattuccio,

infine si squadrano

a colpi regolari di martello.

È l’ora del disegno,

a matita seguendo i bordi

dei cartoni usati come calchi.

E ora avanti, si comincia:

i legni disposti sul banco

fissati alle ganasce e davanti

i ferri bene allineati.

La spatola per incidere

le linee diritte del disegno,

la sgorbia per quelle curve e ampie,

finché il legno da togliere

si stacca e vola via.

Quando ci si avvicina al fregio

allora occorre il bisello piatto

e una mano morbida che lavora

di cesello e scalpello.

L’occhio fisso sul pezzo non s’accorge

dello sbalzo che prende forma:

ora la metamorfosi è compiuta,

la forma ottusa diventa

una gamba intarsiata,

il fregio di un comò, una cornice.

L’intaglio è un’arte povera

ma avvolta in mantelli sontuosi

che profumano di storia: Luigi

quindicesimo e poi sedicesimo,

il quasi omonimo Filippo,

impero e rococò.

Le cornici, impreziosite

dall’oro zecchino mandano ardite

lucentezze, bagliori

che forano il buio.

L’artigiano ora è fermo davanti

al lavoro, che tutto ancora

gli appartiene, la mano riposa

deterge il sudore. Piccolo uomo

quanta storia nei gesti!

La mano che scolpisce il legno

venne dopo la mano della pietra

e l’ossidiana. Solo il tempo

affina lo strumento e l’animale

che si affina insieme a lui

con il lavoro. Questa

è la storia da cui vieni e che sarà

oltre il deserto, oltre l’oblio.

1789-1989.

La carta dei diritti

l’aldiqua luminoso

e poi l’assalto al cielo.

Il lampo centennale si spegne

annotta ed è il deserto

una polvere fine, invisibile

ha sommerso il sogno profano

la conoscono i passi dell’esodo

i millenni dell’oppressione.

I campi, le strade e le città

sono state la sua casa, ha fatto

paura ai potenti, trionfato e perso.

Il poeta della storia è un albatro

di nuovo ai ceppi imprigionato.

Scrivere un diverso statuto

sulla dura pietra di una fabbrica

richiedeva tempo e qualcosa di più

della fratellanza, del pane insieme

compagni…

ma tutto rodeva ai fianchi

del camminare goffo.

Ora in una gabbia che non ha sbarre

ma filosofie sofisticate e

insegne che piegano all’ignavia,

al nichlismo d’occasione

ai suoi poeti e falsi maestri narcisi

ad ali basse guarda la strada…

ma il sarto di Ulm continua a tornare

nei sogni, nel balenio improvviso

e risveglio dal sonno letale,

a dire che sì, si può

imparare a volare.

Lo abbiamo visto nella condizione

aurorale a ogni latitudine,

che fu un attimo

prima di nuove distruzioni.

Un diverso cammino,

a piedi in mezzo a una polvere che è

deserto e veleno, passo dell’esodo

e accampamenti

lontano dal cielo, nell’ora e nel qui

che stanno nella via di mezzo e noi

non più natura,

non ancora cultura

al passo claudicante di sempre.