SULLE COMMEMORAZIONI DEL D-DAY

Premessa

Non pensavo proprio di occuparmene, ma giovedì sera ho seguito la trasmissione di Alessandro Barbero su Rai Storia e alla fine sono stato contento di averlo fatto. Barbero con il suo atteggiamento ridanciano e a volte apparentemente ingenuo riesce sempre a colpire nel segno e lo ha fatto anche questa volta, trasformando – senza darlo troppo a vedere – una commemorazione in una esposizione dello stupidario militare e molto altro. Lo schema delle sua trasmissione è molto semplice. Alcune sobrie note introduttive, una selezione attenta di storici molto documentati e alcune domande ben scelte che provengono da chi assiste alle trasmissioni da casa. Poiché il programma si può rivedere in Rai Play non mi soffermo ulteriormente su di esso, chi vuole potrà rivederlo e dire se il mio giudizio è condivisibile o meno e quindi passo alle riflessioni che il programma ha suscitato in me, limitandomi a una sola citazione e precisamente la domanda decisiva posta da una ragazza e che Barbero ha lasciato per il gran finale:

“Se lo sbarco fosse fallito cosa sarebbe successo?”

“Le cose sarebbero andate nello stesso modo” – risponde Barbero – “solo ci sarebbe voluto un po’ di tempo in più” , ma a giudicare dall’espressione del volto neppure tanto.

Le ragioni di tale risposta molto netta sono riportate nella trasmissione. Esaurite le premesse vengo alle mie rapide riflessioni.

Non erano dei giganti

Uno dei leit motiv che compaiono qui e là in questi giorni è che chi ci governa oggi è uno stuolo di mediocri se paragonati ai giganti di allora. Non lo erano affatto e credo che tale giudizio sia basato su una distorsione ottica che ha a che fare con l’esposizione mediatica. Penso che se Roosevelt, Churchill e Stalin fossero stati seguiti da giornalisti e mass media, reti social, microfoni lasciati aperti per sbaglio o volutamente, interviste più o meno pilotate e continue apparizioni televisive, sarebbero apparsi della medesima statura che oggi viene attribuita al Barnum contemporaneo di giornalisti, commentatori e leaders. Quanto a Hitler e Mussolini, i due godevano di un sovrappiù di grottesco grazie alle caricature che di loro fece Chaplin e per la caricatura di se stessi di cui erano entrambi maestri. I leader di oggi che possono apparire un’eccezione rispetto a tale drastico giudizio lo sono perché – se ci si fa caso – appaiono di meno nei notiziari occidentali e perché in generale sono leader che si espongono di meno; ma la sostanza non muta.

Lo stupidario militare

Gli esempi sono infiniti e del resto è sufficiente avere giocato a Risiko tre o quattro volte (peraltro come per internet il gioco viene dalle accademie militari), per rendersene conto. Tuttavia, a parte i giudizi espressi nella trasmissione, suggerisco la lettura di tre libri. Il primo è Il grande gioco di Peter Hopkirk, Adelphi Milano; un testo prezioso perché ricostruisce, con una documentazione in parte inedita o poco conosciuta, i tentativi compiuti dalle potenze occidentali durante tutto il 1800 per conquistare l’Estremo Oriente o almeno influenzare le politiche dei diversi stati e staterelli di quell’area, in modo da farsene alleati contro le altre potenze concorrenti. Il libro ha aspetti – forse involontariamente – tragicomici e lo si potrebbe definire anche un campionario delle stupidità geopolitiche e militari pensate da cosiddetti strateghi. Si comincia dal progetto di Napoleone Bonaparte d’invadere l’India, progetto che viene preso sul serio dagli inglesi. Comincia così una vera propria corsa verso i luoghi e territori che si trovano nel mezzo fra l’Europa il continente indiano. Era dai tempi di Alessandro Magno che nessuno ci aveva più pensato. Spie, false spedizione scientifiche, frenetici contatti con gli emiri afghani e altro. Poiché una spia tira l’altra come le ciliegie, le spedizioni continuarono per alcuni decenni. A ogni nuova missione si scopriva che c’era sempre qualcun altro che stava battendo le stesse piste e questo faceva pensare all’esistenza di piani segreti che occorreva scoprire: un affollamento grottesco, i cui scopi diventavano sempre più fumosi. Nella seconda metà del secolo, però, accade qualcosa di nuovo: un simpatico cartografo e disegnatore dilettante mandato in avanscoperta in quei territori immensi fra Russia, Afghanistan, Persia scrive che da quelle parti non ci sono strade, ma solo sentieri impervi, che fra una popolazione e l’altra le barriere fisiche di una natura indomabile rende tutto assai complicato: chi invade chi? Improvvisamente, dopo quella mirabolante scoperta, tutto finisce, repentinamente così come era cominciato.

Il secondo è un grande classico scritto migliaia di anni fa: l’Arte della guerra di Sun Tzu. A dispetto del titolo, se lo si legge davvero dall’inizio alla fine e fra le righe, questo manuale di strategia militare si traduce paradossalmente nel suo opposto e questo forse spiega molto della Cina e dei cinesi.

Il terzo è un classico del ‘900 che andrebbe continuamente riletto e studiato: Le tre ghinee di Virginia Woolf.