Annali
Questo racconto lo scrissi nel 2007 fu pubblicato nel 2009 nell’Antologia Milano per le strade a cura dell’Editore Azimut di Roma.
ANNALI.
Protocollo 16.200IIICI: testimonianza 2017.
Non me n’accorsi subito caro Esteban. Sai, io non amo il buio e lascio sempre una luce accesa da qualche parte, la notte … Anche ora che sono un anziano con i suoi acciacchi, non ho tende alle finestre e il mattino il sole o la pioggia mi entrano in casa senza filtri, come invasori spietati.
Tuttavia non me n’accorsi subito. Ero abituato al chiarore che diventa sempre più netto: prima l’aurora, poi l’alba, infine i rumori del traffico e … lì finiva la magia, il lento risveglio sfociava nel caos della giornata. Si ritorna verticali, tutto ricomincia a correre e io non so mai se sono gazzella o leone, come dice quel proverbio africano, e così mi metto a correre anch’io.
Quella mattina no; perché poco prima che si udissero i rumori della città mi accorsi che il cielo era completamente giallo. Aprii subito la finestra e il vento di scirocco mi colpì a ondate. È facile riconoscerlo; la mia casa in Via Meda è orientata secondo l’asse est ovest e così è un gioco da ragazzi mettere fuori la testa e sentire la rasoiata che arriva da sud o da sud ovest: il vento che viene da quella direzione, a dire il vero, è più frastagliato perché deve superare il Turchino e non arriva compatto come da sud. Era scirocco quel mattino e, portata dal vento, arrivava la sabbia del deserto: il colore giallo del cielo era un tappeto di pulviscolo disteso sopra l’azzurro e lo copriva tutto, non c’era angolo che riuscisse a scampare e in lontananza la coltre s’abbassava ancora di più sopra le case, le chiese, i capannoni; tutto, ma proprio tutto, ingialliva.
Mi attardai incantato alla finestra, incredulo, poi mi accorsi che altri erano stupefatti come me. Fu del tutto naturale guardarsi e sorridersi a distanza, ma ancora più stupefacente fu riconoscersi in strada e nei negozi ore dopo. Il cielo era sempre giallo, anzi, con il sole alto, la declinazione opaca del colore si era trasformata, impregnandosi di luce: Milano era diventata un immenso Van Gogh.
Due giorni dopo tutto era ancora più giallo e agli angoli delle strade, specialmente in corrispondenza del semaforo all’incrocio fra via Meda e Viale Tibaldi, crocchi di uomini di provenienza magrebina si radunavano in un numero maggiore del solito e nelle lavanderie a gettone non si parlava d’altro; il deserto stava risalendo verso di noi, quelle nubi di polvere e sabbia erano un annuncio.
Durò una settimana, poi la città ritornò normale, lo scirocco si calmò, il cielo quello di sempre; a volte azzurro, altre più numerose volte bianchiccio e slavato come un malato terminale. Tuttavia quelle nubi di sabbia non erano passate invano, avevano lasciato tracce evidenti, la città non era più la stessa; ogni mattina tutti guardavano il cielo in modo diverso da prima, come se stessero attendendo un presagio.
Nessuno si stupì quando, annunciato da alcune folate d’avvertimento, lo scirocco ricominciò a soffiare più impetuoso che mai. Il cielo era percorso da ondate di sabbia, dune che si trasformavano in cammelli, oppure assumevano le forme più strane, diverse dalle nuvole lombardi. Ricominciammo a sorriderci dai balconi, da un palazzo all’altro; gli stessi della prima volta e altri e … altre.
Fu così che conobbi tua nonna, caro Esteban; alla finestra come avveniva secoli prima nei cortili. A quel tempo, molti giovani si fidanzavano già al video telefono, per posta elettronica, scambiandosi fotografie che correvano su fibre ottiche, o semplicemente con un sms. Ti verrà da sorridere leggendo queste mie parole: tu ormai a tutto questo ci sei abituato, ma per noi non era proprio così, eravamo nel mezzo, un po’ d’antico e un po’ di moderno. Noi, la nonna e io intendo, abbiamo fatto tutto all’antica, comprese le rose che le portai la sera stessa del nostro primo incontro. Così cominciò tutto; dopo due anni nacque tuo padre e dopo tanto tempo sei arrivato anche tu. Che il tuo dio sia con te e con i tuoi sedici anni! Ti abbraccio mio caro Esteban. Tuo nonno Achille.
Protocollo 16201IIICI: Testimonianza 2018.
Non so proprio cosa diavolo stia succedendo a questa benedetta città. Si alzano tutti il mattino prima del solito e spiano il cielo in attesa di chissà che cosa. Nei blog non si parla d’altro, nei siti dedicati alle questioni scientifiche pure; ora, anche all’università, siamo invasi da ogni genere di sciocchezze e adesso ti ci metti anche tu a chiedermi cosa sta succedendo! Ma nulla, semplicemente da tre giorni c’è lo scirocco, cosa vuoi che sia! Sì, il cielo è giallo, è sabbia del deserto. Certo! Che arrivi fino a Milano in quantità così elevata è anomalo; ma da qui a tutto l’allarmismo che c’è in giro ce ne corre. Casa vuoi che c’entri tutto questo con il dibattito scientifico sul clima! È che ormai tutti discutono di tutto, come se fossero al bar. Che si parli di fisica nucleare o di calcio non cambia nulla … Ieri sera sai cosa mi ha chiesto mia figlia? Mamma! È vero che questa sabbia viene soffiata dagli arabi con grandi turbine per spaventarci e poi invaderci? Sono letteralmente allibita! Come si fa a rispondere a una domanda del genere? Chi mette in giro queste bufale? Persino per confutarla, una domanda così, sei costretta a prenderla in qualche modo sul serio e io vedo in ciò una corruzione ben più seria che non quella provocata dalla sabbia che s’infila dappertutto! Di quella prima o poi ci libereremo, di queste sciocchezze mai e mi preoccupa che anche nei nostri ambienti si parli di questo fenomeno con superficialità salottiera e anche un po’ razzista. La sabbia nelle nostre teste mi fa paura, il tarlo che corrode giorno dopo giorno, il lento scivolare dei modi di pensare e di agire. È tutto assurdo mia cara, c’è qualcosa di diabolico in questo e noi che crediamo ancora nella possibilità di ragionare (ma ci crediamo ancora?) sembriamo ormai una specie in via di estinzione. Scusami il tono allarmato, ma non pensavo davvero che lo scirocco spaventasse anche te. Cerchiamo di dormire e di pensare al nostro convegno di domani; a proposito, ci vediamo lì un quarto d’ora prima per un caffè? Alessadra.
Protocollo 16202: testimonianza 2019.
Caro Alberto, la tua mail mi ha sorpreso: ma davvero il telegiornale spagnolo ha dedicato un servizio di tre minuti allo scirocco che soffia su Milano da quattro giorni? Lì per lì ho pensato che mi stessi prendendo in giro ma poi navigando un po’ in rete ho visto che avevi ragione. Che dire? Sì la città è diventata tutta gialla, non è più soltanto il cielo, la sabbia s’incista ovunque, crea delle nicchie, aprire le finestre è diventato un problema; però noi dovremmo sapere che si tratta di un fenomeno previsto. Che il deserto si stia espandendo verso nord, dopo la quasi completa distruzione della foresta amazzonica, è una conseguenza ovvia. Sta accadendo, tutto qui; in compenso la foresta africana avanza verso sud ricreando in quel contesto ciò che è stato perduto. Tutto ciò mi fa sorridere, con tenerezza. Abbiamo ancora la capacità di stupirci, nonostante l’esattezza delle nostre previsioni e questo è un bene! Vuol dire che infondo non siamo vittime della tecnologia più di tanto, come troppo spesso si dice in modo assai superficiale: continuiamo a dire cose assurde e romantiche del tipo il sole tramonta e altre sciocchezze del genere … e va bene! Vuol dire che continuiamo a essere umani nonostante tutto! Al contempo però pensiamo di essere più forti della natura organica e abbiamo paura che i nostri comportamenti possano sconvolgerla in modo irreversibile. E ci sbagliamo su questo! Forse non crediamo del tutto alle previsioni e quando l’effetto di una causa si manifesta davvero cadiamo ancora dalle nuvole: vedrai che qualcuno tirerà fuori la fine del mondo! Invece, dovremmo convincerci, una volta per tutte, che la natura ritrova sempre il suo equilibrio globale, attraverso catastrofi e aggiustamenti che possono anche farci del male, ma certo! Alla fine, tuttavia, tutto ritrova il suo assetto, perché, come diceva il buon Leopardi tre secoli fa, la natura di noi se ne impipa, non sa che farsene e perciò non la disturbiamo neppure più di tanto. Il deserto, così come la giungla, si sta spostando. L’Antartide, poi, chi l’avrebbe mai detto? Tutti, anche noi scienziati, talvolta, c’eravamo dimenticati che si tratta di un continente rivestito dai ghiacci. Ebbene, lentamente, si sta spogliando dei suoi abiti, mostra le sue forme sinuose appena uscite da un letargo millenario, come se sotto il sudario vivessero in attesa del sole una magnifica giovane donna e un Apollo greco improvvisamente rinati, che ci mostrano ora tutto un rigoglio fatto di foreste, grotte sinuose, tundra, picchi montuosi e massicci che sembrano ciclopi di roccia!
Milano diventerà tutta gialla? E allora? Dove sta il problema? Farà più caldo? Probabilmente sì, anzi caldissimo. A me non dispiace; pensa che ormai le nuove case vengono costruite senza apparecchi di riscaldamento e in quelle vecchie si accende un mese all’anno, non di più. Pensa a quanto risparmio di soldi e al minore inquinamento. Si respira più di prima a Milano. Mio caro tutto muta perché tutto si conservi, soltanto si sposta un po’ per il mondo, come gli esseri umani. Siamo tutti un po’ nomadi; anche la sabbia del deserto che è fatta di granelli di polvere, individui come noi. Corriamo tutti, trascinati sui binari paralleli del vento e della storia. Abbiamo accolto i lanzichenecchi, Napoleone e anche i leghisti a Milano! Accoglieremo anche lui, il deserto! E gli daremo il benvenuto! Franco.
Chan Hue Liang finì di leggere e si stirò, allungando le gambe sotto la sedia. Poi s’alzò a s’avvicinò alla grande vetrata. Dall’alto del ventesimo piano del grattacielo rotante dove si trovava il suo ufficio, poteva dominare la città intera: sotto di lui, dove un tempo si trovava la stazione di Porta Garibaldi, correva la ferrovia sopraelevata in direzione del nord Europa. Sorrise fra sé e tornò al computer: 2019 testimonianze potevano bastare. In quanto addetto culturale dell’Impero Indo-Cinese accreditato nella capitale della Padania, aveva ricevuto l’incarico di raccogliere testimonianze sulla desertificazione della penisola italica, un lungo processo che, a ondate successive, si era protratto per circa un trentennio: finalmente aveva concluso il lavoro. La mole imponente di quegli scritti riversati in minuscoli microchips, era a sua volta un fenomeno del tutto particolare che era stato bene documentare. Infatti, all’inizio del secondo millennio, si era diffusa in quella che allora era ancora l’Italia, la passione per la cosiddetta microstoria; nascevano gruppi spontanei che si dedicavano alla scrittura delle proprie biografie, veniva riscoperta l’importanza della testimonianza orale, del valore dell’esperienza delle persone comuni. Dopo un centinaio d’anni anche quel fervore era passato di moda, ma per una di quelle coincidenze del destino, proprio l’esistenza di queste biografie, o semplici messaggi di posta elettronica, avevano permesso di ricostruire non solo da un punto di vista strettamente scientifico, le prime avvisaglie della desertificazione. Si era divertito a leggere tutto, ma ora i suoi superiori gli facevano fretta: doveva chiudere il dossier.
Mise tutto in una piccola borsa che portava al collo e uscì in fretta; doveva sbrigarsi se voleva concedersi una cenetta al ristorantino milanese poco lontano dall’ufficio, in Via Carlo Farini, prima di raggiungere l’aeroporto; ma lo attendeva una sorpresa poco gradita. Il suo amato locale aveva cambiato gestione, le lanterne rosse esposte sopra la porta d’ingresso non lasciavano dubbi in proposito. Chan sospirò e si convinse dopo una breve esitazione, a chiamare un taxi. Niente risotto allo zafferano, niente rustin negà e rane come l’ultima volta disse fra sé sconsolato; ma che poteva farci? Poi ebbe un sussulto, aggrottò la fronte e si ricordò: non era a Milano quando aveva cenato l’ultima volta alla meneghina! Era successo a Canton, la sera prima di partire per l’Europa.