DIARIO BERLINESE: QUARTA PARTE
1 Febbraio 2012. I giorni della merla non tradiscono mai, leggo sui giornali che una copiosa nevicata ha ricoperto Milano: anche a Berlino la temperatura è arrivata a meno otto, alcuni tratti dei canali sono ghiacciati.
20 Febbraio.
Berlino sta cambiando, si cominciano a sentire sul serio anche qui gli effetti della crisi europea. L’aumento del prezzo dei mezzi di trasporto (sebbene non siano stati praticamente toccati gli abbonamenti per studenti e altre fasce protette), la sempre più scarsa manutenzione di scale mobili e altri accessori legati alla rete metropolitana, un aumento visibile di barboni in alcune parti della città. Si vive sempre bene qui, ma i segni del mutamento ci sono tutti. Ne parlo con un lavoratore serbo che vive qui da tempo. Fuggito dalla guerra civile jugoslava ed emigrato in Germania con famiglia, dopo essere passato da Italia, Francia, Olanda. Oltre al serbo croato parla benissimo altre tre lingue (italiano, olandese e inglese) ma solo discretamente il tedesco, tanto che vuole frequentare un corso al Goethe. Fa ogni genere di lavoro che abbia a che fare con la manutenzione degli alloggi.
“Fra due anni vado via …”
“Perché? Lavori bene qui …”
“Si, ma fra due anni tutto finito …”
“Non esageri un po’?”
“Prima avevo troppo lavoro adesso sto fermo anche per un mese … è per questo che sono andato a Parigi con mia moglie e mia figlia … non avevo niente da fare … Parigi belisima.”
“E dove torni?”
“A casa in Serbia …”
Lui è un termometro molto sensibile proprio per il lavoro che fa e le sue parole mi colpiscono.
“Solo due anni? Ne sei proprio convinto?”
“Vedremo.”
Fra un tema e l’altro si ricade sulla politica, ho la televisione accesa mentre parliamo e va in onda un servizio storico sulla prima guerra del Golfo.
“Gli americani non sanno fare altro … la guerra, mi ricorda quello che successo con la Serbia.”
Evito di dirgli che quella guerra fu forse voluta con altrettanta forza dagli europei e che fra l’altro ha avvantaggiato non poco la Germania … Continuiamo a parlare e mi rendo conto di quanto prestigio goda Putin presso gli slavi. Lo avvertono come un leader che resiste allo strapotere americano, anche se poi aggiunge che:
“I russi sono il peggio.”
Dopo un lungo giro si ritorna alla Germania e io accenno al saccheggio di Croazia e Slovenia …
“Certo è tutta loro la costa croata, se la sono presa: Sarajevo è tedesca e la Slovenia pure …”
“Il programma di Hitler …”
“Certo e senza sparare un colpo!”
“Però a Berlino si vive ancora bene dai!”
11 febbraio 2013
Di nuovo verso Berlino. Leggo in aereo le corrispondenze della stampa tedesca sull’ultimo giorno da Papa di Ratzinger. Non mi aspettavo il tono spesso duro, una visione del gesto totalmente diversa da come è stata vissuta in Italia. Faccio una premessa. Ratzinger non era particolarmente amato o considerato in Germania, il soglio pontificio a un cardinale tedesco non ha mai scaldato il loro cuore più di tanto, in televisione le apparizioni del Papa non erano mai aumentate e sono lontanissime dal presenzialismo nella nostra tv, nei dibattiti di seconda serata si sentivano spesso delle critiche anche prima e quando lo scandalo pedofilia ha toccato il fratello Georg c’è chi ha chiesto le sue dimissioni da pontefice. Eppure, ora che le ha date, la stampa tedesca sembra reagire in modo del tutto diverso. Pensavo che anche qui il suo fosse considerato un gesto di coraggio e invece, a parte alcune difese d’ufficio, i commenti sono assai aspri e talvolta decisamente di cattivo gusto. Sotto il titolo di “Infallibile solo nelle dimissioni” la Berliner Zeitung rincara la dose parlando di lui come di un modesto teologo. Si potrebbe però obiettare che il quotidiano berlinese è noto per le sue posizioni progressiste e laiche ma anche Die Welt, conservatore, considera il suo un gesto adatto a un amministratore delegato ma non a un Papa e addirittura la Frankfurter Allgemeine scrive che “il culto della persona ha assunto dimensioni quasi blasfeme, fino al punto che Benedetto XVI persino in pensione si fa chiamare Sua Santità.”
Una differenza abissale con i commenti italiani, ma anche con quelli di altri paesi, per nulla in sintonia con la folla che durante gli ultimi giorni di pontificato accorreva in Piazza san Pietro. Commenti molto tedeschi, si potrebbe dire: il capitano che non può lasciare la nave, il culto del senso di responsabilità che certamente ha qualcosa di protestante e forse anche di queste antiche punture di spillo fra cristiani rimane una eco in queste prese di posizione. Quello che è totalmente assente è un qualsiasi discorso sul ruolo della curia romana in tutta la vicenda, sul peso di un assedio che a tutti è parso evidente.
12 Febbraio.
Forse si capisce di più dell’atteggiamento tedesco, se si considerano altri fattori. Da tempo in Germania le critiche al cattolicesimo investono aspetti teologici e a livello se non di massa, almeno di minoranze agguerrite. Si contesta l’immagine e la dizione Dio padre, in quanto escludente delle donne. Non è una critica che proviene solo da movimenti femministi, ma si sta facendo ampia strada in settori diversi dell’opinione pubblica. Se, infatti, il ritratto di Cristo e la sua nascita storica ne fanno un soggetto maschile senza alcuna discussione possibile, l’immagine di Dio troppo legata alla fisicità di maschio, appare paradossale e in effetti lo è. Vengono in mente anche le parole del buon Albino Luciani, che si fece di tutto per gettare nel ridicolo. Dio è anche madre (lui a dire il vero aveva detto mamma e questo aveva contribuito a suscitare commenti sarcastici e superficiali sentenze psicoanalitiche sulla sua persona), ma vedere oggi lo stesso argomento raccolto in altro modo e con dovizia di argomentazioni, fa una certa impressione; positiva peraltro.
15 Febbraio 2013.
Nasce in Germania Fermare il declino, un movimento che diventerà presto un partito. Si dichiarano europeisti, ma sono contro l’euro e per il ritorno alle monete nazionali o ad aggregazioni monetarie diverse e più leggere. Le novità sono due e forse tre. La prima: il partito è diretto dall’ex presidente della Confindustria tedesca. È una novità e assai eclatante, perché segna una rottura nel fronte dei poteri forti e fa emergere una contraddizione di cui si sapeva da tempo, ma che non era ancora esplosa: è un segnale ostile a Merkel che proviene dall´interno dell’attuale establishment ma che fino a ora era un mugugno. Il partito si chiamerà Alternative für Deutschland. Vedremo se lo stupidario europeista acefalo definirà populisti anche loro. Seconda novità implicita nella prima: un partito conservatore anti euro costringerà la Linke tedesca a chiarire meglio le sue posizioni. Fino a ora la Linke e i movimenti di Occupy Frankfurt, hanno avuto il monopolio dell’opposizione alla moneta unica, ma si sono anche dovuti difendere dalle accuse di populismo, con il risultato che la loro opposizione è risultata spesso debole o di puro principio. Oggi dovranno dire qualcosa di più. Terza novità (forse). La sensazione è che i successi del Movimento Cinque Stelle in Italia abbiano accelerato il varo di questo partito, di certo pronto da tempo a uscire allo scoperto, ma che forse avrebbe atteso le elezioni tedesche in autunno, per poi uscire in vista di quelle europee. In Germania come in Inghilterra, non temono il Grillo in Italia, ma il Grillo in Europa, nei loro paesi. In Portogallo sta nascendo qualcosa di analogo al movimento Cinque stelle e questo fa paura.
20 Febbraio
Ancora su Ratzinger. Il suo gesto è il precipitato massimo di una contraddizione. Un Papa che si dimette come se la sua carica fosse del tutto simile a una qualsiasi altra è un gesto di estrema secolarizzazione, ma da un altro lato non è forse anche un segno di umiltà? Cristo non era un eroe sconfitto per le regole mondane? Il suo comportamento, almeno nelle intenzioni, non rovesciava il culto antico dell’eroe, legato solo a imprese belliche gloriose? Ratzinger assomiglia di più a un amministratore delegato che scappa prima che arrivino i carabinieri (è una metafora, non arriveranno mai), a sequestrare lo IOR, oppure è uno che dice, tenetevi pure il mondo io me ne vado da un’altra parte? Forse nessuna delle due ma una terza intermedia, però mi colpisce che nessuno, fra i cattolici, pensi all’altra. Solo Cardini ha parlato di una sconfitta di Ratzinger. Forse in un senso leggermente diverso, però. Ci capiremo forse qualcosa di più vedendo chi sarà il nuovo Papa, o forse mai.
10 Aprile.
Le coincidenze temporali sono sempre suggestive: ricordiamo tutti l’impressione che fece il fatto che la Rivoluzione Francese iniziasse nell’89 e che il Muro di Berlino cadesse due secoli dopo nello stesso anno. Che significa? Nulla o forse no: per esempio potrebbe significare che allora si era chiusa una parentesi di due secoli, in cui l’umanità per la prima volta ha sognato di potere realizzare una società giusta nell´al di qua e non nell’aldilà … e per di più ha avuto anche l’ardire di tentarlo e non solo di sognarlo. Che sia stata sconfitta almeno per il momento può fare ghignare soltanto i potenti, i cinici e gli stolti.
Le coincidenze si ripetono anche in questo anno di grazia e intrecciano la piccola Italia addirittura al cosmo e alla divinità. Nel breve spazio di un mese abbiamo nell’ordine: le dimissioni di un Papa, la sede presto vacante della Presidenza della repubblica, un vuoto di governo, elezioni che ci consegnano un parlamento difficilmente governabile, un nuovo Papa. Tutto ciò può anche risultare tragicomico, oppure suggerire che a volte il piccolo e il grande, unendosi in uno spazio temporale assai ristretto, possono essere l’indice o il segno di cambiamenti profondi di cui però stentiamo a vedere la direzione.
3 ottobre 2013.
Il silenzio del governo tedesco su Lampedusa è finito. Le dichiarazioni molto critiche di Shultz, presidente del Parlamento europeo e possibile ministro degli esteri di un governo di Großße Koalition erano passate un po’ inosservate, visto il ruolo istituzionale che ricopre, ma la dichiarazione di seguito che riporto, mette fine al clima di cordoglio unanime, ma pone anche fine alla retorica:
Il ministro degli Interni Hans-Peter Friedrich (Csu) … ha escluso un ripensamento delle regole che governano la politica europea sui rifugiati, ha chiesto l’inasprimento delle pene per i trafficanti di uomini e respinto l’accusa rivolta all’Ue di rinchiudersi nei propri confini.
Solo la Germania ha concesso quest’anno rifugio a 80 mila profughi. La dichiarazione che segue è ancora più chiara:
Le richieste di aiuto dell’Italia a Bruxelles sono legittime, ma a volte appaiono come misere scuse, giacché il Paese, alla fine, non è gravato dal flusso migratorio più di altri Stati membri, al contrario. Finora Roma ha concesso accoglienza ufficiale a 65 mila profughi contro i quasi 600 mila della Germania. In più l’aiuto si esaurisce solo ai rifugiati provenienti da Eritrea, Somalia e ora Siria e, una volta ottenuto il permesso, il rifugiato deve decidere da solo dove sistemarsi senza che gli venga assegnata una residenza, del denaro o adeguata assistenza sanitaria. Al fondo di questa politica c’è l’auspicio che i rifugiati decidano di emigrare ancora in altri Paesi europei, dove le condizioni assicurate sono migliori.
Per risultare credibile nell’intento di umanizzare la politica europea sui rifugiati, ha concluso il quotidiano berlinese, l’Italia deve saper mettere mano anche alla sua stessa legislazione, per esempio alla legge Bossi-Fini. Fatte salve le ragioni di politica interna che possono avere in parte ispirato questo comunicato, esso contiene però alcune indubbie verità che in Italia si cerca di nascondere.
20 Ottobre.
Scendo dal metro un po’ prima di Postzdamer Platz e attraverso il Tiergarten. I colori autunnali sono esplosivi, è una giornata di sole. I boschi circondano Berlino, così come le acque: non solo la piccola Spree, che sembra un fiumicello se paragonato ai fratelli illustri che solcano altre grandi città europee, ma i grandi laghi. Boschi e laghi ovunque, dentro la città e intorno. Boschi e non giardini e la precisazione è d’obbligo: perché la mano umana si astiene dall’intervenire troppo per abbellire e curare. L’intervento si limita allo stretto necessario: tagli e potatura, rimozione dei rami caduti e questo è tutto; a parte le ampie strade sterrate e i sentieri dove tutti corrono o vanno in bicicletta. Per questo anche il Tiergarten conserva il suo tratto selvaggio, il ciclo vita-morte lasciato al suo procedere naturale: dal risveglio primaverile, alla contenuta esuberanza estiva che appartiene a un bosco nordico, allo smagliante tramonto autunnale, alla marcescenza invernale. Vita e morte, il ciclo ingovernabile ma saggio, che mi fa venire in mente i versi memorabili dell’antologia di Spoon River, che Edgar Lee Masters mette sulle labbra di un personaggio di nome Paul Nitze, che potrebbe persino essere di origine tedesca:
O morte, giardiniere autunnale che prepari la primavera della vita.