ASJA LĀCIS
Introduzione
Asja Lācis, è fortemente legata all’esperienza sovietica e rimane un personaggio tipico della parte orientale dell’Europa dei primi trent’anni del secolo scorso. Tuttavia, la sua opera ha influenzato anche le correnti rivoluzionarie che si sviluppavano nella parte occidentale dell’Europa, tanto che alcune delle esperienze da lei fatte arriveranno fino al 1968 e oltre. Per queste ragioni, lei e i suoi sodali, furono un tramite che permise alle sperimentazioni più ricche avvenute in alcuni anni decisivi – dal 1917 al 1927 – nell’Europa orientale, di approdare a Berlino ed esservi custodite e riproposte anni dopo. Fu questa preziosa mescolanza a resistere nel tempo, a superare la tragedia dello stalinismo e a nutrire nuove esperienze rivoluzionarie.1 C’è un anno emblematico, il 1927, in cui tutto quello che era maturato nel decennio precedente inizia a essere travolto; ma ancor più dell’anno in sé che è poi quello in cui si rafforza il potere personale di Stalin nell’Unione Sovietica orfana di Lenin, mi sembra importante un episodio che può apparire minore. Durante il decennio 1917-27 e nonostante la guerra civile e le invasioni straniere, esperimenti d’avanguardia in ogni campo della scienza e della pedagogia avvennero proprio in Russia. Un esempio per tutti: nella cura dall’autismo, furono condotti nel centro aperto da Sabina Spielrein e Vera Schmidt a Rostov percorsi di cura e sperimentazioni che si sarebbero diffuse ovunque.2 Fra i bambini curati presso questo centro vi fu pure il figlio di Stalin, Vasilij. L’illustre padre lo fece chiudere per decreto nel 1927, un anno con il quale si conclude una lunga fase della storia Russa iniziata con l’invasione napoleonica! Qual è il tratto distintivo di quel decennio? Si tratta della riproposizione di un tema antico che risale alle origini della Russia e cioè la costante oscillazione mai risolta fra la propensione ad aprirsi verso occidente e la spinta contraria. In un certo senso lo stesso interrogativo si può porre anche rispetto alla stessa rivoluzione del 1917: fu una manifestazione della propensione russa verso l’Ovest oppure fu un prodotto dell’Ortodossia russa e dei caratteri profondi di quella cultura, senza intendere il termine ortodossia in senso strettamente religioso? Asja Lācis visse entrambe queste tensioni in modo non sempre consapevole, ma fedele nel registrarle nei suoi diari e taccuini. Tutto questo è stato finalmente raccolto ed è diventato un libro, edito in Italia da Meltemi nel 2021: Asja Lācis, l’agitatrice rossa, a cura di Andris Brinkmanis.
La sua adesione al processo rivoluzionario fu senza riserve: però si legò subito alle esperienze più radicali dell’avanguardia russa. Tuttavia, durante il suo soggiorno a Capri e Napoli, poi a Parigi e a Berlino, fu acutissima nel saper cogliere le differenze e i problemi in parte diversi che si vivevano nella parte occidentale dell’Europa. La scelta d’instaurare un rapporto organico con Berlino e con la sinistra radicale berlinese, fu anche un modo per salvaguardare quanto di meglio aveva sperimentato a Riga e a Mosca. Questa mossa le permise di uscire in un certo senso indenne, pur pagando un prezzo personale altissimo, dalle derive della restaurazione staliniana: il campo di concentramento non spense il suo ardore rivoluzionario e trovò modo anche in quel contesto estremo di mettere al primo posto la propria capacità di organizzatrice, oltre che di scrittrice e di teorica.3
Fra teatro, cinema e agit prop
La Rivoluzione Bolscevica la vede protagonista da subito sul piano politico, oltre questo c’è la vastità d’interessi, la sua curiosità intellettuale; infine, un nucleo molto forte intorno al quale si dirama ogni altro interesse e che è ben riassunto da una frase di Lācis medesima riportata nel libro alla fine del saggio introduttivo di Brinkmanis:
Nella lotta, l’arte deve diventare strumento e alleato.4
Tutta la sua vita fu improntata a tale intento e nella sua esperienza arte significa in primo luogo teatro e poi cinema. Oltre a questo, il suo essere donna e femminista ante litteram, la sua militanza politica inflessibile, la decisione nell’affrontare i passaggi drammatici della sua vita: dalla salute precaria alla detenzione. Infine la noncuranza, almeno fino a un certo punto, rispetto all’immagine di sé e la cura del proprio lavoro. In tarda età si rese conto che forse qualcosa doveva dire per fare emergere la sua opera e il suo valore: questo ha aiutato i pochi che le furono vicini fino alla fine – nel mezzo di qualche episodio spiacevole ricordato anche nel libro – a ricostruire tutti i passaggi essenziali della sua vita e di permetterci ora di affrontare l’opera nel suo complesso. Un uomo le fu sempre accanto in modo silenzioso e amorevole: Berhnard Reich, il regista austriaco e suo compagno. Con lui Lācis conobbe Berlino e le prime sperimentazioni teatrali di Brecht con il quale collaborò da subito. Il merito maggiore della sua scoperta, tuttavia, va dato a Hildegard Brenner della rivista Alternative. Fu lei, nel 1968, a ritrovare un fascicolo su Benjamin negli archivi della DDR e a fotocopiarlo clandestinamente. In esso era presente il nome Lācis. La cercarono e scoprirono che era ancora viva e attiva nella cittadina baltica di Valmiera, dove viveva insieme a Reich. Ritrovarla fu l’inizio vero della sua riscoperta.
L’apprendistato di Lācis avvenne in un contesto dove esisteva già una tradizione illustre. La Russia degli ultimi decenni del 1800 è quella di Cechov, di Stanislavskj e delle scuole di teatro di San Pietroburgo: successivamente delle sperimentazioni cinematografiche degli anni ’10.5
Lācis si forma in questo ambiente ma ovviamente il 1917 non è un anno qualsiasi nella storia europea. La ricostruzione di questi passaggi della sua vita, come riportata dal libro di Brinkmanis è più che esauriente per mettere a fuoco questo percorso iniziale e a esso rimando. Il tratto essenziale e costante di queste esperienze è la sua vicinanza alle correnti più estreme delle associazioni e delle istituzioni culturali e politiche nate con il bolscevismo. La prima traduzione in un progetto concreto della sua attività fu la sperimentazione teatrale di Orël, dove Lācis si propose di dare una prospettiva ai bambini e ai ragazzi abbandonati che erano un numero considerevole ovunque e costituivano un serio problema sociale. Il racconto di questa esperienza entusiasmò Benjamin che le propose una propria riflessione teorica sull’esperienza. Lei accettò. Il saggio di Benjamin ebbe due diverse versioni di cui una andata perduta.6
Dal ’21 al ’30
Sono gli anni decisivi sia per lei sia per Benjamin. Il saggio che prendo in considerazione per primo è proprio un testo del 1921, dal titolo Nuove direzioni dell’arte teatrale, che inizia così:
L’arte non è fine a se stessa ma aiuta a raggiungere i più alti obiettivi dell’umanità. In questo senso, il socialismo e l’arte devono andare di pari passo … Questa nuova vita si collegherà con l’arte. Allora arte e vita diventeranno tutt’uno … La vita è creativa fluisce sempre, la vita è dinamica. L’arte fa parte di questo movimento, se inizia a fermarsi si sclerotizza. Tutto ciò che diventa statico nella vita, non è più necessario, anche se si tratta di arte … 7
Questo incipit perentorio è una critica alla presunta autonomia assoluta dell’arte e indirettamente all’idea di un’art pour l’art, anche se questo secondo aspetto è meno rilevante per Lācis. Nella parte finale della citazione si precisa meglio un concetto che ha certamente influenzato anche Benjamin e cioè che la tradizione (ciò che diventa statico) perde la sua necessità, anche se continua a essere arte: è questa la ragione per cui la semplice contemplazione dell’opera, sia individualistica, sia – rapportata al nostro presente – come consumismo culturale di massa, non porta ad alcuna consapevolezza critica. Nella citazione vi è indubbiamente qualcosa di estremo, ma non necessariamente di estremista; lei stessa si renderà conto della difficoltà di tenere sempre alta la tensione rivoluzionaria implicita nella citazione e infatti in un passaggio successivo afferma:
Non possiamo avere subito il teatro-vita e il teatro-estasi. Abbiamo bisogno di unità sociali, per questo dobbiamo incentrare il nostro metodi lavoro sul futuro e non sul passato.8
Non si tratta dunque di rinunciare del tutto all’aspetto contemplativo e anche di autonomia dell’arte, ma essa è un punto di arrivo in un contesto completamente diverso. In una successiva citazione emergono tutte le ragioni della scelta prioritaria di Lācis per il teatro:
… Il teatro è già collettivo nella sua essenza, è una sintesi dell’arte e si avvicina al futuro … Attualmente, per certi versi, il teatro è un laboratorio di sperimentazione che sviluppa nuove tradizioni. Questo laboratorio ritiene il collettivismo necessario, poiché le sue ultime produzioni sono improvvisazioni eseguite da tutti, pubblico compreso 9
Tale intento si concretizzerà in esperimenti teatrali di notevole portata ma avrà un influsso anche sull’agitprop, mentre alcune sperimentazioni avranno, come vedremo, un futuro che andrà ben oltre il momento storico in cui nacquero. Il rifiuto del teatro intimistico è solo uno degli aspetti della critica in atto perché anche il naturalismo è sottoposto a una critica serrata:
… Il teatro naturalistico è troppo angusto, troppo statico per le idee e gli sforzi ardenti di ricerca. Il nuovo teatro mira ai simboli, al realismo stilizzato e alla semplicità per esprimere con il minimo dei mezzi il massimo del pensiero e dell’azione. Il contenuto rivoluzionario cerca una forma rivoluzionaria …10
Il teatro naturalistico è quello che nasce dal realismo ottocentesco. La volontà di cercare la forma adeguata e nuova per contenuti nuovi sarà costante in tutta la vita di Lācis e probabilmente tale continua accelerazione, tipica dei movimenti rivoluzionari, non poteva essere protratta nel tempo indefinitamente. L’accenno all’uso del minimo di mezzi è certamente dovuto alla scarsità, ma se si pensa all’essenzialità delle scene del teatro brechtiano, si può dire che questa ipotesi ha avuto una traduzione che è diventata un canone novecentesco per il teatro.
Nel 1922 Lācis è a Berlino una prima volta e in momenti diversi ci sarà fino al 1924. Inizia la collaborazione con Brecht ma specialmente entra in contatto con la Volksbühne – il teatro del popolo berlinese – e con Ernst Toller. Un resoconto vivace di questa prima esperienza si trova nel saggio Teatro espressionista e Brecht, sempre nel libro di Meltemi Asja Lacis L’agitatrice rossa alle pagine 81-87. 11
Il secondo saggio importante riguarda invece il cinema, è scritto a quattro mani con Ludmilla Keilina nel 1928 e s’intitola I bambini e il cinema. L’attrazione di massa dei bambini al cinema cattura immediatamente l’attenzione di Lācis e questo mette in evidenza il secondo aspetto decisivo in tutta la sua ricerca e cioè l’interesse per un’arte che sia anche pedagogica. Il saggio parte da alcuni dati statistici e osservazioni empiriche sull’interesse che i bambini manifestano spontaneamente nei confronti del cinema, ma subito dopo nota come non vi sia da parte delle organizzazioni rivoluzionarie l’attenzione dovuta a tale constatazione. Perciò i bambini frequentano molto i cinema commerciali dove:
… Assistono prevalentemente a film stranieri polizieschi e di avventura o sentimental-borghesi che ostentano i lussi della società borghese
Le due autrici raccolgono testimonianze dirette da alcune lettere scritte da bambini e bambine che rivelano una sorprendente effervescenza sociale, un attivismo quanto mai prezioso e che è indubbiamente il risultato delle trasformazioni rivoluzionarie in corso. Alcune lettere sono davvero sorprendenti anche per l’età di chi le scrive e si propone come attore o attrice e comunque come interessato al cinema.12
L’inchiesta diviene così la documentazione di base per poter poi avanzare delle proposte, un metodo di lavoro che Lācis cercherà di non abbandonare mai. Le due autrici dell’articolo censiscono le pellicole proiettate e rivolte all’infanzia. La sintesi cui giungono è tuttavia impietosa:
… Le cifre la dicono lunga su quanto siano trascurate, in termini quantitativi, la fornitura di film speciali per i bambini, ai bambini stessi.13
La critica, tuttavia, non è mai fine a se stessa, proprio perché basata su inchieste rigorose. Alla fine del saggio, infatti, nelle conclusioni i suggerimenti per migliorare la situazione sono quanto mai precisi e realistici.14
Il terzo saggio s’intitola Becher, Brecht, Benjamin. È un scritto sulla drammaturgia sovietica che contiene anche una lettera di Benjamin ad Asja. Siamo nel 1928 e alcune cose hanno già cominciato a cambiare. L’esperienza rivoluzionaria a Riga si era conclusa nel 1926 quando l’ambasciatore sovietico aveva organizzato il suo espatrio in Russia per evitarle l’arresto da parte delle autorità della capitale baltica. La sua attività in ambito teatrale era continuata a Mosca fino al 1927 e di questo periodo si trova una testimonianza puntuale nello scritto Teatro nell’illegalità e cinema per ragazzi.15 Nel 1928, però, avviene la svolta importante che Lācis così ricostruisce:
Nel 1928 lasciai il lavoro al Sojuskino, che faceva capo al Narkompros, per essere distaccata in Germania. Il gruppo Teatro proletario di cui facevo parte, mi incaricò di prendere contatto con la Lega degli scrittori proletari. 16
Non sono del tutto chiarite le ragioni per cui lasciò il lavoro, che forse hanno a che fare anche con i mutamenti della situazione in Russia.17
Il trasferimento a Berlino inaugura un rapporto molto stretto fra le avanguardie sovietiche e quelle tedesche. Inoltre, come si evince dalla testimonianza di Lācis, i comunisti tedeschi, nel 1928, erano ancora convinti della possibilità di una prossima rivoluzione in Germania: prendere contatti fra le due avanguardie era dunque un modo di continuare a Berlino le esperienze più radicali maturate durante il comunismo di guerra.
L’accoglienza è calorosa, Brecht le pone continuamente domande sulla situazione in Russia e su Majakovskj e si batte per portare a Berlino anche la drammaturgia di Mejerchold. Lācis si lascia coinvolgere nelle atmosfere berlinesi, partecipa a dibattiti e assemblee, spesso interrotte dall’arrivo delle SA naziste, discute molto con i tre autori citati nel titolo, ma in particolare con Brecht e con Benjamin, di cui nota un cambiamento di stile nella scrittura, diventata più semplice. Le abilità organizzative di Lācis le permettono d’inserirsi facilmente nell’ambiente, cui cerca di proporre gli autori russi del RAPP, il raggruppamento degli scrittori proletari. Il clima è di aspra lotta, ma anche di grande fiducia nel futuro e persino Benjamin si lascia prendere da un certo entusiasmo. La testimonianza di Lācis è preziosa perché ricostruisce un clima che in parte contraddice la visione che gli storici proporranno successivamente. Lācis, tuttavia, nota anche l’inquietudine di Benjamin e di Kracauer, rispetto all’atteggiamento della piccola borghesia tedesca in rapporto a classe operaia. Il tema è assai importante e ossessionerà Brecht.18 Lācis registra puntualmente queste preoccupazioni di Benjamin, anche se non sempre le comprende perché è difficile per lei capire quanto sia pervasiva ed estesa una classe come la piccola borghesia che nell’Europa orientale praticamente non esisteva o quasi. Le anime morte gogoliane o gli zio Vanja di Cechov erano un’infima minoranza insignificante nella Russa zarista, mentre erano milioni nella Germania del tempo e tutto sommato anche in Italia, seppure in misura minore. Benjamin e Kracauer comprendono subito il ruolo da peso morto che questa massa inerte piccolo borghese può esercitare in Germania e specialmente temono che la propaganda nazista abbia su di essa una presa che Lācis stenta a comprendere. La discussione più accanita fra di loro, tuttavia, riguarda altro e viene così ricostruita da lei nel saggio:
Gli rimproverai di non riuscire a liberarsi dell’estetica idealistica … In seguito ho capito che aveva ragione: poiché aveva individuato il difetto di molti critici di allora: la sociologia volgarizzata ….19
La sociologia volgarizzata, una sorta di marxismo volgarizzato che Benjamin avrebbe chiamato con il suo nome nelle Tesi sulla storia, era peraltro parente della deriva staliniana che stava cancellando il meglio delle avanguardie in Unione sovietica; altrettanto si può dire del Saggio popolare di Bucharin aspramente criticato da Gramsci nei Quaderni. Infine altri due saggi che chiudono questa parte del libro curato da Brinkmanis, sono importanti come testimonianza. 20
1968: la riscoperta
La terza parte del libro di Brinkmanis dal titolo Teatro rivoluzionario in Germania, amplia ulteriormente lo scenario e permette di capire meglio alcune dinamiche di quegli anni.
Il 1968 fu infatti un anno importante per molte cose e lo fu anche per Asja Lācis e per Walter Benjamin. Oltre alla riscoperta della loro opera e anche di altre coeve e dimenticate come quelle già citate di Vera Schimdt e Sabine Spillrein, fu il Living theatre a ispirarsi a tali esperienze. Judith Malina e Julian Beck, che ne sarebbero stati i fondatori, parteciparono a un seminario di Piscator a New York, insieme a Paulo Freire e Augusto Boal. Fu il primo passo per creare il gruppo teatrale più sperimentale della seconda parte del ‘900. L’improvvisazione, in particolare, divenne uno strumento indirizzato alla formazione di attori e attrici, ma fu un mezzo pedagogico di grande importanza per tutti. Anche Kantor, lo pseudo teatro di Grotowskj e altri gruppi teatrali che si muovevano fra arte e arte terapia, sono senz’altro debitori nei confronti di Asja Lacis e Erwin Piscator.
Il problema di fondo di questa parte riguarda il nesso fra teatro vero e proprio e agitprop, cioè l’uso direttamente politico dello spettacolo teatrale a fini propagandistici. I saggi di questa terza parte, pur avendo titolo diversi, si possono considerare come uno solo dal titolo Piscator, iniziatore del teatro Agitprop. In esso Lācis ripercorre tutta l’esperienza berlinese.
Nella prima parte, l’introduzione politica, pur breve, è assai significativa. La relativa stabilità dell’economia tedesca nel 1923, aveva causato un allontanamento dal teatro rivoluzionario da parte di molti attori e attrici che percepivano maggiori introiti scegliendo di recitare nei teatri privati. Piscator era uno dei pochi rimasti fedeli al teatro rivoluzionario anche nei momenti più difficili. In occasione delle elezioni del 1924 il clima cominciò di nuovo a cambiare e riprese vigore una impetuosa ondata di lotte operaie. Il ruolo della Volksbühne e cioè il teatro popolare venne rivitalizzato.
Nasce nel 1924 la Revue Rote Rummel (RRR): i testi furono redatti da Piscator e da Felix Gasbarra. La partecipazione di massa agli spettacoli si trasforma spesso in vere e proprie improvvisazioni cui il pubblico in gran parte fatto di proletari interagisce in modo attivo. Vi sono alcune figure tipiche che sono sempre presenti: un borghese e un proletario che discutono animatamente, il reduce di guerra mutilato piuttosto che il ricco impresario. Nel 1925 Piscator e Gasbarra mettono in scena Trotz alledem, (Nonostante tutto). Il regista definì lo spettacolo:
Un unico gigantesco montaggio di discorsi autentici, saggi, estratti dal giornale, appelli, volantini e film di guerra.
Una sorta di opera totale di nuovo tipo. Altrettanto importante è il commento di Asja Lācis:
… Il successo e l’impatto della rappresentazione furono senza precedenti … La novità consisteva nel fatto che il materiale storico era stato elaborato senza includervi storie d’amore e senza riferimento alle vicende personali degli eroi. Nuovo era anche l’uso del materiale documentario, che allora faceva un effetto più potente di qualsiasi artificio letterario o sofisticherie composte in giambi …21
Un ulteriore sviluppo avviene nel 1928 quando viene fondato l’Arbeiter-Theater Bund Deutschland di Friederich Wolf. Nasce però intorno a questa esperienza un dibattito vivace, in cui si contrappongono due diverse visioni del rapporto fra arte e propaganda. I sostenitori, per esempio della Blaue Bluse (che potremmo tradurre con le tute blu), sostengono una stretta relazione fra teatro e propaganda e insistono nell’eliminare dal canovaccio dei testi tutto ciò che non sia finalizzato alle lotte in corso.
Dietro questa convinzione c’è un aspetto squisitamente politico di cui tenere conto e che Asja Lācis aveva peraltro evidenziato in saggi precedenti e specialmente in quello al titolo Becher, Brecht, Benjamin e cioè la convinzione dei comunisti tedeschi che ancora nel 1928 fosse possibile una rivoluzione comunista in Germania. Gli storici negano tale possibilità, per alcuni definitivamente fallita con la sconfitta spartachista del 1919, per altri ancora possibile successivamente ma non di certo nel 1928. Il clima di quegli anni però sembrava suggerire anche altro, tanto che lo stesso Benjamin di solito assai prudente ne era stato contagiato. Le ricostruzioni sono sempre difficili specialmente quando – cosa non secondaria – bisogna pur dire che furono anni di straordinaria creatività che proprio a Berlino ebbe le sue punte più alte.
Se questo dibattito squisitamente politico si può considerare del tutto datato, le obiezioni che il secondo fronte contrapponeva alle Blaue Blusen sono ancora quanto mai attuali. George Pijet, nell’articolo Rotes Kabarett oder proletarisches drama, pubblicato sulla rivista Arbeiterbhüne nel 1929, polemizza sulla tendenza a trasformare tutto in cabaret satirico, piuttosto che rappresentare drammi veri e propri. La parte più acuta dello scritto, quanto mai attuale anche nell’Italia di oggi, è la critica alla satira troppo superficiale, quella per intenderci che tende a rappresentare l’avversario come un imbecille, a prenderlo in giro in modo epidermico, mettendo in evidenza i lati più deboli senza prendere in considerazione le ragioni più forti. Tuttavia, anche le scene di massa che pure avevano avuto un grande successo con Gasbarra e Piscator, non sempre si rivelavano efficaci o all’altezza delle prime anche per i costi eccessivi che richiedono. Per questo la scelta di scene brevi ed efficaci si sostituisce alle grandi scene di massa: rimane però sempre importante la capacità di unire testo a improvvisazione. L’orientamento verso un canone più sobrio sarà il cavallo di battaglia Brecht con l’essenzialità delle sue scene e la teoria dello straniamento su cui Benjamin scriverà un saggio decisivo.22
Tuttavia e nonostante dibattiti spesso troppo laceranti e altro, a Berlino in cento giorni era possibile che il teatro Agitprop assemblasse qualcosa come un pubblico di un milione e mezzo di lavoratori, cioè circa un quarto degli spettatori che frequentavano il teatro popolare della Volksbhüne nell’intera Germania.
Una nuova svolta avvenne dal ’29 al ’31, quando si diffusero altre forme di improvvisazione e veri e propri teatri di strada. I tempi però stavano di nuovo cambiando e in peggio. La dissoluzione della Repubblica di Weimar e il suo collasso istituzionale convissero ancora per qualche tempo con una diffusa insorgenza sociale che tuttavia non si trasformava mai in un progetto politico: quando la repressione si abbatté sulle rappresentazioni teatrali proletarie la resistenza fu solo difensiva e anche Brecht fu messo al bando. La rappresentazione della sua versione della Madre di Gorkj non si tenne. L’avvento di Hitler alla cancelleria e poi gli arresti seguiti all’auto procurato incendio dei Reichstat segnarono la definitiva sconfitta del movimento operaio tedesco e dei suoi partiti. La Volksbhüne resistette fino al 1934 quando fu chiusa. Asja Lācis era già tornata in Russia ma di lì a poco sarebbero arrivati i tempi bui anche per lei. Internata in un campo di concentramento in Kazakistan nel 1938, ne uscì dieci anni dopo.
Conclusioni
Ci sono alcune tensioni costanti che accompagneranno Lācis fino alla fine: quella rivoluzionaria, quella pedagogica rivolta in primo luogo ai bambini e la passione per la sperimentazione teatrale. Sono tensioni non facili da armonizzare, eppure la sensazione che si prova arrivati alla fine della sua vicenda umana e politica, è che lei ci sia sempre riuscita anche nei momenti peggiori, con una determinazione e una forza di carattere fuori dal comune. Tuttavia, nonostante questo e alcune asprezze che le costarono la costante inimicizia di Adorno, come conclusione, scelgo uno scritto che potrebbe apparire minore. Si tratta di un taccuino del suo viaggio in Italia avvenuto nel 1924, ma che è stato pubblicato solo nel 1970. Le caratteristiche stilistiche del taccuino ricordano anche il suo diario parigino e Napoli, scritto a quattro mani con Walter Benjamin.
Il diario inizia da un dato biografico e cioè l’irresistibile desiderio di salire su un treno per conoscere altre città e luoghi. La tendenza al nomadismo è costante in tutta la sua vita e non era dovuta solo alla necessità di fuggire, ma è legata a questo sentimento profondo che lei riporta alla sua infanzia. Da studentessa si muove solo nella parte orientale dell’Europa, poi approda in Italia e la percorre da nord a sud, ma quando arriva sulla costa amalfitana non la lascerà più e ci tornerà nel 1924 con la figlia. A Capri conoscerà Benjamin, Gorkj, Marinetti, Adorno e Kracauer. Va a Positano per conoscere l’artista Caspar Neher e scrive nel suo taccuino:
… le case son scavate nella roccia come strani nidi. Passammo la notte sul pavimento di pietra perché all’epoca era frequentata soltanto da artisti poveri; non c’era ancora quel confort e lusso che si può trovare ora….23
Il diario ci restituisce una Lācis più leggera e a tratti persino scanzonata e ironica , comunque capace di una serenità che contrasta con l’immagine di rivoluzionaria tutta d’un pezzo e che testimonia fra l’altro l’amore autentico per i luoghi visitati.
Un’ultima nota la riservo ai viaggi nell’Italia centrale: da Orvieto alle altre città d’arte e monumentali. Infine Roma, dove la sua curiosità la porta a chiedere un lasciapassare per incontrare il Papa: glielo fornisce un giornalista italiano. In fila con altre donne e bardata di veli neri attende l’arrivo di Pio XI, ma quando viene il suo turno lei rifiuta di abbassare la testa e lo guarda dritto negli occhi. Il Papa non si scompone, le impone le mani sula testa e notando il vestito arancione sotto i veli le sussurra a bassa voce “Mosca.”
1 Del rapporto fra Asja Lācis e Walter Benjamin mi sono occupato più diffusamente in un libro che spero possa essere presto pubblicato.
2 La documentazione di questi esperimenti non si trova facilmente. Una testimonianza recente si trova nel libro Prendimi l’anima a cura di Aldo Carotenuto, da cui è stato tratto anche il film di Roberto Faenza con lo stesso titolo.
3 L’oscillazione della Russia fra Europa e Asia è un problema molto affrontato dalla storiografia, ma riguarda un campo assai più vasto. Lo stesso dilemma, per rimanere in campo politico e storiografico, si pose negli anni cruciali che vanno dal 1917 al 1923, sul versante occidentale, ai rivoluzionari tedeschi e italiani. L’oscillazione fra Europa e Asia, è un dilemma che ha una data d’inizio con la Russia di Pietro I il Grande e la sua continuazione in periodo zarista con Caterina II la Grande (1729-1796) e il suo illuminismo di corte. Il tema è troppo vasto per trattarlo qui. Mi limito a suggerire la lettura di due autori che, senza conoscersi pur essendo contemporanei o quasi, hanno riflettuto sulle oscillazioni della politica e della cultura russe: Edward Carr e Iosif Brodskji. Diversissimi, anzi opposti per convinzioni politiche, la loro riflessione ha tuttavia tratti comuni assai interessanti
4 Asja Lācis, l’agitatrice rossa, a cura di Andris Brinkmanis, pag. 125.
5 Nell’agosto del 1907 fu pubblicata in Russia Kino (Cinema), la prima rivista dedicata al cinema. L’impresa durò poco, solo un anno, ma testimonia un interesse che si manifestò subito negli ambienti culturali russi. Il primo imprenditore di documentari e di film a soggetto fu il giornalista e fotografo Alexandr Drankov. Il 28 ottobre 1908 egli presentò nelle sale il primo cortometraggio narrativo, Sten’ka Razin, sceneggiato da Vasilij Gončarov. Il film (224 metri, poco più di 6 minuti) ha un interesse puramente storico, piuttosto che artistico, ma ebbe tuttavia successo. Drankov, associatosi nel frattempo con altri imprenditori, lanciò nel 1911 la prima Rassegna degli avvenimenti, a imitazione del Pathé Journal francese. Dal 1909 si affermò la casa di produzione già fondata a Mosca nel 1906 da Alexandr Chanžonkov. I suoi film trattavano episodi storici. Il filone dei film tratti da opere letterarie, dai classici agli autori più recenti, fu largamente sfruttato: addirittura persino Dante e Shakespeare furono rappresentati, ma le piccole consistevano di poche scene degli episodi più famosi delle loro opere. I primi registi professionali furono Gončarov e Čardynin, ma il regista che si impose davvero fu Jakov Protazanov. Il primo scrittore a fornire sceneggiature per il cinema, fu Nikolaj Breško-Breškovskij. Nel giro di pochi anni lo spettacolo cinematografico, in Russia come altrove, divenne un’abituale forma di svago della popolazione. Nacquero allora i dibattiti e le prime riflessioni sul ruolo che il cinema poteva rappresentare come mezzo di condizionamento ideologico. Il governo e l’alta burocrazia zarista mantennero nei confronti del cinema un atteggiamento di disprezzo che favorì però la diffusione di opere dal carattere rivoluzionario.
6 Asja Lācis, l’agitatrice rossa, a cura di Andris Brinkmanis, Meltemi 2021, pp. 65-79.
7 Op. cit. pag. 125.
8 Op. cit. pag. 127.
9 Ivi.
10 Ivi.
11 Op. cit. pp.82-7.
12 Op. Cit. Pp. 159-60.
13 Ivi.
14 Op. cit. pp. 166-7.
15 Op. cit. pp. 96-101.
16 Op. Cit. Pg.101.
17Dal 1926 era iniziato un dibattito piuttosto aspro riguardante in particolare uno spettacolo di Mejerchold: Il revisore. A dire il vero è l’opera di Mejerchold nel suo complesso a generare una discussione che vede opposti due fronti. I giovani cresciuti nella temperie del comunismo di guerra appoggiano il regista, così come i costruttivisti e l’avanguardia di quegli anni che si raccoglie intorno a Majakovskìj. Benjamin prende decisamente posizione come loro a favore del regista, come del resto Lācis e Reich, tutti appartenenti al fronte di sinistra della cultura. Chi si oppone allora a Mejerchold e all’avanguardia? Sono gli uomini nuovi della NEP, varata da Lenin, ma che dopo la sua morte s’intreccia però con il processo di normalizzazione del partito sotto la direzione di Stalin. Può essere che nel 1928 sulla scelta di trasferirsi a Berlino pesasse già la convinzione che il fronte di sinistra si trovasse in difficoltà e che occorresse una sponda fuori dalla Russia.
18 Per quanto riguarda Brecht mi riferisco in particolare alla dramma Tamburi nella notte, dedicato alla rivolta spartachista. Su questo tema e sulle riflessioni successive di Thomas Mann sono assai significativi gli studi di Furio Jesi. Su questo blog si trovano due saggi dedicati a questo.
19 Asja Lācis, l’agitatrice rossa, a cura di Andris Brinkmanis pag 105.
20 I due saggi in questione sono Il lavoro cinematografico con Piscator, 1931-3 e specialmente Teatro per i contadini dei Kolchozy 1947-57, cioè le esperienze teatrali realizzate a Valmiera nel dopoguerra e successivamente alla sua riabilitazione. Op. cit. pp. 118-22.
21 Op. cit. pp.171-206.
22 Il saggio cui mi riferisco è compreso nella prima edizione einaudiana del 1962 della raccolta di saggi con il titolo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e fu pubblicato nel 1939. Lo si può considerare una riflessione sintetica e definitiva di tutte le esperienze teatrali che Benjamin aveva potuto conoscere negli anni che vanno dal 1924 al 1928, anche se la predilezione per Brecht e in particolare per il concetto di straniamento siano evidenti. A questo tuttavia va aggiunto il rapporto costante fra i due, le discussioni in Danimarca e altri luoghi del loro esilio.
23 Asja Lācis Dal taccuino degli appunti, viaggi all’estero, Italia, in Asja Lācis L’agitatrice rossa, Meltemi 2021, Milano, pp.154-7.