PENOMBRA

Ho appena completato la lettura di Penombra, un romanzo di Uwe Timm pubblicato in Italia qualche anno fa. Di lui lessi un precedente dedicato alla prima vittima degli scontri sociali degli anni ´60 e ´70, lo studente universitario Benno Ohnesorg, ucciso dalla polizia durante una manifestazione Berlino in occasione della visita dello scià di Persia Reza Pahlevi.

Mi aveva colpito di quel romanzo la struttura ad affresco, che si compone sotto gli occhi del lettore poco per volta, attraverso una fitta rete di testimonianze incrociate. I personaggi di Timm vivono nelle parole degli altri, cioè della memoria storica di chi li ha conosciuti e la storia personale s’intreccia con quella più grande, quella tedesca in primo luogo, fino alla caduta del muro.

Lo spunto narrativo iniziale di Penombra  è tanto semplice quanto potentissimo. Il narratore, Timm stesso, che non si nasconde affatto, visita un camposanto accompagnato dalla guida e tutto avviene nell’arco di una giornata compresa negli orari canonici di apertura e di chiusura. Il cimitero non è uno qualsiasi, ma Die Invaliden e cioè il luogo dove stanno sepolti la maggior parte degli eroi, delle eroine ma anche dei dannati della storia tedesca. Generali di campo di Otto von Bismarck si alternano a capi della Gestapo come Heyindrich.

Il narratore e il custode, modernissime incarnazioni di Dante e Virgilio, si aggirano fra le tombe e i morti cominciano a parlare: non solo dialogano con i due visitatori, ma anche fra di loro e i due vivi a loro volta dialogano fra loro. Prende corpo una narrazione corale, dove la barriera fra vivi e morti diventa a ogni riga più labile. Il lettore non sempre capisce chi sta parlando a chi ma è la narrazione corale e frammentaria della storia tedesca ad avvolgerlo che viene ricostruita saltando da una tomba all’altra, da una voce all’altra.

Alcuni protagonisti, però, tornano più di altri, percorrono l’opera intera, scompaiono e ricompaiono: una fra tutte, Marga von Etzdorf, che fa parte di  quella schiera di donne temerarie, protagoniste dell’emancipazione femminile a cavallo fra ´800 e ´90: antropologhe, scrittrici viaggiatrici come Karen Blixen, esploratrici, scalatrici. Lei è un’aviatrice, fra le prime donne a sorvolare gli oceani e a saltare in aereo da un continente all’altro. Il volo aereo è  un altro dei temi che corrono nelle vene del romanzo: il volo fisico, quintessenza del futurismo, della potenza umana di divorare lo spazio. Marga fu la prima tedesca a sorvolare l’Atlantico e la sua fu una vita avventurosa e tormentata. Insieme a lei un altro protagonista Dahlem, ex pilota di caccia della Prima Guerra Mondiale. Si conoscono in Giappone dove lei è atterrata dopo un volo rocambolesco. Il loro è  uno strano rapporto. Dormono nella stessa stanza la sera stessa del loro primo incontro, ma separati da una tenda: si raccontano per una notte intera le loro vite.        

Da una tomba all’altra emerge un altro tema di fondo: il fascino che i tedeschi hanno per la cultura giapponese. È qualcosa che viene prima dell’alleanza fatale durante la seconda Guerra mondiale, affonda in un sentimento comune difficile da decifrare. Agli Invaliden sono sepolti anche dei giapponesi e a volte parlano, recitano degli aiku. Infine, la Shoa, il nazismo con tutto il suo carico di tragedia.

La narrazione, naturalmente – e non potrebbe essere diversamente da così in un romanzo come questo – non segue la lettera degli eventi, ma li mescola, salta temporalmente dalla Germania guglielmina alla DDR: dipende dalla tomba del momento. Romanzo polifonico che trova nella partitura musicale uno dei suoi modelli strutturali: sembra proprio di ascoltare una sinfonia. Il prologo, i temi annunciati per intero nelle prime 50 pagine del libro, vengono ripresi continuamente con continue variazioni, cambi di ritmo anche se il tono di fondo è dolente, mai retorico. Solo quando ricostruisce certe atmosfere militari, specialmente riguardanti la Prima Guerra Mondiale, il linguaggio si fa più aspro e amaro: quando per esempio descrive il riposo dei guerrieri fra bordelli e feste surreali, alcol e altro, prima del combattimento. Non mancano siparietti comici e grotteschi: la morte del conte Von Hüslen Haersilz aiutante generale dell’Imperatore, morto nel guardaroba della principessa di Fürstenberg!

E di nuovo Marga e Dahlem a inseguirsi fra un continente e l’altro senza che nulla accada fra di loro. Il volo del loro possibile amore sublimate in una frase che lei ripete sempre e cioè che:

… il volo vale la vita …

Se così è, Marga la perde nel modo peggiore anche se il motivo del suo suicidio rimane alla fine oscuro. Sono tre gli incidenti di volo nei quali si è imbattuta, uscendone sempre illesa sul piano fisico o quasi: l’ultimo le costa però l’ostracismo dell’ambiente: nessuno vuole più darle un aereo. Il tempo passa fra un incidente e l’altro e Marga poco prima del 1933 viene contattata dai nazisti; in lei vedono una grande risorsa.

Finora hai volato per te stessa… ora volerai per la Germania, per la riscossa del nostro popolo.

Lei aderisce, ma fino a che punto? Non si sa. Certo che loro ne sono convinti. Pare che Hitler, ormai assediato nel bunker, abbia persino detto:

Se i tedeschi fossero stati tutti come Marga i russi non sarebbero arrivati a Berlino.

Leggenda o meno, lei finisce prima della grande tragedia finale, in modo più prosaico. Commette quello che sembra essere il solo errore veramente imperdonabile per un pilota: atterrare con vento a favore. È questo atterraggio pericoloso che le costa lo sfascio del velivolo. Si salva, ma qualcosa dentro di lei si rompe oppure si era già di fronte al rifiuto di Dahlem di una relazione con lei, oppure a fronte della responsabilità troppo grave che i nazisti vogliono caricarle addosso. Si spara nella toilette dell’albergo dove era stata ricoverata dopo l’incidente e siamo proprio nel 1933.