ARTI E LETTERE NEL ‘900 ITALIANO: FRA RIVOLUZIONE E INDUSTRIA. Seconda parte
Il secondo dopoguerra
La caratteristica più originale dalla fine degli anni ’40 fino agli anni ’70 è il doppio intreccio che lega artisti, letterati, architetti e designers alla cultura di sinistra e in alcuni casi al Partito comunista italiano da un lato e al mondo dell’industria dall’altro. Elio Vittorini, Albe e Lica Steiner, Franco Fortini, Gian Giacomo Feltrinelli. Su quest’ultimo la pubblicistica è talmente vasta che è superfluo aggiungervi qualcosa. I due esponenti più originali, sia per la loro storia personale, sia per i contributi che hanno dato, sia per la loro stessa relazione amicale sono Raniero Panzieri e Giovanni Pirelli. Il secondo, un piccolo – ma non minore – Engels italiano, rifiutò il ruolo naturale che gli sarebbe spettato in quanto figlio maggiore di una storica famiglia d’imprenditori, lasciando al fratello Leopoldo le redini dell’azienda, con cui tuttavia mantenne un rapporto fino al 1948. Quanto a Panzieri, il suo ruolo nella nascita dell’operaismo italiano è più che nota: meno nota e assai rilevante la vicenda di Giovanni Pirelli, che verrà ripresa anche nelle conclusioni. 3
Albe Steiner iniziò il suo percorso artistico approfondendo la conoscenza sia del Costruttivismo sovietico (El Lisitzkij), sia del Bauhaus, sia degli astrattisti. La sua prima mostra grafica fu del 1940, alla VII triennale di Milano. Nel 1939 si avvicina al PCI e insieme alla moglie Lica conosce Di Benedetto e Vittorini. Durante la guerra partecipa attivamente alla Resistenza nelle file del battaglione Valdossola e perde il fratello Mino, deportato a Mauthausen. Dopo la Liberazione entra come grafico nella redazione del Politecnico diretto da Vittorini. Le sue scelte grafiche innovative, che si richiamano alle avanguardie russe post rivoluzionarie per approdare persino al fumetto, costituiscono gli elementi fondanti del suo percorso artistico. Sempre con Vittorini, Steiner realizzerà per la Einaudi Politecnico biblioteca, una collana di undici titoli editi fra il 1946 e il 1949.4
La storia di Adriano Olivetti e dell’azienda omonima è troppo nota per riassumerla qui, se non per l’aspetto che riguarda il rapporto fra industria e cultura.5 Dagli anni ’40 fino agli anni ’80, poeti, letterati e scrittori di rilievo lavorarono alla Olivetti ricoprendo ruoli diversi, anche di grande responsabilità. Tra gli altri Giudici, Volponi, Sinisgalli, Pampaloni e Fortini. Quest’ultimo entrò nella società nel 1947, dove operò fino al 1960. Si occupava delle pubblicazioni aziendali, delle campagne pubblicitarie e dei nomi dei prodotti (tra questi, si ricordano Lexikon, Tetractys e Lettera 22). L’utopia di Adriano Olivetti consisteva nell’integrazione fra la formazione tecnico-scientifica e quella umanistica in ogni ambiente, azienda compresa.
Coerente con questo proposito, la selezione del personale prevedeva che per ogni nuovo tecnico o ingegnere entrante si assumesse anche una persona di formazione economico-legale e una di formazione umanistica. Gli scrittori che operarono in Olivetti non furono un semplice fiore all’occhiello della direzione aziendale, ma erano ritenuti organici allo sviluppo aziendale, in particolare in settori critici come pubblicità e comunicazione, le relazioni con il personale, i servizi sociali.
Giuseppe Luraghi fu l’ultimo di questa schiera di intellettuali prestati all’azienda, ma attenti alla cultura e con una visione umanistica del loro ruolo. Dirigente d’industria finirà la sua carriera di manager all’Alfa sud, dopo aver diretto la Necchi e la Mondadori. Coltivava al tempo stesso la passione letteraria, sia come scrittore di romanzi (Due milanesi alle piramidi 1966) e come saggista (Le macchine della libertà del ’67, Milano, dal quattrino al milione nel ’68 e Capi si diventa del ’74.Un capitolo a parte è la sua passione per la poesia spagnola che si tradusse anche in un sodalizio con il poeta comunista Rafael Alberti. Fra i due corse anche un intenso carteggio dal 1949 al ’75.
Un discorso a sé va fatto invece per Bruno Munari e ne riassumerò la vicenda prevalentemente in nota, visto che la sua figura si distacca anche dal punto di vista qui scelto e cioè la relazione che lega gli intellettuali citati non solo al mondo dell’industria ma a quello della sinistra. Munari è un raro esempio di artista che è riuscito a passare indenne – in un certo senso invisibile – dalle tragedie del ‘900, interpretando in momenti diversi un ruolo di artista, manager, intellettuale a tutto campo – tanto da essere definito una figura leonardesca – che con la sua opera ha attraversato il regime Fascista e poi il dopoguerra sempre relativamente estraneo alle vicende del momento storico, ma sempre presente con le sue multiformi e mutanti creazioni.6 A lui, in ogni caso, andrebbe dedicato uno studio ben più ampio di questa nota. Come conclusione provvisoria direi che la sua esperienza segna un passaggio senza soluzione di continuità fra modernità e post modernità. La sua ironia e la sua – direi programmatica – assenza di astrazioni teoriche ne fanno però anche un convitato di pietra della seconda metà del ‘900, capace di indicarne silenziosamente i limiti. I suoi fossili del 2000, aldilà della loro comicità, sono un monumento al dissolversi delle forme e della tecnologia e diventano perciò una metafora dell’inconsistenza del consumismo tecnologico e dello stesso post modernismo: dei nulla rispetto alla permanenza millenaria delle statue dell’isola di Pasqua, della stele di Rosetta e delle Piramidi.
Infine, fra le multiformi esperienze che hanno contraddistinto la letteratura dei quegli anni, un posto importante lo occupano i romanzi operai: sia scritti da lavoratori, sia quelli che hanno il lavoro e spesso la fabbrica come centro di propulsore della narrazione. Oppure le inchieste sul lavoro in fabbrica, a metà strada fra saggistica e giornalismo. Legata a questa esperienza è anche la nascita della rivista Abiti-Lavoro, quaderni di scrittura operaia, fondata da Giovanni Garancini e Sandro Sardella (1983-1993). I romanzi operai costituiscono un fenomeno che riguarda prevalentemente il secondo dopoguerra: i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Calvino, Testori, Tonon, Bianciardi, Ottieri, Bilenchi e Volponi.7 Il giudizio critico sulle loro opere esula dagli intenti di questo studio e peraltro i contributi citati nella nota ne danno un quadro più che esauriente.
Quanto alla rivista, la sua veste grafica è volutamente minimalista, abiti-lavoro è una voce compresa nella busta paga operaia e, in questo senso, la sua fondazione s’iscrivere pienamente nel solco dell’arte povera. Uno dei suoi animatori più prestigiosi fu Ferruccio Brugnaro, poeta e operaio alla Montefibre di Porto Marghera, ma la maggioranza delle scritture pubblicate sulla rivista proveniva da uomini e donne che lavoravano nella fabbriche. Essa non fu importante solo per la poesia ma anche per la narrativa operaia, nel duplice senso indicato prima. Nel numero uno, per esempio, l’articolo di Paolo Rossi intitolato la Nuova letteratura operaia fra eversione integrazione, è una rassegna dei romanzi di Bernari, Pratolini, Ottieri, Volponi e Balestrini. Nell’arco di dieci anni Abiti-lavoro ha tenuto a battesimo poete e critiche come Carmela Fratantonio, Mariella Bettarini e Maria Teresa Mandalari; tanto che nell’editoriale del numero 4 e con un certo orgoglio, si sottolinea la volontà della redazione di allontanarsi da un’impronta maschilista. Mandalari è anche l’autrice del solo saggio che si occupi della scrittura operaia a livello europeo e precisamente, nel suo caso alla Germania, con il libro: Poesia operaia tedesca del ‘900 www.dimanoinmano.it/…/poesia-operaia-tedesca-del-900. Lo sguardo internazionale diventa, nel corso del decennio, uno dei tratti salienti della rivista. Nel quinto e nel nono numero l’inserto su Sabra e Chatila, poi la testimonianza di Jean Genet e Piero Del Giudice, costituiscono un momento alto di cultura critica.
L’ultima esperienza di questa rassegna riguarda Antonio Caronia, l’ennesima figura anomala nel panorama della sinistra italiana. Si laurea in matematica e svolge un’intensa attività politica dal ’64 al ’67, prima nel Psi e poi nella Quarta Internazionale, dove dirige per due anni la rivista Bandiera Rossa. Tuttavia, la singolarità della sua esperienza è legata all’interesse per la fantascienza. Aderisce al collettivo milanese Un’ambigua utopia, che si ispira a un romanzo di Ursula Le Guin I reietti dell’altro pianeta. Le Guin è una delle autrici di fantascienza più originali del panorama mondiale e Caronia ne favorisce la conoscenza in Italia.8
3 Giovanni Pirelli fu un comandante partigiano e nell’immediato dopoguerra curò con Piero Malvezzi la prima edizione delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945. Tornato a Milano nel maggio 1946, s’iscrisse al Partito socialista di unità proletaria (PSIUP), senza abbandonare la posizione all’interno dell’azienda di famiglia. Sostenne finanziariamente il settimanale giovanile Pattuglia e il quotidiano l’Avanti! Successivamente contribuì alla ricostruzione delle istituzioni culturali milanesi, sostenendo le attività della libreria Einaudi e grazie a tale impegno conobbe Elio Vittorini, con il quale strinse una grande amicizia. Negli stessi anni partecipò alla fondazione della Casa della cultura e del Piccolo Teatro. Il 1948 fu un primo anno di svolta nella sua vita. Attaccato dalla destra, decise di compiere il passo decisivo: lasciare famiglia e azienda per trasferirsi a Napoli, dove iniziò la collaborazione con l’Istituto italiano di studi storici, sotto la direzione di Federico Chabod. Lasciata Napoli nel ’49 continuò a occuparsi di storiografia con Gianni Bosio e divenne redattore della rivista Movimento operaio. La sua cultura umanistica e la passione letteraria lo indirizzarono alla scrittura di libri per ragazzi, racconti e romanzi. Quando Bosio nel 1953, rilanciò l’attività delle edizioni Avanti!, Pirelli pubblicò nella collana Il Gallo il racconto Giovannino e Pulcerosa (1954). L’esordio narrativo, in realtà, era già avvenuto nel 1952, con la pubblicazione del racconto L’altro elemento nella collana I gettoni di Einaudi. Nel 1950, peraltro, Piero Malvezzi lo aveva coinvolto nella riedizione delle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (Torino 1952), cui seguirono le Lettere di condannati a morte della Resistenza europea (Torino 1954). I volumi ebbero immediato successo, molte ristampe e traduzioni. Tornò alla narrativa con La malattia del comandante Gracco, pubblicato da Einaudi nel 1958 nella raccolta L’entusiasta. Nel racconto biografico, narra l’esperienza della malattia che lo colpì durante la guerra partigiana. Nel frattempo era maturata anche la passione per la cinematografia: nel 1953 con Malvezzi lavorò alla sceneggiatura di un cortometraggio tratto dalle Lettere italiane, con regia di Fausto Fornari, che vinse il premio come miglior cortometraggio a soggetto alla XIV Mostra del cinema di Venezia. Nel 1955 realizzò, sempre con Malvezzi, l’adattamento teatrale delle Lettere europee, Europa incontro all’alba, per la regia di Vito Pandolfi. Firmò inoltre la sceneggiatura di due documentari a carattere storico-politico diretti da Nelo Risi: Il delitto Matteotti (1956) e I fratelli Rosselli (1959). A Roma, dove si era trasferito nel 1950, aveva sposato nel 1953 la pittrice Marinella Marinelli, dalla quale ebbe due figli, Francesco (1953) e Pietro (1954). Gli anni romani furono anche quelli della vicinanza a Raniero Panzieri. Il rapporto fra i due fu una grande amicizia, basata su una piena sintonia politica. Entrambi aderirono alla corrente morandiana del PSI e dopo il 1955 diressero la sezione cultura, poi curarono la raccolta degli scritti di Rodolfo Morandi. Alla fine degli anni Cinquanta avvenne una seconda svolta nella sua vita. Come molti intellettuali e militanti di matrice resistenziale, sposò la causa dell’Algeria contro la dominazione francese, fornendo sostegno al Fronte di liberazione nazionale (FLN) algerino sia dal punto di vista logistico e finanziario sia editoriale, con le raccolte di documenti Racconti di bambini d’Algeria e Lettere della Rivoluzione algerina, pubblicate in Italia da Einaudi rispettivamente nel 1962 e nel 1963 e in Francia, negli stessi anni, da Maspero. Nel 1961 avvenne l’incontro decisivo con Franz Fanon a Tunisi. Il pensiero anticoloniale dello psichiatra antillese influenzò in modo determinante il successivo percorso di intellettuale impegnato politicamente. Pirelli ne divenne il principale divulgatore e sostenitore in Italia: nel 1963 curò per Einaudi l’edizione italiana di L’an V de la révolution algérienne (Sociologia della rivoluzione algerina), di cui aveva discusso personalmente con Fanon. Sempre nel 1963 fondò a Milano il Centro di documentazione Frantz Fanon, con lo scopo di raccogliere e fornire informazioni sui Paesi del Terzo Mondo: in pochi anni il centro costituì una ricca biblioteca e diventò uno dei punti nevralgici del sostegno ai movimenti anticoloniali in Italia. L’incontro con Fanon, ma anche le riflessioni che condivideva con Panzieri e Bosio, fecero maturare in tutti e tre la decisione di lasciare il PSI (erano gli anni dei primi governi di centro-sinistra), senza tuttavia aderire al PSIUP. Dopo la morte di Panzieri (1964), Pirelli curò, insieme a Dario Lanzardo, un’antologia di suoi scritti: La crisi del movimento operaio. Scritti interventi lettere (1956-1960), pubblicata dalle edizioni Lampugnani Nigri (Milano 1973). Chiuso nel 1967, il centro Frantz Fanon avrebbe poi riaperto nel 1970 con il nome di Centro di ricerca sui modi di produzione (CRMP). Sulla scia dell’incontro con Fanon si sviluppò il suo intenso impegno a favore dei movimenti di liberazione. Grazie a Giovanni Arrighi, Pirelli compì numerosi viaggi, in Africa centrorientale (1964), negli Stati Uniti (1966), a Cuba (1968); infine in Cina nel 1970. Iniziò così l’ultimo segmento di una vita cui non mancò mai l’impegno e il coraggio del nuovo. Si avvicinò alle riviste e ai gruppi della nascente nuova sinistra, in particolare ai Quaderni rossi e ai Quaderni piacentini. Insieme a Bosio dette vita anche a un nuovo progetto editoriale: le edizioni del Gallo e partecipò alle attività dell’Istituto Ernesto De Martino (nato nel 1966) e del Nuovo canzoniere italiano, favorendone l’apertura internazionale. Dopo la morte di Bosio (1971) assunse personalmente la responsabilità delle edizioni del Gallo. Alla ricerca di nuovi strumenti di espressione per il suo impegno politico, selezionò i testi per A floresta é jovem e cheja de vida di Luigi Nono, opera dedicata al FLN vietnamita ed eseguita per la prima volta al teatro La Fenice di Venezia nel settembre 1964: l’opera era il risultato parziale di un lavoro teatrale più ampio sul tema dell’antimperialismo, al quale Pirelli lavorò con Nono per quasi cinque anni. Anche l’attività letteraria continuò in parallelo all’impegno politico. Nel 1962 aveva pubblicato da Einaudi la raccolta per ragazzi Storia della balena Jona e altri racconti, riedita nel 1972 da Fabbri con il titolo Giovannino e i suoi fratelli e una nuova prefazione in forma di interessante Autoritratto. Nel 1965, sempre per Einaudi, aveva pubblicato il romanzo di fabbrica A proposito di una macchina, sua ultima opera letteraria. Il suo archivio contiene tuttavia molti inediti, tra cui la bozza di un romanzo a carattere autobiografico dedicato alle vicende di una famiglia di industriali milanesi, I Bonora. Morì il 3 aprile 1973 a Sampierdarena per le ustioni riportate in un incidente stradale.
4 Dopo una parentesi messicana dal 1946 al 1948, in Messico, Albe e Lica Steiner tornano a Milano dove iniziano ad insegnare al Convitto Scuola della Rinascita. Come grafico, lui lavora per le riviste Domus, Metron ed Edilizia moderna, per alcune delle più importanti case editrici italiane (Feltrinelli, Einaudi, Zanichelli), per molti dei giornali e settimanali italiani di sinistra e per aziende come la Pirelli e la Olivetti. Nel frattempo e sempre negli anni cinquanta è docente dell’Umanitaria che rimane una delle imprese educative più importanti del dopoguerra. Oltre agli incarichi universitari, nel 1963 apre a Reggio Emilia il primo magazzino a libero servizio e disegna quello che diventerà il logo della Coop. Collabora con enti e istituzioni culturali come la Rai, il Piccolo Teatro, La Triennale di Milano, il Teatro popolare italiano, Italia ’61, la Biennale di Venezia. Progetta insieme all’architetto Lodovico di Belgioioso il primo Museo al Deportato politico e razziale, a Carpi. Il Museo, tuttora aperto, è stato inaugurato nel 1973. Il sodalizio sentimentale e politico con la moglie Lica non venne mai meno, ma è pur vero che ciascuno di loro aveva una propria autonomia artistica e culturale. Durante il soggiorno in Messico, per esempio, Lica ebbe modo di lavorare con Hannes Mayer, ex direttore del Bauhaus, al volume Construyamos escuelas. Sempre in Messico partecipò alla campagna di alfabetizzazione dei peones insieme a Diego Rivera e Siqueiros. Nel 1947 nacque la secondogenita Anna. Al rientro in Italia, contribuì alla fondazione del Convitto Scuola della Rinascita di Milano dove iniziò a occuparsi di didattica, sia come docente, sia come coordinatrice dei corsi di grafica. Nel 1957 curò per l’Unità la Pagina della Donna, prima esperienza del genere di un grande quotidiano nazionale. Nel 1964 fu lei a ricevere l’incarico di recuperare documenti, materiali fotografici e storici sui campi di concentramento politici e razziali per la costituzione del Museo di Carpi. La promozione e il riconoscimento della grafica e del designer sul piano tecnico, professionale e politico, sarà un impegno costante della coniugi Steiner durante tutta la loro vita e continuerà ad esserlo per Lica dopo il 1974, anno dell’improvvisa scomparsa di Albe. Rimasta vedova, continuò a dirigere lo studio di grafica e a insegnare fino agli anni novanta presso la Scuola del Libro dell’Umanitaria a Milano. Con le figlie e con il genero Franco Origoni curò la raccolta degli scritti di Albe e istituì nel 1979 l’associazione Albe Steiner per la comunicazione visiva, allo scopo di ordinare le opere del marito e proprie, e divulgarne la conoscenza attraverso mostre e pubblicazioni. Tutto il materiale raccolto confluì nell’Archivio Albe e Lica Steiner, che nel 1998 viene dichiarato di notevole interesse storico dal Ministero per i Beni culturali. Nel 2003, insieme alle figlie, decise di donarlo al Politecnico di Milano. Morì nel 2008 a Milano; è sepolta con Albe a Mergozzo. Le scritte incise sulla comune lapide dicono: Albe Steiner, partigiano; Lica Covo Steiner, partigiana.
5 Anche sulla fine di Olivetti sono sorti sospetti che fanno pensare alla sua morte come un possibile anello in più che va ad aggiungersi alla triste vicenda dei cosiddetti misteri italiani. Anche di questo aspetto non ci si occupa in questa sede. Del resto la pubblicistica su questo come su altri casi è sterminata e facilmente reperibile su carta stampata e anche in rete. Per apprezzare meglio la sua opera è utile invece considerare il concetto di Impresa integrale, che riecheggia in qualche misura anche l’utopia dei Crespi. Qui di seguito il link di un sito appropriato www.attivismo.info/adriano-olivetti. L’utopia di Olivetti finisce con lui, le narrazione successive che legano il suo nome a managers come Marisa Bellisario o Carlo De Benedetti hanno a che vedere solo con aspetti propagandistici che atro.
6 Bruno Munari è stato uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica novecentesche. Anche tale definizione, tuttavia, risulta un po’ stretta se si tiene conto dei contributi fondamentali che, a partire dai campi già citati, finivano per ramificare e produrre effetti che si propagavano a macchia d’olio: è il caso per esempio del tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell’infanzia attraverso il gioco. Nato a Milano passò l’infanzia e l’adolescenza a Badia Polesine. Tornò in città nel 1925 per lavorare in alcuni studi professionali di grafica. Nel ’27 inizia il suo sodalizio con Marinetti e i futuristi e nel 1930 realizzò la macchina aerea. Nel ’33 proseguì la ricerca di opere d’arte in movimento, ma iniziò anche a distanziarsi dal futurismo militante e le sue macchine inutili possono essere considerate come un primo esempio di patafisica e anche una caricatura dell’esaltazione macchinale futurista. Nel 1947 realizza Concavo-convesso, una delle prime installazioni nella storia dell’arte, quasi coeva, benché precedente, all’ambiente nero che Lucio Fontana presenta nel 1949 alla Galleria Naviglio di Milano. Nel 1948, insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Giuliano Mazzon e Atanasio Soldati, fondò il Movimento Arte Concreta. Insieme a Lucio Fontana dominò la scena milanese degli anni cinquanta-sessanta; sono gli anni del boom economico, in cui nacque anche la figura dell’artista operatore-visivo che diventava consulente aziendale, come era accaduto anche per la fabbrica integrale di Olivetti. Munari è considerato uno dei protagonisti dell’arte programmata e cinetica, Nel 1951 presenta le macchine aritmiche in cui il movimento ripetitivo viene interrotto in modo causale e umoristico. Sempre degli anni cinquanta sono i libri illeggibili in cui il racconto è puramente visivo. Nel ‘55 crea il museo immaginario delle isole Eolie dove nascono le ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, composizioni astratte al limite tra antropologia, humour e fantasia. Poi le sculture da viaggio, che sono una rivisitazione rivoluzionaria del concetto di scultura, non più monumentale ma come un bagaglio al seguito e a disposizione dei nuovi nomadi del mondo globalizzato di oggi. Nel ’59 crea i fossili del 2000 che con vena umoristica fanno riflettere sull’obsolescenza della tecnologia moderna. Negli anni sessanta diventano sempre più frequenti i viaggi in Giappone. La scoperta di quella cultura e in particolare per lo zen, lo porta su nuove strade. Nel ’65, a Tokyo progetta una fontana a 5 gocce che cadono in modo casuale in punti prefissati, generando una intersezione di onde, i cui suoni, raccolti da microfoni posti sott’acqua, vengono riproposti amplificati nella piazza che ospita l’installazione. Verso la fine degli anni ’60 si dedica alle sperimentazioni cinematografiche con i film i colori della luce (musiche di Luciano Berio, tempo nel tempo, scacco matto, sulle scale mobili (1963-64). Infatti, insieme a Marcello Piccardo e ai suoi cinque figli a Cardina, sulla collina di Monteolimpino a Como, tra il 1962 e il 1972 ha realizzato pellicole cinematografiche d’avanguardia. Da questa esperienza nasce la Cineteca di Monteolimpino – Centro Internazionale del film di ricerca. Munari è tumulato nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.
7 I siti e la bibliografia indicata qui di seguito sono ricavati da una ricerca in rete da fonti diverse e offorno un quadro esauriente della narrativa industriale. Giuseppe Iadanza, L’esperienza meridionalistica di Ottieri con Appendice sulla questione meridionale, Bulzoni, Roma 1976. Per testimonianze su Adriano Olivetti e sul movimento “Comunità” si rinvia alla sezione Bibliografia. ^ Per un completo profilo critico di questi due autori (segnalati qui a titolo esemplificativo, per la particolare attenzione rivolta alla tematica industriale), Cfr., per Ottieri: Giacinto Spagnoletti, in Letteratura italiana – I Contemporanei, volume sesto, Milano, Marzorati, 1974, pp. 1603-1624; per Volponi: Enzo Siciliano, Op. cit., pp1589-1601. ^Donnarumma all’assalto, dopo critiche e riserve, fu pubblicato da Bompiani nel 1959 col pieno benestare di Adriano Olivetti. Giorgio Bàrberi Squarotti, Volponi, Paolo, in Grande dizionario enciclopedico, prima Appendice (1964), Torino, UTET, 1965,, p. 1028. ^Giorgio Bàrberi Squarotti, op. cit., ivi. Giacinto Spagnoletti, Ottiero Ottieri, in Letteratura italiana – I Contemporanei, volume sesto, Milano, Marzorati, 1974. Enzo Siciliano, Paolo Volponi, in Letteratura italiana – I Contemporanei, volume sesto, Milano, Marzorati, 1974. Giuseppe Iadanza, L’esperienza meridionalistica di Ottieri, Bulzoni, Roma 1976. Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, Torino 1979. Geno Pampaloni, Adriano Olivetti: un’idea di democrazia, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1968 Elisabetta Chicco Vitzizzai (a cura di), Scrittori e industria, Paravia, Torino 1982. Francesca Giuntella e Angelo Zucconi (a cura di), Fabbrica, comunità, democrazia: testimonianze su Adriano Olivetti e il movimento Comunità, Fondazione Olivetti, Roma 1984. Umberto Casari, Letteratura e società industriale italiana negli anni Sessanta del Novecento, Giuffrè, Milano 2001. Giorgio Bigetti e Giuseppe Lupo (a cura di), Fabbrica di carta. I libri che raccontano l’Italia industriale, Laterza, Bari 2013. Umberto Casari, Letteratura e società industriale italiana negli anni Sessanta del Novecento, Giuffrè, Milano 2001. Giorgio Bigetti e Giuseppe Lupo (a cura di), Fabbrica di carta. I libri che raccontano l’Italia industriale, Laterza, Bari 2013. Lucio Mastronardi con la trilogia di vigevano (il calzolaio,il meridionale e il maestro di vigevano) Infine di Vincenzo Baraldi Condizione operaia e rappresentazione del lavoro www.uni3pinerolo.it/wp-content/uploads/2014/09/Vincenzo-Baraldi.. 10
8 Dalla metà degli anni ’80 collabora a riviste come Linus, Corto Maltese, Millepiani, Linea d’Ombra e con il quotidiano Il Manifesto. Continua la sua attività in ambito fantascientifico fondando la Viortual Isaac Asimo’v Science Foction Magazine Virus Mutaitons, Cyberzone. Collabora inoltre alla stesura di testi per MediaMente, trasmissione televisiva dedicata al mondo delle nuove tecnologie, prodotta da Rai Educational. Nel 2007 partecipa al Film Festival Visionaria, proiettando sotto il titolo di Città immateriali vari cortometraggi realizzati dalle accademie milanesi Accademia di Brera e NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, a cui segue un convegno collegato con il nuovo cyber fenomeno Second Life, sul quale si svolgeva il festival in forma virtuale. È stato per diversi anni docente di Comunicazione all’Accademia di Brera. Ha partecipato in prima persona alla Scuola di media design & arti multimediali della Nuova accademia di belle arti di Milano, NABA, con la titolarità della cattedra in estetica dei media al diploma triennale omonimo e della cattedra di culture digitali alla laurea di specializzazione in film & new media. Muore a Milano nel 2013.