DIARIO BERLINESE: SETTIMA PARTE.

Treptower Park Berlin

Introduzione

Il titolo di quest’ultima tappa del diario berlinese è quello della mia prefazione al libro Doppia esposizione. Berlin 1985-2015 di Natascia Ancarani, Edizioni del foglio clandestino, Sesto san Giovanni 2015.

Il testo fu scritto nel 2014. Non ho cambiato una virgola del testo, ma esso necessita di qualche riflessione introduttiva. A rileggerlo oggi mi trovo io stesso in una strana posizione. Se guardo ai paragrafi conclusivi i motivi di allarme sul futuro lì indicati sono senz’altro da confermare, ma le ragioni per cui si sono addirittura aggravati sono diverse da quelle che si potevano ipotizzare allora. Il tema dominante, negli anni che vanno dal 2010 in poi e fino alla sconfitta del tentativo compiuto da governo Tsipras di cambiare radicalmente le regole europee, era molto chiaro: riuscirà l’Unione Europea a rimanere in piedi? L’euro è destinato a durare oppure no? Una prima risposta venne dal famoso discorso di Draghi del 2012 – Whatever it takes – ma poi nel 2013 fu fondata Alternative für Deutschland e sempre durante quell’anno giornali sia tedeschi sia europei si ponevano un quesito: cosa accadrebbe se la Germania decidesse di uscire unilateralmente dall’Euro? Erano solo dei sondaggi per capire quali reazioni suscitava una tale ipotesi o qualcuno in Germania ci pensò davvero? Sia come sia, questo era il tema dominante. La prefazione non ne parla esplicitamente ma le preoccupazioni espresse nel finale derivavano da quel clima. Sempre nel 2014 accadde anche qualcosa d’altro, che in quel contesto fu relegato un po’ in sordina: il colpo di stato in Ucraina, l’assalto ai sindacati da parte delle forze più reazionarie ucraine, la fuga del presidente Victor Janukovyč e poi alla rivolta del Donbass. Poi nel 2020 il Covid. 

BERLINO FUTURA

Berlino è stata una città mito dal 1989 in poi. Lo era anche prima, a dire il vero, ma per ragioni talmente diverse, tanto da sembrare persino un luogo differente.

La storia della città, però, è proprio questa dalla seconda metà del 1800 in poi, cioè da quando è diventata così importante e tragicamente decisiva per la storia tedesca ed europea.

Il primo spunto per scrivere questa introduzione lo trovo proprio nella giovinezza di questa metropoli.

Le grandi città mediterranee sono segnate dal tempo, dalla storia che si portano sulle spalle, per non parlare di quelle del vicino Oriente. Damasco ha più di tremila anni di vita, Roma quasi tremila, mentre le città del grande Nord sono recenti, alcune appena nate. Berlino è fra queste, il monumento più antico della città risale al 1700, il fazzoletto di terra (quasi un’isola) che si trova a fianco del Municipio della città, è un quartiere fra i più antichi, ma le targhe portano date che risalgono alla seconda meta del 1700. Berlino è la modernità per eccellenza, l’unica città europea – si dice solitamente – ad assomigliare alle metropoli americane. Storia davvero curiosa, che dimentica un particolare importante e cioè che si tratta del contrario: furono gli architetti del Bauhaus, nei favolosi anni ‘20, a inventare l’architettura moderna a Berlino per poi portarla oltre Atlantico dal 1933 in poi, in fuga dalla Germania hitleriana.

La fine della guerra europea secolare che possiamo in fondo fare iniziare nel 1914 e finire nel 1989, come ormai anche qualche storico comincia a sostenere, segna una netta cesura: dall’anno della caduta del Muro Berlino è un’altra città e produce un mito diverso dai precedenti. Di esso, nell’ampia narrazione di Natascia Ancarani c’è tutto: le sue belle e puntuali descrizioni sono anche una piccola storia e un’utile guida. Che altro potrei aggiungere al suo lavoro che non sia già detto da lei, sebbene sia io stesso uno dei tanti che questa città non la vivono più da turista ma ci abitano per lunghi periodo dell’anno? Allora mi sono detto che forse l’unico modo serio modo per farlo è cercare di avanzare qualche ipotesi sul futuro, non più così tranquillo, e vederlo sullo sfondo dell’Europa di oggi e proprio a ridosso di una svolta, perché le elezioni europee di maggio sono state differenti da tutte quelle che le hanno precedute.

Le cose a Berlino hanno cominciato a cambiare da qualche anno, la spinta propulsiva generata dalla fine della guerra cosiddetta fredda e dall’unificazione tedesca si è esaurita. La città ha goduto per vent’anni e oltre di finanziamenti colossali, è stata rifatta in diverse parti, a Est in particolare, sebbene la sua vastità territoriale sia tale che ci sono quartieri che si possono definire degradati o in fase di recupero, specialmente nel profondo Est, a Marzahn e al Lichtenberg. Berlino doveva essere risarcita per essere stata la frontiera più esposta di una guerra per niente fredda, denaro e progetti sono arrivati da molte parti, fino a farla diventare però una delle città più indebitate al mondo. L’entusiasmo degli anni ‘90 e di una buona metà del nuovo secolo hanno portato progetti importanti, il rifacimento di Potsdamer Platz, con il contributo di architetti provenienti da tutto il mondo, il lavoro di restauro di interi quartieri a Est e molto altro. Un cantiere aperto, ma anche una vivacità culturale che ricorda un po’ quella degli anni ‘20. In questi anni, Berlino è stata anche una città molto accogliente. Oggi su una popolazione di oltre 4,5 milioni di abitanti e che si sta avvicinando ai 5 milioni, il 12% e dunque circa 600.000 sono stranieri, ma si tratta di un dato fluttuante perché in continua crescita. I turchi sono in netta maggioranza, visti i legami storici fra Germania e Turchia e sono oltre 400.000: i latino-americani nel loro complesso vengono subito dopo, incerta la stima di italiani e spagnoli che sembrano più o meno intorno ai 70.000, poi ci sono gli altri. I polacchi a Berlino non sono così numerosi come si crede, perché sono distribuiti su tutta la Germania e molti vanno e vengono dalla Polonia; poi tutta la diaspora dall’Est europeo, ma specialmente dall’ex Jugoslavia; infine la presenza russa, che è storica e data dall’inizio del ‘900. Questa fase espansiva e accogliente è destinata a trovare il suo limite fisiologico, anche perché stanno cambiando molte cose nella stessa Germania.

Le aspettative di coloro che hanno scelto di venire qui nei vent’anni precedenti si sono coagulate intorno ad alcune costanti, che sono altrettanti ingredienti intorno ai quali è cresciuto il mito berlinese: una qualità medio alta della vita a poco prezzo, una certa tolleranza nei confronti di atteggiamenti anticonformisti, confermati dalla presenza di un tessuto assai vasto di aree occupate e centri sociali, che offrivano anche opportunità di lavoro, la possibilità di accedere a percorsi di formazione e lavorativi guidati, un’università all’avanguardia in tutti i settori.

Vediamo le prospettive di ciascuno di questi ingredienti. La qualità della vita si mantiene ancora alta e i prezzi di alcune componenti fondamentali come il cibo, la ristorazione e l’accesso alla vita culturale sono ancora più che appetibili: Londra, per esempio, può anche offrire di più in molti campi ma rimane decisamente più cara. I trasporti sono il solo vero costo abbastanza elevato; lo erano da prima e le tariffe continuano ad aumentare, ma bisogna tenere conto della grande efficienza e anche della presenza massiccia di biciclette, in una città pianeggiante, provvista di ottime piste ciclabili. Se leghiamo però questa componente alle due che seguono, il quadro si complica. Berlino rimane per chi viene da fuori una città anticonformista, ma di certo assai meno di prima. Un evento di un anno e mezzo fa circa, ha segnato una cesura sia sul piano reale, sia su quello simbolico: lo sgombero del Centro sociale più grande e famoso d’Europa, il Tacheles, in pieno centro, nonché la chiusura del museo della fotografia sempre a Kreuzberg.

Sul centro sociale vale la pena di spendere qualche parola in più perché la sua storia è emblematica e non soltanto per Berlino. Tutto cominciò dallo sfratto di una comunità di artisti che occupava uno stabile del centro da 22 anni. La resistenza del collettivo e la solidarietà della popolazione ha retto per un certo periodo di tempo, poi nel 2012 la chiusura. Il Techeles presenta alcune analogie con l’esperienza dell’Angelo Mai e del Teatro Valle occupato di Roma: recuperare spazi lasciati al degrado da privati e pubblica amministrazione e farne centri di laboratori d’arte e luoghi dove si produce cultura e politica. Tuttavia, va anche riconosciuto che negli ultimi anni, lo spirito che aveva animato l’occupazione alla sua nascita si era alquanto logorato ed esaurito, come del resto è avvenuto anche in Italia con molti centri sociali. Le esperienze italiane citate prima, cui vorrei aggiungere quella recentissima di Macao e Ri-Make a Milano, mi sembrano più orientate a comprendere le dinamiche attuali piuttosto che coltivare nostalgie del passato. Il Techeles è stato, come altri luoghi berlinesi, anche la vetrina di un Ovest tollerante e trasgressivo, a fronte del grigiore burocratico della Berlino del socialismo reale. Finita la guerra fredda, tuttavia, non c’era più bisogno della vetrina, ma questo si è tardato a capirlo.

Dopo lo sgombero sui muri della città sono comparse scritte dolenti e rassegnate più che ribelli, del tipo bye bye Kreuzberg: la convinzione che sia finita un’epoca si è fatta strada rapidamente. La speculazione edilizia è arrivata anche qui sebbene la rendita dei suoli sia ancora bassa se confrontata con quella delle altre capitali europee; ma tant’è.

Quanto ai percorsi formativi e di inserimento, essi sono stati negli ultimi vent’anni assai efficienti e di elevata capacità di inclusione, ma ora i sussidi sono stati ridotti drasticamente specialmente per chi viene dalle altre nazioni europee e in particolare da quelle meridionali. Rimane l’università come fulcro e in questo caso la Germania ha continuato saggiamente ad investire e cioè a garantire a tutti gli studenti provenienti anche dagli altri paesi, agevolazioni sociali e bonus che permettono, specialmente a Berlino, uno standard di vita e di possibilità di studio elevate. Ne fa un po’ le spese l’Università di Potsdam, non a caso collocata nel territorio della ex DDR: perché non bisogna dimenticare che più che una riunificazione, la caduta del Muro ha portato all’annessione dell’ex Germania Est a quella occidentale.

La Germania attrae i migliori cervelli e fa concorrenza su questo persino agli Usa: molti scelgono di stare in Europa piuttosto che cambiare continente. Tutte le facoltà ne sono coinvolte anche se il prestigio dell’architettura attrae più di altri rami: però anche un indirizzo di studio come quello antropologico, storicamente inglese, attira alla Humboldt Universität studenti e ricercatori da tutto il mondo.

Quanto durerà tutto questo? Fra gli italiani che vivono a Berlino ce lo si chiede sempre quando ci si ritrova a cena e la risposta è sempre più o meno questa: la Germania sarà l’ultima a cadere in Europa e Berlino l’ultima a cadere in Germania. Dopo avere pronunciato questo mantra ci si ride sopra e si brinda.

Visto che partono ancora in molti per andarci, mi sono domandato cosa risponderei a un giovane che mi chiedesse un consiglio: gli direi che i problemi di Berlino e della Germania sono gli stessi di tutti gli altri paesi europei, seppure su una scala che li vede posizionati in modo diverso da un punto di vista temporale. In sostanza, i problemi futuri della Germania, come dell’Italia e della Grecia, dipendono da che strada prenderà l’Europa: se continueranno queste politiche la campana prima o poi suonerà per tutti e sarà un suono molto sinistro, se invece ci sarà un colpo d’ala, uno scatto che inverta la marcia fallimentare di questi anni, allora Berlino rimarrà pur sempre un grande richiamo, ma forse perderà un poco del suo mito perché ci saranno opportunità anche altrove nel continente.

Tiergarten Berlin