NASCITA E DECADENZA DELLA FAMIGLIA BORGHESE NELLA NARRATIVA EUROPEA.

Introduzione

Una prima versione del saggio qui di seguito fu pubblicato sul numero 21 della rivista Costruzioni psicoanalitiche del 2011 e lo si trova anche nel sito Academia.edu. Lo ripropongo con una precisazione ulteriore e cioè che la riflessione va storicizzata. Il titolo stesso vi allude: si parla di una concezione della famiglia borghese che ha attraversato i secoli, con modificazioni nel tempo, cui corrispondono i diversi capitoli. Vi è però un momento nella storia del ‘900, a partire dal quale non si può più affermare che è nato un nuovo capitolo all’interno di un medesimo percorso, ma piuttosto che è cominciata un’altra storia, che necessita di ulteriori ricerche e anche di nuovi linguaggi. Non solo il concetto stesso di famiglia borghese sembra essersi dissolto, ma il titolo del saggio – che tuttavia ho deciso di mantenere – andrebbe ulteriormente chiarificato dicendo che quel tipo di famiglia era patriarcale e soltanto eterosessuale. Il saggio accenna nel finale, che ho aggiunto recentemente, a queste profonde trasformazioni, ma finisce con quello che almeno per me è il tramonto di una concezione di famiglia, anche se i tentativi reazionari di riportarla in auge nella sua esclusività, sono purtroppo all’ordine del giorno.

Premessa

La narrativa europea è piena di famiglia, di rapporti fra padri e figli, titolo peraltro di un grande romanzo di Turgenev. La difficoltà nell’affrontare un tema come questo, dunque sta nel ridurre il campo d’indagine.

La famiglia che prenderò in considerazione, seppure con qualche ulteriore precisazione strada facendo, è quella borghese, cercando di coglierla in tutti gli aspetti che l’angolo di visuale della narrativa propone. D’altro canto, sarebbe difficile trovare la famiglia come protagonista in epoche precedenti.

La grande poesia europea e la letteratura novellistica che precede la nascita (o rinascita secondo qualcuno), del romanzo, parla molto d’amore, di relazioni fra i sessi, nel Decameron ci sono storie di amanti, di fratelli e sorelle, ma la famiglia in quanto tale non è un oggetto di osservazione, prima di tutto perché è persino discutibile la sua esistenza e quindi, di conseguenza, l’uso stesso di questa parola.

Uno storico di prima grandezza come Lawrence Stone, nel descrivere la decadenza dell’aristocrazia inglese, afferma che essa fu dovuta anche ai rapporti famigliari inesistenti, almeno per come li intendiamo noi. Stone arriva addirittura a mettere in discussione la possibilità del complesso edipico, nell’ambito delle ‘famiglie’ aristocratiche, in quanto i figli raramente avevano un rapporto con i genitori, ma erano del tutto delegati ad altri, dalle balie alla servitù, tanto che egli attribuisce la decadenza – anche da un punto di vista mentale – della nobiltà inglese, al fatto che una delle patologie più diffuse fosse il marasma infantile, un termine che indica la mancanza di punti di riferimento e di figure con cui i bambini potessero confrontarsi e crescere.

Self made men e signorine di buona famiglia

Non esiste una vera definizione a priori della famiglia borghese, ma è possibile ricavarne qualcuna seguendo i grandi romanzi borghesi e quindi prendendo in considerazione un arco di tempo che va grosso modo dalla metà del settecento, per arrivare ai nostri giorni.

Tom Jones di Henry Fielding, pubblicato nel 1749, inizia quando un vecchio signore, recandosi a dormire alla solita ora, si ritrova qualcosa nel letto, precisamente un fagottino con dentro un trovatello. Chiama precipitosamente la governante e decide di prendersene cura. Il trovatello è Tom Jones. Lo ritroviamo giovane uomo che s’innamora di Sofia, figlia di un gentiluomo di campagna, che non acconsente al matrimonio per ragioni classiste. Tom peraltro ha una personalità esuberante che lo mette spesso nei guai; fugge a Londra dove ha una svariata serie di avventure.

Il contraltare di Tom è il signorino Blifil, un aristocratico educato secondo i dettami della sua classe. Dopo una serie di vicissitudini, sarà Tom a sposare Sofia. Al lieto fine, tuttavia, si giunge grazie anche alla scoperta di un misterioso documento, che rivela come Tom non sia affatto un trovatello. L’inganno ordito ai suoi danni aveva lo scopo di escluderlo dall’asse ereditario. Blifil, il cattivo, viene così sconfitto.

Tom Jones è un romanzo che fa da cerniera fra due diverse concezioni della vita e del mondo e dunque anche della famiglia. Blifil reclama per sé un diritto di nascita, in quanto membro dell’aristocrazia, ma la sua classe non può più accedere allo stesso nobile percorso dei suoi predecessori nei secoli precedenti. I nobili, un tempo cavalieri, sacerdoti, o sacerdoti guerrieri, si sono trasformati in parassiti nullafacenti che si aggirano nelle loro proprietà, senza peraltro alcuna capacità di governarle.

Tom, al contrario di Blifil, è una specie di Robinson Crusoe che agisce nella jungla sociale del settecento inglese. Il documento da cui si evince che anche Tom non è un trovatello viene scoperto dopo, quando il matrimonio è già deciso e questo riflette bene la condizione di transizione della società inglese del tempo. Si sta passando da una concezione del matrimonio per cui conta il lignaggio e naturalmente i patrimoni che ad esso si accompagnano a un’altra in cui conta il saper fare, cioè la capacità imprenditoriale che farà, di lì a poco, decollare in Inghilterra la rivoluzione industriale. 

Più o meno contemporaneo al romanzo di Fielding, è invece Il Vicario di Wakefield di Oliver Goldsmith, siamo infatti nel 1776. Questo romanzo è una specie di bibbia della visione della famiglia come luogo in cui prende forma lo stile borghese, ma anche la funzione pedagogica della famiglia stessa. Siamo sempre fra gentiluomini di campagna, la città arriverà dopo e in modi molti più aspri.

Ci si rende più utili a sposarsi e a metter su una bella famiglia che a restar giovanotti e chiacchierare di figliolanza: così almeno ho sempre pensato io. Perciò, scorso neanche un anno da che ero consacrato sacerdote, presi a petto questa faccenda del matrimonio; e scelsi la sposa come ella scelse poi la veste nuziale, cioè non badando all’eleganza ma alla qualità del tessuto.

Questo breve brano e in particolare la sua parte conclusiva illustrano molto bene la morale borghese. Il matrimonio è necessario per regolare la pulsione erotica, deve essere basato sulla solidità morale dei coniugi piuttosto che sulla frivola eleganza. Tutto il romanzo si svolge nel salotto del Vicario, dove sono soliti incontrarsi la sera o il giorno di festa, i notabili della città. Anche i bambini e i giovani sono ammessi all’ascolto, dal momento che i discorsi che vi si tengono sono edificanti. La famiglia, nel romanzo di Goldsmith, diviene la sede dove si forma l’educazione a uno stile.

Della stessa natura, cioè di strumento di educazione e costruzione del galateo borghese e di un’etica borghese, sono i romanzi di Jane Austen: Emma (1815), Orgoglio e pregiudizio (1813) sono piccoli capolavori di un galateo al femminile, ma anche di una prima elaborazione di un pensiero femminile pubblico e autonomo; nonché della difficoltà a farlo vivere. Le protagoniste dei romanzi di Austen sono giovani donne della campagna inglese, che cercano da se stesse una sorta di educazione sentimentale che permetta loro di orientarsi nella scelta di un marito, sempre prese in mezzo fra matrimoni combinati da madri intriganti (come in Orgoglio e pregiudizio) e dai loro continui errori di scelta, come avviene in particolare a Emma. Austen non è sola, è la prima di una serie di scrittrici e pensatrici europee: insieme a lei Madame da Stael, forse la più grande di tutte e poi George Eliot, nome de plume maschile di Mary Ann Evans, le sorelle Bronte, Mary Shelley, Elizabeth Barret.  

Quanto si è visto fino ad ora gira intorno a un concetto di matrimonio ancora molto legato alla contrattualistica; secondo dato ancora più importante, tutti i romanzi fin qui considerati sono ambientati nelle campagne inglesi, dove, grazie alla rivoluzione del ‘600, culminata nel breve periodo della repubblica di Cromwell, era cresciuta una classe media agricola (la gentry), che elaborava un proprio stile di vita borghese e che investiva tutti gli aspetti della vita sociale. In questo mondo matura anche una voce femminile consistente. Possiamo tentare di delineare alcuni pilastri di questo stile: l’importanza del saper fare rispetto al diritto di nascita, la buona educazione dei figli secondo i principi morali di parsimonia, moderazione, decoro. Tutto questo non è poco se noi lo confrontiamo con il passato anche recente rispetto a quell’epoca.

L’idea del matrimonio come ambito in cui avviene l’educazione dei figli e la loro cura e dove i figli sono oggetti d’amore, è un concetto che non esiste nell’aristocrazia; tanto meno nel mondo contadino, dove i figli sono braccia e basta. La gentry inglese di campagna dunque elabora per la prima volta un galateo universale tramite la narrativa e le riviste come lo Spectator. Nasce un pubblico che si forma intorno a questo stile: la pedagogia in ambito famigliare diventa pedagogia sociale. Però, nel tempo stesso in cui questo avviene, le conseguenze della trasformazione dell’agricoltura e della campagna inglese da feudale a capitalistica provocano una massiccia espulsione dalle compagne stesse di manodopera bracciantile e anche di piccola proprietà, che si riversano nelle città dove formeranno l’esercito di fabbrica (nonché quello di riserva) della rivoluzione industriale. A questa enorme massa viene di fatto impedita la possibilità stessa di una vita famigliare, contraddicendo dunque quel galateo universale che abbiamo visto delinearsi e dal quale costoro sono esclusi.

Amore romantico e questione sociale

Nei grandi romanzi urbani del ‘700-‘800 la famiglia semplicemente non esiste: ci sono ladri, avventurieri, avventuriere, puttane, orfani, ragazzini che lavorano venti ore al giorno. Il romanzo sociale sarà uno strumento di denuncia di tale situazione, ma per tornare al tema, di famiglia se ne trova pochissima in opere come Moll Flanders di Defoe, oppure i Miserabili di Victor Hugo, oppure in Vanity Fair, piuttosto che in Oliver Twist. La descrizione degli slums di Londra in Dickens non è diversa da quella che fa Engels, anzi proprio per l’asciuttezza del linguaggio, Engels sembra addirittura essere più efficace:

In Inghilterra durante la rivoluzione industriale , gli industriali introdussero il sistema del lavoro notturno. Gli operai venivano quindi divisi in due gruppi: un gruppo lavorava nelle dodici ore diurne , l’altro nelle dodici ore notturne. Questo lavoro notturno portava l’abolizione del riposo notturno, e non è sostituibile dal sonno diurno. I risultati, inevitabili, erano un grande eccitamento del sistema nervoso, unito dall’indebolimento ed esaurimento generale di tutto il corpo. Inoltre venivano stimolati l’ubriachezza e gli eccessi sessuali. Altri industriali facevano lavorare parecchi operai per trenta – quaranta ore di seguito, e cioè parecchie volte alla settimana. Le conseguenze di questi fatti si manifestarono ben presto: nelle fabbriche aumentava la presenza di storpi, i quali dovevano la loro minorazione unicamente all’eccessivo prolungamento del tempo di lavoro. Questa minorazione, consiste di solito in una deformazione della colonna vertebrale e delle gambe. L’aspetto di questi storpi è caratterizzato dalle ginocchia “voltate” indentro e all’indietro, i piedi indentro , le articolazioni deformate e ingrossate, la spina dorsale incurvata in avanti o lateralmente.           

La contraddizione sociale, però, è solo uno degli aspetti della questione che riguarda l’etica famigliare. La scissione fra la borghesia di campagna che elabora il suo stile e le masse urbane che ne sono escluse, è soltanto il primo atto della tragedia. La scissione, infatti, si ripercuote all’interno della famiglia stessa, in altre forme. Sulla società europea a cavallo fra il sette e l’ottocento e sulla pretesa universalistica di quel modello matrimoniale, si abbatterà il ciclone romantico che noi interpretiamo ormai secondo i nostri cliché e anche secondo la tesi del più importante studioso dell’amore in occidente e cioè De Rougement: l’equivalenza fra follia amorosa e amore. Alcuni romanzi, a cominciare da quelli delle sorelle Brönte, autorizzano ampiamente tale visione. Le tre autrici sembrano incarnare perfettamente il cliché romantico della passione amorosa come tragedia e destino. Muoiono tutte e tre giovanissime, Anne ed Emily di tubercolosi, il mal sottile, un altro dei cliché romantici. L’ultima, Charlotte, muore a 39 anni. Cime tempestose e Jane Eyre sono i due romanzi più importanti. Il primo, in particolare, è la storia di un amore distruttivo.

Questa visione prevalente nel considerare il romanticismo lascia nell’ombra e in secondo piano che il romanzo romantico è anche quello dove si trovano le maggiori esaltazioni del matrimonio, ma a una ferrea condizione: che si tratti di un matrimonio d’amore. La grande novità che il romanticismo porta è proprio questa, non la critica dell’istituzione matrimoniale in quanto tale, ma la critica al matrimonio in quanto contratto sociale.

Dal punto di vista romantico la famiglia non è più interessante in quanto organismo sociale, ma come ambito in cui si realizza l’unione fra l’uomo e la donna, dove il sentimento amoroso arriva alla sua realizzazione. La famiglia romanticamente intesa diventa un microcosmo che viene visto nelle sue dinamiche interne e nelle relazioni fra i coniugi; non scompare la sua proiezione all’esterno, ma s’affaccia all’orizzonte l’introspezione insieme alla profondità psicologica dei personaggi. Possiamo considerare questi romanzi come un’ulteriore elaborazione di quel galateo borghese di cui abbiamo visto alcuni esempi e che arricchisce, per citare il titolo del romanzo di Flaubert: L’educazione sentimentale.

Tuttavia il matrimonio d’amore, pur essendo uno straordinario momento di civilizzazione, non è così facile da realizzare, non solo naturalmente per le condizioni esterne e cioè la lotta contro la visione contrattualistica del matrimonio, ma anche al proprio interno. Un romanzo emblematico come Le affinità elettive ci dice proprio questo ed essendo del 1809, ci dice anche che Goethe ha saputo in quest’opera intravedere il conflitto irriducibile fra l’eros, la passione amorosa e la struttura stessa della famiglia e dell’istituzione matrimoniale. Romanzo modernissimo quello di Goethe.

Esso inizia con due vedovi che si sposano. Edoardo e Carlotta si amavano da giovanissimi, ma le loro famiglie li costrinsero a sposarsi con altri per questioni patrimoniali. L’inizio del romanzo, dunque ci presenta una situazione che conosciamo bene: il contrasto fra amore e contratto matrimoniale. Goethe, con un primo colpo di genio, fa morire precocemente i loro rispettivi coniugi, così che i due possono ritrovarsi e si sposano. La storia potrebbe finire qui: il matrimonio d’amore alla fine vince. Invece la storia vera comincia qui. I due sposi novelli vivono in una grande villa con un parco, Edoardo ha un vecchio amico, un capitano, che decidono di ospitare come una sorta di giardiniere e factotum. Carlotta è incerta, non vuole turbare il loro equilibrio. Lei però ha una figlia di primo letto che si trova in collegio insieme a una nipote, Ottilia e alla fine accetta la presenza del capitano ma chiede a Edoardo che anche la nipote venga a stare con loro. Sottilmente e in modo più o meno inconscio, Carlotta forse accetta il capitano con il pensiero recondito che egli possa essere un buon partito per la figlia, assai sofferente e introversa. Solo che accade qualcosa di diverso. È Edoardo, il marito, a sentirsi sempre più attratto da Ottilia, la nipote di Carlotta, che a sua volta si sente sempre più attratta dal capitano. Tutti e quattro sono consapevoli di quello che sta accadendo, la passione amorosa si contrappone in modo radicale all’istituzione matrimoniale anche nella sua versione romanticamente positiva. Cercano di affrontare la situazione, assumono un atteggiamento responsabile, non ipocrita. Decidono però di scegliere in qualche modo l’istituzione. Il capitano accetta un’offerta di lavoro, mentre Ottilia viene mandata da un’amica della madre Carlotta. Edoardo però non si piega alla rinuncia del desiderio e rifiuta di tornare al loro rapporto come se niente fosse accaduto: così s’allontana anche lui, sognando sempre di ricongiungersi a Ottilia prima o poi. Visto che Edoardo non vive più nella casa, Carlotta e Ottilia continuano a vivere nel castello, finché un giorno Edoardo si decide a chiedere il divorzio alla moglie e questa gli rivela di essere però incinta di lui. Il figlio che nasce, tuttavia, assomiglia al capitano e a Ottilia più che a lui e a Carlotta, e qui Goethe ha un secondo colpo di genio. La questione è psicologica e molto sottile: non si tratta di un banale inganno, il figlio assomiglia a Ottilia e al capitano perché mentre facevano l’amore ognuno dei due e cioè Edoardo e Carlotta sognavano di farlo con i loro rispettivi amanti. Goethe anticipa la psicanalisi e ha sicuramente ispirato un romanzo dei primi del ‘900, scritto da un autore che piaceva moltissimo a Freud: Athur Schnizler. Mi riferisco a Doppio sogno, cui è ispirato anche il film di Stanley Kubrik, Eyes wide shut.

Torniamo al romanzo. Edoardo vuole sistemare le cose, accetta di tenere il figlio ma insieme a Ottilia, non alla moglie. Un giorno lui ritorna al castello e incontra Ottilia che è andata con il bambino a fare una passeggiata. Si baciano di nuovo con passione. Ottilia ne è sconvolta. Mentre attraversa il lago per ritornare a casa assorta nei suoi pensieri, compie un brusco movimento che fa oscillare la barca. Il neonato cade in acqua e annega. La tragedia travolge tutti personaggi.

Questa del figlio morto annegato – una figlia in  quel caso – tornerà in un romanzo del secondo ottocento italiano: Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro.

La famiglia come istituzione sociale e la famiglia come luogo di realizzazione dell’amore romantico, sono dunque in crisi fin dal loro nascere; lo sono nei grandi romanzi borghesi ma anche nella realtà. Questo non vuol dire che non continuano a esistere famiglie dove il galateo borghese venga praticato, o l’amore perseguito, ma tutto ciò avviene non nel clima idilliaco che abbiamo visto rappresentato nei romanzi della Austen o di Goldsmith, ma nel mezzo di contraddizioni sempre più insanabili e di sofferenze sempre più acute. 

La decadenza

La famiglia amorosa e la famiglia come strumento di educazione sociale, entrambe borghesi vivono scisse l’una dall’altra in molti romanzi ma si ricongiungono di nuovo in una grande opera del 1901: I Buddenbruck di Thomas Mann. Il romanzo è, al tempo stesso, la storia di una famiglia dei capitani d’industria che va verso la decadenza e la rappresentazione della crisi di quel processo di educazione sentimentale e rigore che abbiamo visto nelle opere precedenti. Lo potremmo definire uno dei romanzi capaci di rappresentare come pochi altri l’esplodere di tutte le contraddizioni dell’istituzione famigliare, sia dal suo versante di organismo sociale, sia per ciò che attiene alle relazioni amorose.

Il romanzo inizia con un conversazione affabile che si svolge in un tipico salotto borghese. Si parla d’arte, di poesia, è il trionfo di quel galateo che abbiamo visto costruirsi nel tempo e infatti sembra di essere tornati a casa del Vicario di Wakefield. Siamo nel 1835 e tutta la famiglia è nel salotto perché il vecchio Johann Buddenbruck proprietario della ditta fondata nel 1768, si trova nel momento delicato del passaggio di consegne. Siamo alla seconda generazione ed è qui che cominciano i guai perché i figli non sempre sono meglio dei padri, in ambito borghese almeno, più ancora che non per l’aristocrazia.

Passano gli anni e gli affari non vanno benissimo, i moti rivoluzionari del ’48 fanno la loro parte. All’interno della famiglia è Antoine, detta Tony il personaggio più memorabile. É una ragazza ribelle e inquieta, ma che si sposa male, tanto che i debiti del marito rischiano di riversarsi anche sulla ditta di famiglia. Paradossalmente lei divorzia proprio per preservare la società.

Quando la ditta passa  Thomas, le cose migliorano un po’, ma egli non è solo. Lui è il responsabile capace, ma il fratello Christian è un dissoluto cui piace la vita comoda. Quando torna in famiglia fra i due fratelli è guerra. Tony assiste alle lotte di potere (nelle quali s’inseriscono altri elementi esterni alla famiglia), sempre più delusa e amareggiata, finché la misura diviene per lei colma:

Abituarsi all’ambiente? No, fra gente senza dignità, senza morale, senza ambizione, senza signorilità e senza rigore, fra gente sciatta, scortese e trasandata, fra gente che è allo stesso tempo pigra e leggera, pesante e superficiale… fra gente così non mi posso ambientare…

Tony è proprio il risultato di quella educazione sentimentale che la borghesia ha voluto per lei, ma che ora le si rivolta contro. Tony rimprovera, nel brano appena citato, la mancanza di coerenza, vede lucidamente il fallimento di quel valori intorno ai quali anche lei era stata educata.

Dopo un’alternanza di rovesci e di riprese, nonché il matrimonio della figlia di Tony, si arriva al centenario di fondazione della ditta e cioè nel 1868. L’evento simbolico non cambia il corso degli eventi. I Buddenbruck non falliscono, ma decadono sempre, il marito della figlia di Tony subisce un processo e finisce in galera, tutto si disgrega senza crollare, la borsa e la finanza stanno diventando i nuovi fari dell’economia capitalistica, la funzione imprenditoriale cambia e loro non sono sempre capaci di tenere il passo, ma subiscono anche la concorrenza spietata di altri protagonisti del romanzo, gli Hagelstrom, rivali dei Buddenbruck. Le leggi di una concorrenza spietata hanno una parte nel romanzo ma il messaggio finale, una volta liquidata la ditta, è un altro. Con i Buddenbruck. si dissolve proprio quella capacità imprenditoriale, quel saper fare che avevamo visto incarnato nei suoi aspetti vitalistici da Tom Jones.

Alla fine è Tony che rimane sola a incarnare la famiglia, proprio lei; è benestante come tutti gli altri protagonisti, quindi non è la ricchezza materiale che le manca ma tutto il resto. Ciò che è miseramente fallito è proprio quel galateo borghese che si voleva universale e che invece non regge neppure all’interno della quattro mura domestiche.

Il ‘900

Nel grande romanzo del ‘900, la famiglia di fatto scompare o è di nuovo protagonista laddove lo sviluppo di un’economia capitalistica e di una cultura borghese è stata più tarda, come in Italia, per esempio. In Pirandello e anche precedentemente in Verga, essa è presente, anzi è la cellula primaria che grazie alla cooperazione fra i suoi membri dovrebbe garantire la possibilità di riscatto. Invece, implode internamente e anche come organismo sociale (il ciclo dei vinti). La grande narrativa siciliana, da De Roberto a Tomasi di Lampedusa rappresenta plasticamente la decadenza delle famiglie aristocratiche nel momento in cui Il regno delle due Sicilie sta per cadere. Nel ‘900 esplode la crisi dell’individualità borghese. Da Svevo a Musil, ma anche in Henry James negli Stati Uniti, la dissoluzione del personaggio eroico o almeno forte, è la costante: è il tempo degli uomini senza qualità. In Italia, Il fu Mattia Pascal fugge da se stesso e da ogni legame.

Nel secondo dopoguerra romanzi come Il giardino dei Finzi Contini di Bassani e ancora di più Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, continuano nobilmente quella tradizione borghese che abbiamo visto alle sue origini rappresentata dai romanzi del primo settecento inglese. I valori, i personaggi, il loro modo di agire ricalcano quei modelli, seppure attualizzandoli e collocandoli nella realtà italiana. Una novità di rilievo è la presenza in alcune narrazioni novecentesche, della famiglia operaia: Figli e amanti di D.H. Lawrence in Inghilterra e alcune opere del neorealismo italiano, come Metello di  Pratolini.

Cosa avviene invece, se si va dall’altra parte dell’Atlantico? L’urlo e il furore di Faulkner e Furore di Steinbeck sono forse i romanzi più rappresentativi, rispetto a questa tematica. Entrambi hanno al loro centro la disgregazione di due famiglie. In Furore è la crisi del ’29 a rovinare Tom Joad e i suoi famigliari, mentre nel romanzo di Faulkner la disgregazione della famiglia borghese bianca assume i toni allucinatori e psicotici di uno dei protagonisti (Bengj); oppure quelli cinici di Jason. Il romanzo, un cult della narrativa d’avanguardia, non apporta nulla di nuovo al copione, ma la rappresentazione plasticamente tragica ed espressionista insieme, fanno di questo romanzo un capolavoro.

Nella narrativa più recente quello che appare evidente, anche nei romanzi di intrattenimento, è la presenza di un mondo orizzontale di fratelli e sorelle che sono rimasti senza padri o senza madri: per esempio Caos calmo di Veronesi. Del resto un bel libro dello psicanalista junghiano Luigi Zoja, delinea molto bene la deriva della figura paterna, ricostruendone la storia da Ettore ai nostri giorni: Il gesto di Ettore.

Oppure si affaccia anche nella narrativa la famiglia pedofila o l’abuso: La bestia nel cuore di Cristina Comencini, oppure L’amore molesto di Elena Ferrante. In generale è proprio la società senza padre la protagonista di molta narrativa contemporanea, anche laddove esso sembra esistere ma si presenta nella versione post sessantottina del genitore amicone.

Per concludere

Con quest’ultimo passo si compie un percorso secolare ma al tempo stesso, proprio a seguito dei cambiamenti profondi avvenuti dalla metà degli anni ’60 in poi, sono maturate altre consapevolezze e soggettività che hanno cambiato radicalmente il modo di concepire la famiglia e messo in discussione il concetto stesso di famiglia. Mi riferisco al  femminismo, alla crescita dei movimenti LGBTQ, alla riflessione su genere, classe e sesso. Si può davvero dire che da tutto questo fermento ha preso avvio non un nuovo capitolo, ma un’altra storia e altre scritture. In questa fase, la mia impressione è che la saggistica sia qualitativamente predominante rispetto alla narrativa ed è dunque a tale vasto campo che è meglio rivolgersi.  

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