SIMONE WEIL
“In passato Greci e Troiani si massacrarono a vicenda per dieci anni a causa di Elena. A nessuno di loro, eccetto l’amante guerriero Paride, importava nulla di Elena cosicché tutti maledissero il giorno in cui era nata. Il valore della sua persona era così sproporzionato rispetto a quell’immane conflitto che agli occhi di tutti apparve come un mero simulacro del vero motivo del contendere; solo che quest’ultimo nessuno osava né poteva definirlo, poiché non esisteva. Nessuno poteva misurarlo se non contando i morti già provocati e i massacri futuri. In altre parole il suo valore andava al di là di ogni limite assegnabile.
Ettore presentiva che la sua città sarebbe stata distrutta, che suo padre e i suoi fratelli sarebbero stati massacrati e la sua sposa condannata a una schiavitù peggiore della morte; Achille sapeva di destinare suo padre alle miserie e alle umiliazioni di una vecchiaia indifesa; gli uomini sapevano che le loro case sarebbero andate distrutte a causa di un’assenza così prolungata; ma nessuno stimava che questo fosse un prezzo troppo alto da pagare perché tutti perseguivano un nulla il cui valore era commisurato al prezzo stesso che bisognava pagare. Per suscitare vergogna nei Greci che proponevano di fare gli uni e gli altri ritorno a casa, Minerva e Ulisse credevano che fosse sufficiente evocare le sofferenze dei compagni morti.
Tremila anni dopo ritroviamo esattamente la stessa argomentazione nelle parole con cui Poincaré intende svilire la proposta di una pace senza vincitori né vinti.
[…]
Se non altro al centro della guerra di Troia c’era una donna, per di più una donna di estrema bellezza. Per i nostri contemporanei il ruolo di Elena spetta a parole ornate di maiuscolo. Se afferriamo una di queste parole rigonfie di sangue e lacrime per cercare di stringerla la troveremo vuota. Le parole che hanno un senso e un contenuto non sono parole assassine. […]
Ma mettiamo la maiuscola a parole prive di significato e, alla prima occasione, gli uomini spargeranno fiumi di sangue, a furia di ripeterle accumuleranno rovine su rovine, senza mai ottenere davvero qualcosa di corrispondente; niente di reale può davvero corrispondere a tali parole, poiché non significano niente. Il successo coinciderà esclusivamente con l’annientamento di uomini che lottano in nome di parole diverse. Questo perché un’altra caratteristica di tali parole è che esistono per coppie antagoniste. Intendiamoci, non sempre esse sono prive di senso di per sé: alcune di loro ce l’avrebbero se solo ci prendessimo la briga di definirle come si deve. In tal modo, però, perderebbero la maiuscola e non potrebbero più fungere da vessillo né trovare posto tra le tintinnanti parole d’ordine nemiche; non sarebbero che un tramite per cogliere la realtà concreta, o un obiettivo concreto, o un metodo d’azione. Chiarire i concetti, screditare le parole congenitamente vuote, definire l’uso di altre attraverso analisi precise, per quanto possa sembrare strano, servirebbe a salvare delle vite umane”.
“Sembra che in ogni campo abbiamo perduto le nozioni essenziali dell’intelligenza, le nozioni di limite, di misura, di gradualità, di relazione, di rapporto, di condizione, di legame necessario, di nesso tra mezzi e risultato”
(Simone Weil, Non ricominciamo la guerra di Troia)