NARRAZIONI FRA MEMORIA E STORIA
Premessa
Due libri che ho letto di recente e la nuova edizione del festival della letteratura working class organizzato dal collettivo della GKN occupata di Firenze, hanno sollecitato una riflessione sulle differenze fra narrazione e romanzo, un tema peraltro trattato anche nell’intervista a Vincenzo Consolo pubblicata su questo blog. La presenza di scritture narrative che si muovono fra storia e memoria si collocano a cavallo di generi diversi, sfuggendo a definizioni canoniche. Lo stesso si può dire per il festival della letteratura Working class, che si propone programmaticamente di occuparsi delle scritture che nascono in ambiente operaio – largamente inteso – e riflettono dall’interno di quel mondo sui meccanismi che governano il rapporto fra linguaggio, mondo del lavoro e società nel suo complesso. Il festival, mi sembra, fra l’altro, un tentativo riuscito di mettere alla prova il concetto di general intellect di Marx, partendo dalle competenze che un gruppo operaio di una fabbrica tecnologicamente molto avanzata è in grado di produrre grazie alle proprie competenze e culture trasversali. Un’ultima caratteristica del festival va infine sottolineata come diversità per me fondamentale rispetto ad altri festival analoghi tenuti in Inghilterra: l’iniziativa si svolge dentro una situazione di conflitto – una fabbrica occupata – e non si pone come momento letterario e artistico separato. Da tempo non esiste più un mandato della società a scrittori e artisti per essere la coscienza critica di una comunità. Tale mandato può essere ripreso come orizzonte di senso mettendo al lavoro e a contatto artisti e scrittori con le situazioni dove le aggregazioni virtuose, come quella di GKN, creano atolli di senso nel mare dell’insensato che ci circonda. Lo stesso può avvenire anche con quelle opere che si pongono il problema di una memoria collettiva da salvare.
Gli anni forti di Paola Martini
Pubblicato da Manni nel 2020, il libro è autobiografico e gli anni forti sono quelli che vanno dal dopoguerra all’uccisione di Aldo Moro. Nella prima parte Martini descrive, con ricchezza e generosità di particolari, la formazione e la crescita di una protagonista femminile – Paola – che da bambina diviene adolescente e poi donna adulta. Il contesto sociale è la campagna Toscana e due sono i perimetri portanti della sua esperienza: un microcosmo – Villa Gina – e una città di riferimento, Empoli; un terzo, sotto traccia, è l’ambiente cattolico di Gs, che diventerà più importante nel momento in cui l’esperienza della scuola di Barbiana irromperà sulla scena diventando uno dei fattori di cambiamento.
I personaggi di questa prima parte sono abbastanza canonici, fanno parte di un universo sociale che si ritrova anche in altre parti d’Italia: da nonno Fogli alla madre – la signora Lia, come la chiamava sempre Tata – poi Clemetina e Chiara, le prime forti amicizie femminili, la scoperta del maschile e della sessualità. Sullo sfondo, le notizie del mondo e della grande politica arrivano con la radio insieme alle canzoni: è la storia del dopoguerra italiano fra privazioni e slanci vitali, ma c’è un passaggio significativo quando dalle parole della protagonista affiora questo ricordo:
… siamo state però bambine “selvagge” poco composte rispetto alle nostre coetanee di città … Pag. 20)
Lo stare composti era un’ingiunzione che veniva riservata anche ai maschi specialmente in ambito scolastico: il recupero anche linguistico di un’espressione come questa ci rimanda a quel tempo in modo molto diretto .
Da un passaggio scolastico all’altro, fino al liceo, poi all’università, la città assume un ruolo diverso, cresce la voglia di sperimentare, di andare oltre i confini della piccola comunità e iniziano anche i conflitti – quelli con il padre prima di tutto – ancora una volta in linea con un andamento generazionale che riguarda l’Italia intera. La politica è ciò che li divide ma erano pure anni in cui erano i figli e le figlie a costringere i genitori a confrontarsi con nuove realtà. Certo, alle spalle, c’era anche il boom economico che aveva favorito la scolarizzazione dei ceti operai e piccolo borghesi. Insieme a tutto questo, naturalmente, i primi amori, la presenza sempre più importante di Carlo il giessino, la scoperta dell’Italia intera, i campeggi in Calabria e in Sardenga, un altro passaggio generazionale importante di quegli anni: quella generazione unificò l’Italia una seconda volta e ci sono nel libro dei passaggi che lo sottolineano in modo molto efficace.
Che idea della politica e dell’impegno sociale emergono però da questa narrazione? I passaggi significativi sono diversi, ne isolo alcuni che mi sembrano più emblematici di altri. Il primo è importante per il contesto: la Toscana insieme all’Emilia Romagna era l’emblema del PCI. L’avvicinamento a quel partito è segnata da subito dall’ambivalenza, ma non è la mancanza di radicalità che la protagonista mette in evidenza, ma la distanza fra propaganda e realtà del socialismo reale che sfocia in brevi riflessioni fra cui questa:
Come poteva conciliarsi quel modello opprimente con quello dell’”immaginazione al potere”degli irridenti studenti della Sorbonne di Parigi, del variopinto universo dei pacifisti, dei raduni oceanici di Woodstock? … Pag 118.
Il secondo passaggio è il distacco da GS, che matura in modo più lineare senza troppi traumi, ma di quella esperienza la protagonista conserva una traccia, seppure profondamente trasformata anche dall’esperienza di don Milani: la preponderanza del sociale sul politico che si rifletterà anche nelle scelte lavorative. Il terzo passaggio è fatto di due diversi elementi: la diffidenza rispetto a certe derive sessantottine come il 18 politico, che chi aveva studiato con fatica e sacrifici non poteva accettare – a differenza dei figli dei ceti cittadini del nord – pur capendone alcune delle ragioni. Il passaggio più importante, tuttavia, è la distanza che la protagonista mette fra la propria esperienza e una radicalizzazione dei movimenti da cui la Paola si sente estranea. Il modo in cui lo esprime in questo dialogo con un’amica, da cui emerge anche la crisi nel rapporto con Carlo, è quanto mai significativo:
“… Io non lo capisco Paola, non capisco il suo silenzio, il suo mutismo … Discute solo di politica lui …”
“ Non l’hai ancora capito che loro son diversi da noi? Noi siamo terra e ci sentiamo terra, loro no e non accettano di esserlo .Vogliono essere eroi, capi, avanguardie … Il mio uomo e il tuo scommettono tutto sulla mente”…Pag166.
Per molte donne di quella generazione l’estraneità sfocerà nel femminismo, dal quale peraltro la protagonista non sembra tuttavia toccata più di tanto. Nel dialogo, la lucidità di Paola rispetto al linguaggio politico dei due uomini emerge con chiarezza, ma questo non la salverà dalla cecità rispetto al tradimento di Carlo.
Memoria e biografia
Gli anni forti hanno due centri propulsivi. Il primo è antichissimo e ha a che fare con la narrazione orale, il tramandarsi le esperienze tramite la conversazione e nel racconto conviviale; nel mondo contadino questa modalità è presente da sempre. Questo retroterra porta con sé due conseguenze quasi naturali: la girandola dei personaggi che danno al testo un andamento corale, poi lo scrupolo cronachistico che ricorda un po’ i cronisti medioevali che non distinguevano fra piccoli e grandi eventi, ma cercavano di registrarli tutti per quanto possibile. Forse nel fare questo Martini ha esagerato un po’ e alla sua memoria sembra non sfuggire davvero nulla. I momenti che fungono da spartiacque e che segnano un prima e un dopo emergono quasi sempre dall’osservazione scrupolosa ma senza enfasi eccessiva e senza giudizio, come avviene in questo passaggio, drammatico ma al tempo stesso misurato:
Una notte, fatto di alcool e allucinogeni, Andrea ha tentato di spiccare il volo, verso quel cielo dai colori abbaglianti, che ormai aveva dentro, lanciandosi con un balzo dall’appartamento posto in via dei Neri sul tetto della casa di fronte e si è sfracellato al suolo. Qualcun era con lui in quell’appartamento ma se n’era andato prima, o forse spaventato, era fuggito. Il primo morto per droga a Empoli Pag. 108.
Il secondo centro propulsivo è recente e mi riporta ancora in Toscana, precisamente ad Anghiari, capitale dell’autobiografia e della micro storia. Il progetto varato da Duccio Demetrio si poneva proprio il problema di una memoria storica che avesse anche una valenza antropologica e ricostruisse dal basso anche i grandi eventi e per come essi sono filtrati dalle diverse comunità.
Il racconto di Martini si astiene dal giudicare, le scelte della protagonista anche quando sono chiare ed evidenti, emergono sempre dai dialoghi oppure dai comportamenti e la distanza dai comportamenti che si rifiutano non implica alcun giudizio sugli altri ma guarda piuttosto alla drammaticità della situazione. È quanto avviene in questa citazione che chiude una fase della sua vita e porta verso la conclusione del libro. Il giorno è il più drammatico di quegli anni, quando arriva la notizia dell’assassinio di Moro. Paola è per strada e si rende conto che qualcosa di grave sta accadendo vedendo la folla che si raduna nel centro di Firenze. La notizia la sgomenta, ma è la riflessione finale, lapidaria, a chiudere una fase della propria vita, che di certo non rinnega, ma rispetto alla quale c’è la necessità di una cesura:
Un nodo mi serrava la gola, perché quel lutto, quella costernazione erano anche miei, come se qualcosa si fosse frantumato per sempre, certamente anche per responsabilità nostre, mie e dei miei compagni.
Non colpevoli, ma neppure liberi di pensare che quella conclusione non ci riguardasse. Pag. 187.
Per concludere
Due considerazioni finali sul tempo e sulla conclusione del libro. Nella prima parte il tempo è scandito da riti di passaggio che sembravano ancora immutabili. Dal capitolo ironicamente intitolato Che anno è – pag. 67, le cose cominciano a cambiare. Subentra un tempo più concitato e anche i ricordi non seguono uno sviluppo lineare perché gli eventi sono filtrati dalla percezione che la protagonista Paola ne ha e questo crea delle sfasature. Così può accadere che un fatto enorme come la bomba di Piazza Fontana emerga improvvisamente dopo altri ricordi in apparenza di minore importanza, ma che le hanno permesso però di afferrare a posteriori tutto il senso di quell’evento: un tempo interiore, dunque, ma non intimistico.
La conclusione del libro contiene tutta l’ambivalenza di quella situazione tragica: ritorno al privato? Riflusso? Oppure apertura verso una nuova vita? Ci sono tutti questi elementi e ancora una volta la narrazione descrive e registra senza pretesa di giudizio. Tuttavia, arrivato alla fine del libro, a me lettore, la meticolosa ricostruzione di quegli anni, mi spinge a dire che poche generazioni hanno avuto la fortuna di poter fare così tante e ricche esperienze nel giro di pochi anni. La combinazione perversa fra stragi di stato e terrorismo pose fine a quel sogno generazionale. Paola, la protagonista sceglie alla fine di vivere, di recuperare la relazione Carlo, di aprirsi a un futuro possibile.