Dopo la fine del mondo

L’ultimo spettacolo delle Nina’s Drag Queen: Le Gattoparde. L’ultima festa prima della fine del mondo, rappresentato alla Biennale Teatro di Venezia, edizione del 2020, a cura di Antonio Latella, ritorna al Teatro Carcano di Milano, da martedì 19 a domenica 24 ottobre, dopo l’esordio del  maggio scorso: la scheda dello spettacolo si trova nel sito del teatro.  

La rappresentazione giunge a proposito nel mezzo della pandemia ancora in corso; non perché ne parli, anzi, non ne parla proprio. Tuttavia, a cominciare dal titolo, il testo ci pone di fronte a uno scenario evocato più volte in questi mesi, sia in racconti in presa diretta, oppure con riferimento a romanzi del passato e più in generale a un sentimento apocalittico che è aleggiato più volte, assumendo forme diverse. Il motivo di fondo è la Festa, con la maiuscola, perché sia intorno a essa, sia nel momento della sua fine, gira l’intera rappresentazione. La festa non finiva mai e continuava a cominciare è la battuta iniziale di una Gattoparda e rappresenta a livello di scrittura quello che è la chiave in una composizione musicale. In quel continuava a cominciare c’è molto dello spettacolo: una girandola di personagge, un vorticare di scene e quadri, di battute incalzanti che invitano sì al riso, ma che rivelano anche una volontà di leggerezza troppo esibita per essere del tutto vera e infatti, nella battuta iniziale ricordata, c’è anche la rappresentazione di un girare a vuoto e il rimando a un periodo della storia europea che fu preludio ai disastri di un secolo: come non ricordare la Belle Epoque e la sua frenesia? Un’altra battuta, sempre iniziale, lo sottolinea:

… Io desidero, desidero … tutto quello che non si può desiderare … forse non so neanche più cosa. Tutti i miei desideri sono di morte!

L’ansia esibita di desiderare a tutti i costi, ma senza sapere bene che cosa, domina queste figure femminili anche nei loro momenti più felici. La Festa s’ispira anche al Ballo del Gattopardo e questo ci rimanda all’Italia e alla sua storia, che costituisce un altro centro propulsore del testo, ma con scarso – se non assente – riferimento al romanzo di Tomasi di Lampedusa; se mai qualche eco del film di Luchino Visconti.  

Come in tutte le feste ci sono dei siparietti, dei momenti appartati. In uno di questi entra in scena la chiacchiera culturale e da questo comprendiamo di essere nella contemporaneità; o meglio, quella contemporaneità che prende corpo negli anni ’80 del secolo scorso. Anche i riferimenti a una certa televisione e al ruolo che vi ebbe Raffaella Carrà lo sottolinea più volte. Le battute del gruppo di Gattoparde ruotano intorno a una di loro che ha scritto un romanzo storico sull’Italia e sta cercando un editore; ma da un’altra parte della festa c’è anche una regista che cerca attrici per un serial in sei puntate sulla storia d’Italia. Vacuità di propositi, velleità e piccoli opportunismi, s’inseguono a un ritmo incalzante: ma sono vive o morte queste Gattoparde? Sono entrambe. Italia, addobbata nel tricolore, recita la sua parte nel rivivere alcuni passaggi chiave della vita nazionale. Ritorna periodicamente in scena, alternandosi al gruppo delle Gattoparde che concionano intorno a romanzi storici e film su di lei. Insieme ad altre figure, le Garibaldine per esempio, percorre in brevi quadri la vita nazionale, dal Risorgimento, al ventennio Fascista, alla Repubblica. Sullo sfondo una storia d’amore fra Rosaria e Diana, che diventa visibile e raccontabile in tempi a noi prossimi: forse il solo cambiamento positivo dentro l’inarrestabile decadenza della vita nazionale.

LA FINE

Cosa non vedono le protagoniste della festa infinita, o fingono di non vedere? Come nella Lettera rubata di Poe sta sotto gli occhi di tutti, anche dei nostri che guardiamo lo spettacolo: la grande baldoria sta per finire. Quando la Festa si trasforma in un campo di battaglia e spazio desertificato, non si rimane in fondo sorpresi. Il cambiamento, però, implica un’estensione dello spazio: non è più solo l’Italia ma è la comunità umana, la Terra direbbe un giovane di Friday for future. Nella scena ormai vuota le Gattoparde riemergono e in una sorta di capovolgimento dei Sei personaggi in cerca d’autore: non sono più loro ad avere una storia da raccontare più interessante di quella che andava in scena, è la scena a non esserci più, anzi la comunità che la sostiene. Siamo personagge o persone, umane o disumane domanda Tommasina. Nella scena dissolta le Gattoparde decidono di compiere un rito funebre per il futuro/mondo che non esiste più. Eppure un futuro bisogna continuare a immaginarlo, ma esso è un percorso che porta fuori dal teatro; o se si vuole fuori dalla finzione. Questo finale, pur essendo infondo annunciato durante tutto lo spettacolo, giunge improvviso, nei tempi giusti e si conclude con la rapidità di un sogno che scompare. Le Gattoparde, spoglie, senza più costumi e orpelli, sfilano come fantasmi, poi lasciano la scena con poche ed essenziali parole. Eppure il finale non è pessimista: ci sarà vita anche dopo la fine del mondo e chi è sopravvissuto dovrà inventarlo di nuovo.

IL TESTO E LA REGIA       

Nel percorso delle Nina’s questo testo rappresenta un cambiamento di prospettiva che era già emerso nello spettacolo precedente, a sentire le recensioni critiche. La novità maggiore è la scrittura del testo da parte del gruppo, mentre in precedenza si trattava di rielaborazioni in chiave Drag Queens di testi classici come Il Giardino dei ciliegi ribattezzato Il giardino delle ciliege, o L’opera dei mendicanti (DragPennyOpera). Il cimento con il testo è pienamente riuscito. Il secondo cambiamento consiste in un uso più moderato del playback, senza però diminuire la presenza musicale che rimane essenziale come negli altri spettacoli. La continuità sono la costruzione a quadri, il ruolo della danza e la cura dei costumi. La combinazione fra questi elementi e il ritmo particolarmente incalzante scelto dalla regia, permettono di assorbire i tempi morti del passaggio da un quadro all’altro. La tensione rimane alta e costante per tutto lo spettacolo, dalla durata non più così usuale nel teatro contemporaneo. Lascio per ultima le prove d’attore, convincenti come sempre, che rivelano un’intesa profonda del gruppo, che va aldilà dell’aspetto squisitamente teatrale e professionale. Un’operazione, per concludere, difficile e pienamente riuscita.