Dulce et decorum est

British soldier and war poet Wilfred Owen (1893 – 1918) in uniform with a young boy, circa 1917. (Photo by Evening Standard/Getty Images)

Quella che segue è una poesia di Wilfred Owen che Woolf cita più volte nel suo libro Le tre ghinee come esempio di un maschile che ha saputo distaccarsi dall’esaltazione della guerra. Vale la pensa di ricordare che a centro anni e più dalla Prima Guerra Mondiale e nonostante che Owen sia morto in quel conflitto, le sue poesie di denuncia sono tenute fuori dalle antologie.

Bent double, like old beggars under sacks, 

Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge, 

Till on the haunting flares we turned our backs 

And towards our distant rest began to trudge. 

Men marched asleep. Many had lost their boots 

But limped on, blood-shod. All went lame; all blind; 

Drunk with fatigue; deaf even to the hoots

Of tired, outstripped Five-Nines that dropped behind.

Gas! Gas! Quick, boys! – An ecstasy of fumbling, 

Fitting the clumsy helmets just in time; 

But someone still was yelling out and stumbling, 

And floundering like a man in fire or lime . . . 

Dim, through the misty panes and thick green light, 

As under a green sea, I saw him drowning. 

In all my dreams, before my helpless sight, 

He plunges at me, guttering, choking, drowning. 

If in some smothering dreams you too could pace 

Behind the wagon that we flung him in, 

And watch the white eyes writhing in his face, 

His hanging face, like a devil’s sick of sin; 

If you could hear, at every jolt, the blood 

Come gargling from the froth-corrupted lungs, 

Obscene as cancer, bitter as the cud

Of vile, incurable sores on innocent tongues, 

My friend, you would not tell with such high zest

To children ardent for some desperate glory, 

The old Lie; Dulce et Decorum est 

Pro patria mori.

***

Piegati in due, come vecchi straccioni, sacco in spalla,

le ginocchia ricurve, tossendo come megere, imprecavamo nel fango,

finché volgemmo le spalle all’ossessivo bagliore delle esplosioni

e verso il nostro lontano riposo cominciammo ad arrancare.

Gli uomini marciavano addormentati. Molti, persi gli stivali,

procedevano claudicanti, calzati di sangue. Tutti finirono

azzoppati; tutti orbi; ubriachi di stanchezza; sordi persino al sibilo

di stanche granate che cadevano lontane indietro.

Il GAS! IL GAS! Svelti ragazzi! – Come in estasi annasparono,

infilandosi appena in tempo i goffi elmetti;

ma ci fu uno che continuava a gridare e a inciampare

dimenandosi come in mezzo alle fiamme o alla calce…

Confusamente, attraverso l’oblò di vetro appannato e la densa luce verdastra

come in un mare verde, lo vidi annegare.

In tutti i miei sogni, davanti ai miei occhi smarriti,

si tuffa verso di me, cola giù, soffoca, annega.

Se in qualche orribile sogno anche tu potessi metterti al passo

dietro il furgone in cui lo scaraventammo,

e guardare i bianchi occhi contorcersi sul suo volto,

il suo volto a penzoloni, come un demonio sazio di peccato;

se solo potessi sentire il sangue, ad ogni sobbalzo,

fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava,

osceni come il cancro, amari come il rigurgito

di disgustose, incurabili piaghe su lingue innocenti –

amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore

a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate,

la vecchia Menzogna: Dulce et decorum est

Pro patria mori.