GRAND TOUR: LA TUSCIA

Viterbo sotterranea.

Diversi anni fa, durante un lungo soggiorno nella zona dei Castelli Romani, ebbi la fortuna di conoscere un gruppo di archeologi e antropologi che lavoravano in quella zona. Non erano professionisti, facevano altri lavori e si dedicavano allo studio del loro territorio per passione e a quello scopo avevano fondato un’associazione culturale. Erano tutti uomini tranne Antonia Arnoldous, olandese d’origine ma residente da tempo a Rocca di Papa. Antonia era la sola vera professionista: oltre alla pubblicazione di diversi studi su Roma e le zone limitrofe, fu lei a riscoprire le rovine di un tempio di Diana, di cui si sapeva l’esistenza ma che se ne stava sommerso da tempo dalla vegetazione selvaggia intorno al lago di Nemi. Fu un’estate ricchissima e anche un ritorno indietro alla storia più arcaica che riemergeva pian piano dai ricordi della scuola elementare e media: Albalonga, le sue strane origini legate al nome, la cultura preromana, le leggende del lago di Nemi, le sole intorno alle quali potevo dirmi un poco più esperto, visto che avevo già letto Il ramo d’oro di Frazer. Durante una delle tante discussioni serali, qualcuno disse rivolto a me una frase che ricordo a memoria: guarda che non si può capire Roma se non si vedono i Castelli. A parte le implicazioni storiche dell’osservazione, me n’ero già accorto, in particolare proprio a Rocca di Papa, dove mi capitava spesso – e con iniziale stupore – d’incontrare volti (specialmente maschili) che sembravano statue viventi di antichi romani, specialmente nel modo di portare i capelli, lisci e in avanti.

La frase pronunciata quella lontana sera mi è tornata di colpo alla memoria all’inizio di questo mio tour nella Tuscia: impossibile capire Roma senza il retroterra dell’alto Lazio, Viterbo in particolare. La fisiognomica in questo caso non c’entra perché quello che colpisce molto di più nella città odierna è la presenza multietnica diffusa: piuttosto che volti etruschi si vedono ovunque volti africani, mediorientali, più raramente asiatici e latino americani.  

Roma fu un grande attrattore, prima di tutto per ragioni geopolitiche. Domina chi sta in pianura (i colli di Roma sono bassi rispetto ai Castelli e all’alto Lazio), o su un altopiano che è pur sempre una pianura; se ha un fiume lungo il quale crescere e il mare vicino il quadro è completo. Oppure domina chi è un’isola (Inghilterra e Giappone docet), o chi possiede un territorio talmente vasto da essere in sé un intero continente, seppure soggetto a fenomeni di disgregazione interna (Cina e Usa). La dinamica fra le linee di forza che ciascuna di queste aggregazioni esprime in contrapposizione agli altri concorrenti, detta le regole della geopolitica da migliaia di anni ed è sufficiente andare a vedere dove sono i nodi strategici militari: a capo Miseno, sede della flotta romana, oggi c’è la flotta statunitense. Chi sta in alto o nelle selve può solo opporre una tignosa resistenza (ci vollero secoli per domare i popoli autoctoni del Lazio e gli Etruschi), ma alla fine non può che rimanere lì dove si trova. Chi sta in basso attrae, assimila, metabolizza ed espelle come scarto la parte negativa che non gli serve o ritiene pericolosa. Alla fine, chi sta in alto viene depauperato, o assorbito come fortezza chiamata a presidiare un territorio, mentre se oppone resistenza e non può venire vinto con gli assedi, viene lasciato prima o poi al suo destino perché chi si trova in basso ha a disposizione molte strade per i suoi traffici. Per questa ragione ci troviamo oggi nella preziosa condizione di potere ammirare mirabili sopravvivenze quali Pitigliano, Civita di Bagnoregio, Velleja romana, Pentadattilo e gli altri paesini arroccati sulle aspre montagne calabresi e tante altre piccole comunità più o meno abbandonate. Opposero strenua ed eroica resistenza alla geopolitica del loro tempo, oppure erano le sentinelle di un potere di pianura che fu rovesciato da altri. Sono ancora lì a ricordarci che dominio, sopraffazione e bellezza vanno sempre insieme e continueranno ad andare insieme finché le logiche geopolitiche si muoveranno secondo le medesime linee di forza patriarcali di migliaia di anni fa.

Viterbo e i Castelli sono due scenari che fanno da sfondo, da serbatoio e da linfa vitale al fiorire della civiltà romana, prima e dopo la classicità. Esercitarono tale ruolo in modo diverso perché la terra degli Etruschi ha al proprio interno una cesura che nei Castelli romani non c’è: se si va a Volterra, si percepisce di essere in un altro mondo, rispetto a quello della Tuscia laziale. Nei Castelli, invece, la loro natura di sfondo emerge in modo lampante, come se Roma avesse bisogno di appoggiare le proprie spalle a qualcosa che stava dietro e in alto. Forse dipende anche dal fatto che la storia preromana dei Castelli è più nota, mentre gli etruschi rimangono su uno sfondo più opaco, nonostante si riconosca la loro grande influenza e si sappia molto di più su di loro di quanto se ne sapesse quando frequentavo le scuole. In effetti, anche Viterbo, nel gioco e nella dinamica di questi due mondi satellitari intorno a Roma, ebbe un’importanza ben maggiore successivamente. Albalonga, invece, fu molto probabilmente un modello di polis che influenzò la primissima crescita di Roma, l’assorbimento dell’elemento etrusco richiese più tempo e probabilmente fu più complesso che non quello sabino. Le rovine arcaiche intorno a Nemi, ma anche le strade preromane come quella che dal Monte Cavo arriva fino ad Albano laziale, conservate dal fitto bosco dei Castelli, sono resti archeologici che denotano una cultura già complessa e un pantheon di divinità assai antico. Tuttavia, la tarda età imperiale impresse ai Castelli una svolta che accentuò di molto la distanza dall’altra area satellitare dell’alto Lazio; ma con questo siamo nel cuore dell’epoca cristiana. Viterbo colpisce subito per due caratteri che s’impongono all’occhio, anche a una visita superficiale: lo straordinario stato di conservazione del suo centro storico e l’unità di stile del medesimo. Il secondo aspetto, conseguenza del primo, è tuttavia il più importante. La pietra e il tufo, le linee forti e semplici dell’architettura degli edifici, conferiscono all’area un’immagine di compatta coerenza, solidità e severità: l’arredo urbano moderno, fatto perlopiù di addobbi floreali, rampicanti, altre piante ornamentali, si sposa benissimo con quello antico, costituito principalmente dalle bellissime fontane. Il Palazzo dei Papi, collocato in fondo alla via che inizia da Piazza della Morte, conserva le medesime caratteristiche di severità, mentre dal loggiato si gode una vista imponente sulla valle sottostante e sulla collina dove inizia la Viterbo moderna. Anche quest’ultima, almeno per quella parte che si vede dal palazzo e dal loggiato, appare pensata con la stessa coerenza, che si perde quanto più si va in direzione della zona industriale. I colori sono diversi perché non si può imitare su altri materiali quello del tufo e della pietra, ne risulterebbe un anonimo grigio; ma la prevalenza di tinte chiare, solari e tenue che sfumano in un ventaglio che va dal rosa deciso all’ocra, al melone, riflettono, anche in una parte della Viterbo moderna, la stessa coerenza di stile. Al contrario di quanto avviene nei Castelli, la città arcaica è sotterranea, ma la continuità dei materiali da costruzione ne accentua ulteriormente la severità. Viterbo è austera, sobriamente elegante nel suo centro storico e l’immagine sintetica che se ne ricava è quella di una città tardo medioevale governata da una Chiesa che dominava senza esibizione di forza perché godeva di un consenso molto alto e cercava di trasmettere un’immagine di sé coerente con i valori cristiani. Niente a che vedere con i Castelli. Quando, arrivando da Roma, si giunge nella grande piazza parcheggio a ridosso del centro storico di Frascati, la vista corre alla collina sovrastante all’imponente palazzo Aldobrandini: è il trionfo della monumentalità Rinascimentale, con il suo sfoggio di potere e ricchezza, il gusto dell’arte, lo sfarzo delle residenze dell’aristocrazia nera vaticana: è il destino dei Castelli, iniziato già nell’epoca imperiale romana ai primordi (sembra che persino Giulio Cesare avesse una villa sulle rive del lago di Nemi). Viterbo è molto più distante del centinaio di chilometri che la separano da questo territorio, con Roma nel mezzo e in basso. 

Il lago di Nemi

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