IL SEGRETO DI LENIN

UN ALTRO RACCONTO DAL LIBRO FIGURE

Pochi conoscono un episodio minore di quella grande epopea che fu la Rivoluzione d’Ottobre, un evento ormai lontano nel tempo e che verrà presto del tutto dimenticato.   Vale la pena di riferirlo perché riguarda nientemeno che Vladimir Ilich Ulianov … Lenin insomma! La ricostruzione di questa vicenda si basa su diverse testimonianze,  di cui una è la più importante, in quanto si tratta di una fonte diretta. Fu raccolta  molti anni fa a Mosca da alcuni studenti universitari; si era al tempo del disgelo krusceviano, si tentavano nuovi metodi nel fare storia, fra cui quello di raccogliere le testimonianze orali di chi aveva partecipato ai fatti, oppure ne era stato coinvolto in qualche modo. Per dare al lettore maggiori possibilità di comprendere ci soffermeremo un poco sul contesto degli eventi.

La Russia era sconvolta dalla guerra civile. Le battaglie erano ovunque perché non esisteva un vero fronte di guerra. I luoghi nevralgici, tuttavia, erano concentrati nel bacino del Don, lungo la ferrovia Transiberiana e ad ovest di Pietrogrado. Fu proprio su  questo fronte che accaddero gli eventi che ci interessano. Agli inizi del 1919, la cittadina di Krasnoye Gorka fu assediata dalle truppe del Generale bianco Judenič.  Il pericolo era evidente perché da quella posizione era  possibile  sferrare  un attacco alla capitale baltica  e  addirittura  ricongiungersi con  le  truppe  dei generali Miller ed  Ironside,  di  stanza  ad Arcangelo.  La cittadina resistette per qualche mese ma fu poi costretta ad arrendersi. Vi  furono molti morti e molti prigionieri, quasi  tutti  condannati  alla pena capitale.  Fra  questi ultimi vi era una donna e quando  Lenin ne fu informato fece di tutto per salvarla, cercando persino un contatto con lo stato maggiore bianco, che  rifiutò. Poi le cose andarono diversamente da quanto sembrava ineluttabile. I  Bianchi, convinti come erano di  conquistare  Pietrogrado, rinviarono le esecuzioni. L’attacco alla città, però, fallì, la loro rotta  fu  completa;  tanto  che   il  Generale Judenič fu costretto a riparare all’estero.  Molti alti ufficiali bianchi furono invece catturati e rinchiusi nella Fortezza di Pietro Paolo,  prima  di essere fucilati.  Uno di loro  di  cui  la testimone non ricordava il nome, forse lo stesso aiutante di campo  del Generale, la sera precedente l’esecuzione chiese di parlare con Lenin.  Questi dapprima rifiutò, sospettando l’intenzione di una domanda di grazia; il generale, d’altro canto rinnovò la  richiesta  respingendo  sdegnosamente  il sospetto. Lenin, seppure riluttante, dovette allora accettare, ma chiese di essere  accompagnato da un testimone e  scelse  una giovane compagna.  Fu lei a  raccontare  agli studenti della Facoltà di  Storia  Moderna dell’Università di Mosca ciò che avvenne quella sera e nei mesi successivi.

Le guardie e il piantone ci guardarono esterrefatti. Non erano molte le donne che entravano nella fortezza e il fatto che accompagnassi lui poi, dovette sorprenderli ancora di più. Lenin riunì il corpo di guardia e spiegò brevemente la ragione della visita. Fummo portati in un lungo corridoio e camminammo per un po’, finché il piantono non si fermò davanti alla porta di una cella. L’alto ufficiale che vi era rinchiuso sapeva del nostro arrivo e anche della mia presenza e ci aspettava in piedi. Ci guardò portandosi una mano alla fronte e schermandosi il viso, tanto che il gesto ci sembrò una specie di saluto militare al quale Lenin rispose con fastidio. Il generale, allora, spostò, il lume e così capimmo che stava semplicemente cercando di vederci meglio: voleva sincerarsi che quell’uomo basso di statura e dimesso che gli stava danti fosse davvero il capo della rivoluzione. Lenin gli domandò in modo perentorio cosa diavolo volesse, se si trattava di qualcosa riguardante la famiglia

…”No, Vladimir Ilich Ulianov! È di voi che si tratta!”

Ricordo molto bene le parole del generale perché Lenin, udita la frase, si arrestò immobile come se fosse stato colpito da una frustata. Il generale lo fissò per un istante, poi visto che taceva, proseguì, fatemi ricordare bene le parole che disse:

“Perché insisteste così tanto e in modo così sconveniente per voi (disse proprio così sapete), nel chiedermi la grazia per quella donna?”

Io non sapevo a che cosa alludesse e mi voltai verso Lenin. Non so cosa gli passasse per la testa, ma la sua espressione cambiò almeno tre volte in un minuto. Entrambi continuavano a tacere e Lenin mi parve improvvisamente confuso. Si passò la mano sulla fronte, in quel suo modo così caratteristico, tenendo due dita alle tempie e massaggiandole, così che le altre dita della mano andavano avanti e indietro sulla testa. Si voltò verso di me e mi chiese di uscire, scusandosi che fosse proprio lui a domandarmelo, dopo che mi aveva voluto con sé come testimone.

Trovai del tutto naturale la richiesta, in fondo si trattava di un fatto personale, non politico. Una volta uscita, però, mi sentii inquieta e a disagio; mi sembrava di essere piombata di colpo in una zona d’ombra, pensavo alle spiegazioni che si sarebbero dovute dare una volta usciti. Pensai che in fondo non era affar mio, eppure mi sentivo toccata profondamente, tanto che non seppi resistere alla tentazione di origliare. Appoggiai la testa alla porta e attesi. Lenin aveva cominciato a parlare, ma non riuscivo ad afferrare le parole; mi colpì la sua voce, così diversa dal solito, meno decisa. Parlava con fatica, trascinando l’una dietro l’altra le parole.

Non ricordo quanto durò la conversazione; se conversazione fu! Perché non mi parve di udire la voce del generale.

Quando sentii bussare dall’interno chiamai il piantone e rientrai nella cella insieme a lui. Lenin ci volgeva le spalle, si voltò lentamente e uscì passandomi di fianco. Mi colpì l’espressione esterrefatta del generale, come se si fossero aperte per lui le porte su una realtà del tutto impensata. Fui così colpita da quello sguardo che il piantone dovette chiamarmi per farmi uscire. Percorremmo di nuovo senza parlare i corridoi della fortezza; Lenin camminava a testa bassa, non vedeva nulla, preso come era nei suoi pensieri, serrato in sé e impenetrabile.

Oltre un anno dopo, durante  i  primi mesi del 1921, quando ormai la Guerra Civile era stata vinta, la testimone s’imbatté in un corteo funebre e riconobbe subito molti compagni famosi, fra i quali alcuni e alcune che incontrava spesso alla scuola di formazione. Domandò chi fosse morto e seppe che si trattava di una compagna straniera che aveva condiviso con Lenin gli anni dell’esilio in Svizzera …

Dentro di me ebbi subito la certezza che quella donna fosse colei di cui aveva parlato il generale. Risalii il corteo e lo vidi in prima fila. Ricordo ancora oggi il suo volto, non lo dimenticherò mai. Vladimir Ilich camminava a stento, sorretto dalla Krupskaja e da un altro che non riconobbi; il berretto era calato sul volto, quasi a schiacciarlo, ma ciò che mi spaventò fu il suo pallore. Fu l’ultima volta che lo vidi; tre giorni dopo il funerale fu colpito dal suo male e la circostanza mi impressionò moltissimo. Domandai ad altri e così seppi che quella donna aveva avuto un ruolo importante nel viaggio di ritorno in Russia; nulla di preciso perché non aveva incarichi politici ufficiali, ma Lenin la stimava più di ogni altro compagno.

Non sapevo cosa pensare, mi sembrava tutto così strano. Era forse stata la sua amante? Continuai le mie indagini (orami avevo conoscenze fra molti compagni e compagne che occupavano ruoli importanti) e venni a conoscenza di particolari che ignoravo. Il viaggio di ritorno sul treno piombato era stato molto burrascoso; il segreto stava proprio in una conversazione che si svolse fra Lenin e la donna mentre il treno stava per arrivare alla stazione di Pietrogrado. Fu una compagna presente a riferirmelo, parola per parola, ma mi pregò sempre di non fare il suo nome.  Pare che il colloquio fosse stato concitato e che Lenin le chiedesse ripetutamente di rimanere con loro; le aveva proposto diversi incarichi ma lei rifiutava ostinatamente.

“Perché vuoi che rimanga? Sono malata e poi non sono adatta ai compiti che vi aspettano. Voglio sentirmi libera, guardarvi da lontano; non smetterò di aiutarvi e non farò nulla contro di voi, questo lo sai.”

Tutte le volte che Lenin parlava delle sue capacità lei si arrabbiava molto e Lenin ne rimaneva molto sorpreso ogni volta. Insistette anche quella volta e lei allora lo ascoltò di nuovo, quasi rassegnata.

“Tu ne possiedi molte di capacità, ma una in particolare che manca a tutti noi e quello che è accaduto questi giorni in treno mi ha aperto gli occhi. Sappiamo affrontare ogni situazione, anche le più dure, ma quando parli tu, tutti, me compreso, abbiamo la sensazione … Ti ricordi quando ti davo i miei appunti? Tu li annotavi, li cambiavi, acquistavano una forma diversa, sembravano gli stessi concetti e invece risultavano a tutti più chiari e convincenti e condivisi. Anche allora, ricordi, ti chiesi le stesse cose di oggi.”

“Avrai le stesse risposte; non posso.”

“Perché? Perché? Tu sei l’unica capace di risolvere i problemi facendoci rimanere tutti uniti.”

La compagna che aveva udito queste parole le ricordava con precisione, tale fu l’impressione che le fecero; non se le sarebbe mai aspettate da uno come lui! Pare che all’arrivo del treno Lenin non si curasse della concitazione che c’era, poi ne fu travolto e la perse di vista. Una volta sceso, vi ricorderete tutti quella fotografia di lui che si rivolgeva alle masse. I suoi occhi non smisero per qualche attimo ancora di cercarla tra la folla, ma lei se n’era già andata. Era scesa dal treno dalla parte opposta, quella dai scendono i macchinisti e aveva fatto perdere le sue tracce.

I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO BLOG SONO DI MIA PROPRIETA’: CONSENTO LA LORO STAMPA IN FORMA CARTACEA PER SOLA LETTURA E LA CITAZIONE DEL MIO NOME IN CASO DI UTILIZZO IN VOSTRI SCRITTI.