L’ennesimo femminicidio compiuto da Alessandro Impagnatiello nei confronti della compagna Giulia Tramontano ripropone a un uomo il solito dilemma: in che modo prendere posizione? A parte il rilancio dei messaggi che mi sono sembrati più significativi e il ribadire l’importanza dei centri anti violenza autogestiti dalle donne e della necessità di forme di prevenzione e rieducazione della popolazione maschile al rispetto a cominciare dai bambini, mi sembra che sia opportuno ribadire alcune convinzioni ma anche di arrivare infine a una proposta. Come uomo ho espresso più volte anche in ambiti pubblici il mio scetticismo rispetto alle manifestazioni di uomini sulla violenza maschile contro le donne. In qualche occasione le ho seguite, non mi hanno convinto e la ragione di fondo è che c’è nel gruppo solo maschile una contraddizione di fondo perché è proprio dalla dimensione del gruppo che gli uomini dovrebbero imparare a uscire per diventare individui autonomi fra l’altro, capaci di governare la propria vita e rifiutare le complicità maschili sottili che sfociano negli stereotipi sessisti più consolidati.
In questo blog ho pubblicato diversi interventi che affrontano il tema della violenza maschile contro le donne in due diverse rubriche, ma ho pensato in questi giorni che la tematica debba avere un contenitore autonomo che permetta di distinguerla da altri aspetti del pensiero unico dominante. Ne ho discusso con Paolo Rabissi e alla fine la scelta del titolo della nuova rubrica è Maschio guerriero, che riprende una parte del titolo di un intervento di Paolo, ma vuole stabilire anche un nesso con un’altra opera che ho spesse volte citato e cioè il romanzo di Edoardo Albinati La scuola cattolica. In quest’opera il nesso fra guerra, dominio e appropriazione del corpo femminile trova pagine di grande forza, tanto più perché pronunciate da un uomo. L’intento di questa nuova rubrica però è anche un altro. Ci sono stati nella mia vita alcuni passaggi generazionali che sul tema della violenza maschile hanno segnato dei passaggi molto importanti, ma che poi sono spariti o quasi dalla visibilità. Mi riferisco a programmi come Processo per stupro, al monologo teatrale di Franca Rame seguito alla violenza dai lei subita. Se nelle elaborazione recenti di gruppi femministi ritrovo molti contenuti degli anni ’70, mi sembra invece che essi siano scomparsi dalla riflessione di molti uomini.