IL CESELLO ARRUGGINITO. Seconda parte

Inflazione e panico di massa

Tutto quanto abbiamo visto finora ha a che fare con un rapporto individuale e personale col denaro. Le fiabe nascono dal profondo della storia; anzi, fioriscono su quella linea di demarcazione impalpabile che la separa dalla preistoria; a quel tempo  il segno grafico pittorico e la trasmissione orale erano i mezzi d’espressione e la scrittura non esisteva ancora. Le fiabe selezionano archetipi, sono il distillato scritto, cioè la traccia, d’esperienze millenarie di cui si è persa l’origine. La fiaba è il segno lasciato da un’arcaica esplorazione del sé, la quest che ciascun individuo dovrebbe intraprendere per divenire adulto. Rispetto al denaro, è il contesto a essere mutato: il rapporto fra l’individuo e l’economia non è più personale, ma mediato dalle leggi economiche, l’organizzazione della società ne dipende strettamente (oggi quanto mai!). L’individuo singolo non è libero rispetto alle leggi dell’economia, ma si trova invischiato in una serie di rapporti di cui non è responsabile in quanto li trova preesistenti a sé come dati di fatto che egli, in quanto individuo, non può arbitrariamente modificare. Nelle fiabe, d’altro canto, è raramente all’opera una psicologia di massa, il protagonista è quasi sempre un eroe solitario che può al massimo avvalersi di aiutanti che cooperano alla riuscita d’imprese memorabili. Questo, come abbiamo visto, non significa che esse non contengano un insegnamento prezioso anche per noi; anzi, ci aiutano a svelare il sostrato profondo delle nostre azioni, che si agita sotto la sovrastruttura di procedure razionali. Tuttavia i fenomeni di massa rimangono quasi sempre fuori dall’orizzonte della fiaba, seppure con alcune vistose eccezioni, che tuttavia sono storicamente più vicine a noi. È così per Il pifferaio magico e per Le avventure di Pinocchio, che sono una miniera ricchissima di riferimenti al sociale.

Nel capitolo intitolato Inflazione e massa, sempre in Massa e potere, alle pag. 218-224, Elias Canetti analizza puntualmente un fenomeno tipicamente moderno come l’inflazione catastrofica che colpì la Germania degli anni ‘30 e che fu una delle cause dell’ascesa del Partito Nazista. Scrive Canetti:

Un’inflazione è un avvenimento di massa nel più particolare e preciso significato della parola. L’influenza disorientante che essa esercita sulla popolazione di tutto il paese non è affatto limitata al momento stesso dell’inflazione… gli sconvolgimenti che essa produce sono di natura così profonda che si preferisce tacerli e dimenticarli. Forse si teme anche di attribuire al denaro, il cui valore viene artificiosamente   stabilito dagli uomini, le facoltà di dar vita a una massa, facoltà che vanno molto oltre la loro destinazione e hanno in sé qualcosa di assurdo e d’infinitamente umiliante.

È importante procedere oltre in questa direzione e dire qualcosa sulle qualità psicologiche del denaro stesso.”

I simboli sono, per lo scrittore viennese, mezzi di riconoscimento fondamentali che fanno della massa un’entità sociale dotata di comportamenti propri che vanno oltre la sommatoria delle personalità dei singoli componenti la massa stessa e superano il meccanismo di proiezione e delega a un capo, inteso come padre simbolico; si direbbe che, per Canetti, la massa incorpori un plusvalore di comportamenti che ne fa un’entità a se stante, autonoma. Con parole diverse e naturalmente con intenti diversi, anche le considerazioni di Marx e specialmente di Lenin sulle masse, hanno qualcosa di analogo, nel senso che, pur agendo sul piano politico e quindi sovrastrutturale, la mobilitazione di massa può diventare una forza materiale a tutti gli effetti.5

La particolarità del denaro, però, sta proprio nella sua irriducibile unitarietà, caratteristica quest’ultima, che sta agli antipodi rispetto alla massa: la singola banconota e la singola moneta sono individui atomizzati, la somma di denaro è una somma di entità individuali e ci sono molti proverbi a ricordarcelo. La fusione che si crea in una massa, rispetto al denaro, non può superare del tutto questa barriera. Canetti fa degli esempi molto concreti:

“… Ogni moneta è nettamente delimitata e ha un proprio peso… Si tende a considerare la moneta come una persona afferrabile. La mano che si chiude su di essa, la tocca tutta, in tutti i suoi spigoli e in tutte le superfici piane… In un punto la moneta è superiore alla creatura vivente: la sua consistenza metallica, la sua durezza, le assicurano una durata «eterna»; essa non è distruttibile – tranne che dal fuoco. La moneta non cresce secondo la propria grandezza; essa è in accordo con il proprio conio e dunque deve restare ciò che è; non può divenire diversa… Il  mucchio di monete è chiamato tesoro fin dai tempi più antichi e presso la maggior parte dei popoli… non c’è dubbio che per alcuni uomini, i quali vivono esclusivamente per il loro denaro, il tesoro prenda il posto della massa umana. Molte storie di avari solitari vengono qui a proposito; essi sono la sopravvivenza mitica del drago delle fiabe, il quale vive soltanto per custodire, controllare, curare un tesoro. Si potrebbe obiettare che queste considerazioni sulla moneta e sul tesoro, non sono più attuali per gli uomini moderni; che dappertutto si usa la carta moneta; che i ricchi conservano il loro tesoro nelle banche nella forma più invisibile e più astratta. Ma l’importanza della copertura aurea per una buona valuta,… dimostrano che il tesoro non ha affatto perduto la sua antica importanza.”

Si potrebbe ulteriormente obiettare, rispetto al tempo in cui il libro fu scritto, che con la fine degli accordi di Bretton Woods, anche la copertura aurea non esiste più. È vero, naturalmente, ma questo fatto non risolve il problema del perché il dollaro sostituì l’oro; anzi, tale scelta ha contribuito non poco a generare nuove e pericolose illusioni. Tale decisione, infatti, ricacciava nell’astratto il problema senza risolverlo, perché il valore non sta nel segno numerico stampato sulla banconota, ma nella relazione fra quel valore e la produzione di beni e servizi; rompere la parità con l’oro significava solo occultare l’ultimo anello che legava l’economia di carta e nominale a quella reale. L’illusione di un valore non ancorato ad alcunché di concreto è un sintomo di alienazione, simile a quello di cui fu vittima l’esercito di Pompeo; oppure riflette l’atteggiamento degli ingenui e illusi protagonisti delle fiabe, che peraltro vengono sempre puniti da una legge più grande di loro. Le uniche differenze, fra la nostra povera epoca e quella di Pompeo, stanno nel fatto che il comandante in capo si mostrò un bel gradino al di sopra dei suoi ufficiali e dei suoi soldati, mentre da noi oggi sono i responsabili dell’economia e della politica mondiale a comportarsi come loro!

La differenza fra le favole della tradizione e quelle moderne, in tema di denaro e ricchezza, sta nel fatto che le seconde si ammantano di un linguaggio ‘scientifico’.

Credo sia necessario allora, seppure nel contesto di un saggio che si occupa di letteratura, soffermarci ancora un momento sulla questione della parità aurea, perché nelle sue pieghe è facile rintracciare il sostrato favolistico.

Gli accordi di Bretton Woods, sanciti nel 1948 nella cittadina statunitense omonima, stabilivano che fra riserve monetarie e quantità d’oro posseduta dalle banche centrali degli stati dovesse esserci un rapporto stabilito, seppure variabile fra Stati Uniti e stati esteri: i secondi potevano convertire le loro riserve monetarie in oro al prezzo di 35 dollari l’oncia, gli Usa a un prezzo inferiore. A questo si aggiunga che le riserve monetarie potevano eccedere la copertura aurea per un massimo di un terzo del valore in oro posseduto. In sostanza tale meccanismo impediva agli stati di dichiarare riserve fasulle, cioè semplicemente nominali. L’economista statunitense Ron Paul, in un saggio facilmente reperibile nei siti che si occupano di economia, ricostruisce molto bene cosa sia avvenuto con la fine degli accordi:

Il sistema post-Bretton Woods è stato responsabile per la globalizzazione dell’inflazione e dei mercati, e per la nascita della gigantesca bolla del dollaro mondiale. Quella bolla sta per esplodere, e stiamo vedendo cosa significa pagare le conseguenze per troppi errori economici fatti in precedenza. Ironicamente, negli ultimi 35 anni noi abbiamo beneficiato di questo sistema profondamente distorto. Poiché il mondo accettava dollari come se fossero oro, dovevamo semplicemente falsificare altri dollari, spendere oltre oceano (incoraggiando in maniera indiretta anche il trasferimento del nostro lavoro all’estero) e goderci una prosperità immeritata. Coloro che prendevano i nostri dollari, e ci davano in cambio dei servizi, non vedevano l’ora di poter tornare a prestare quei dollari a noi. Questo ci ha permesso di esportare la nostra inflazione e ritardare le conseguenze che ora stiamo iniziando a vedere. Ma non era comunque destinato a durare, e ora ci tocca pagare il conto. Il nostro debito estero deve essere pagato o liquidato. Gli altri debiti sono maturati proprio ora che il mondo è diventato più riluttante ad accettare dollari. La conseguenza di quella decisione è un’inflazione dei prezzi nel nostro paese, questo è ciò a cui stiamo assistendo oggi. L’inflazione all’estero è addirittura più alta che da noi, come conseguenza della volontà delle banche centrali estere di monetizzare il nostro debito… Questa bolla è diversa e più grande delle altre per un altro motivo. Le banche centrali del mondo si accordano segretamente per centralizzare la pianificazione dell’economia mondiale. Io sono convinto che degli accordi fra le banche centrali, per monetizzare il debito americano negli ultimi 15 anni, siano esistiti, per quanto in forma segreta e fuori dalla portata delle orecchie di chiunque, specialmente del parlamento americano, che non se ne preoccupa o semplicemente non capisce. Ora che il nostro “regalo” si esaurisce, i nostri problemi peggiorano. Le banche centrali e i diversi governi sono molto potenti, ma prima o poi i mercati si saturano, e quando la gente si ritrova in mano il sacco di dollari senza valore comincia a spendere in un’economia di tipo emotivo, scatenando la febbre inflazionaria. Questa volta – poiché abbiamo a che fare con così tanti dollari e così tante nazioni – la Fed è riuscita a “cartolarizzare” ogni crisi in arrivo, negli ultimi 15 anni, specialmente sotto la presidenza di Alan Greenspan alla Federal Reserve, che ha permesso alla bolla di diventare la più grande di tutta la storia. Militarismo all’estero, elargizione di sussidi statali, e 83 biliardi [trillion] di impegni in titoli stanno tutti per venire a termine.

L’analisi di Ron, pur imprecisa in alcuni dettagli di non poco conto, ci ripropone uno schema che si era già rivelato rovinoso nella Germania di Weimar, quando lo stato tedesco, a fronte della mancanza di liquidità, pensò di risolvere il problema stampando nuovi marchi in continuazione. Così facendo non fece altro che alimentare una catastrofica inflazione perché la moneta in circolazione non può eccedere di troppo il volume degli scambi reali di cui il denaro funge da mediatore e la necessità di sostituire le banconote usurate e non più valide. Nel periodo successivo la rescissione degli accordi di Bretton Woods è accaduta la stessa cosa. La corsa ad accaparrarsi dollari come riserva (quello che Ron chiama, con una formula ambigua, falsificare i dollari), non significa altro che la banca centrale statunitense ne stampava in continuazione per alimentare il circuito delle riserve degli altri stati e del proprio debito pubblico. Servono dollari? Eccoli stampati! Non siamo lontani dalla favola dell’asino che cacava monete, se a farlo – invece che un animale magico – è la zecca di stato!

Torniamo all’inflazione e lasciamo di nuovo la parola a Canetti, domandandoci con lui: “Cosa accade in un’inflazione?” La risposta è la seguente:

Improvvisamene l’unità di denaro perde tutta la sua personalità, e si trasforma in una massa crescente di unità; queste ultime hanno sempre meno valore quanto più grande è la massa. Si hanno d’improvviso in mano i milioni che si sarebbero posseduti volentieri; ma essi non sono più tali, conservano semplicemente il nome… E come è possibile contare fino a qualsiasi cifra, così il denaro può svalutarsi fino al più infimo grado… L’identificazione fra il singolo individuo e il suo marco è così confermata. Il marco ha perduto la sua solidità e il suo limite… ha sempre meno valore. L’uomo che vi aveva riposto la sua fiducia non può fare a meno di sentire come proprio il suo svilimento.”

Il senso di vergogna e svilimento, però, non appartiene soltanto agli individui, presi uno per uno: è la massa stessa a perdere le sue caratteristiche peculiari.

Nell’inflazione sopravviene anche un fenomeno… estremamente pericoloso, dinanzi al quale deve indietreggiare chiunque possieda una qualche responsabilità pubblica e possa prevederlo: una duplice svalutazione che proviene da una duplice equiparazione. L’individuo si sente svalutato perché l’unità su cui contava e dalla quale era egualmente considerato perde valore. La massa si sente svalutata perché il milione è svalutato… Quando i milioni salgono al cielo, un intero popolo – che consiste di milioni – non vale più nulla. Tale fenomeno spinge insieme uomini i cui interessi materiali altrimenti divergerebbero largamente. Il salariato ne è colpito come chi vive di rendita. Dall’oggi al domani si può perdere moltissimo o tutto ciò che era al sicuro in banca.”

A questo si aggiunga un altro particolare, potente sul piano simbolico. Il denaro circola, la circolazione monetaria per assonanza anche linguistica rimanda alla circolazione sanguigna. L’analogia appare evidente anche in molte espressioni idiomatiche: di chi ha molto speso per qualcosa, specialmente quando è costretto a farlo per necessità, si dice che si è svenato. L’inflazione è un’emorragia di massa e perciò genera un panico di massa: su di esso fecero leva i nazisti per conquistare il potere nel 1933.

Usura e capitale

Le rappresentazioni moderne più potenti del denaro, della psicologia di chi lo maneggia, degli effetti che le leggi economiche hanno sulla società e sugli individui, le troviamo in alcuni grandi romanzi dell’’800 e del ‘900. L’argent di Emile Zola è una delle opere più efficaci della narrativa di quegli anni. La poetica dello scrittore francese implicava un atteggiamento di ricerca sociale da parte del romanziere, qualcosa di più della verosimiglianza manzoniana (anche se Manzoni stesso con la storia della Colonna infame non è lontano da Zola), ma una vera e propria immersione in altre forme di conoscenza, l’utilizzo dello strumento dell’inchiesta, la costruzione del personaggio e del suo habitat in modo oggettivo. Per Zola la narrativa non può essere pura fiction, oppure semplice svolgimento di una trama con i suoi intrecci, ma deve essere rappresentazione che si avvale di una vasta documentazione extra diegetica. Egli è uno degli inventori del romanzo-saggio, che costituisce un canone importante della tradizione europea e annovera fra gli altri anche il Flaubert di Bouvard e Pecuchete che avrà il suo massimo esponente in Musil, agli inizi del ‘900. Non è questa la sede per mettere in evidenza le grandi differenze fra loro, ma solo di registrare un atteggiamento e un modo di concepire il romanzo.

Il protagonista de L’argent (Il denaro) è un giocatore di borsa, ma si potrebbe anche dire che la vera protagonista è proprio la Borsa in sé, con i suoi riti, la genia del tutto particolare di coloro che le girano intorno, la sua capacità di attrarre le vite e di fagocitarle dentro un meccanismo che diventa totalizzante. Fin dalle prime pagine del romanzo ciò che colpisce è proprio tale aspetto. Tutte le vite dei personaggi e quasi tutta la loro vita personale gravita intorno al palazzo della Borsa, il brulichio della grande città tentacolare s’intensifica e s’addensa intorno al palazzo delle transazioni.

Pubblicato nel 1891, L’argent è  il diciottesimo e ultimo libro della serie Rougon-Macquart. Il motore narrativo che governa lo svolgimento della trama è quello della speculazione finanziaria e degli scandali che ne derivano. L’eroe negativo è Aristide Saccard  – lo stesso de La curée (La caccia) -, fratello del ministro Eugène Rougon, che aveva ammassato una fortuna colossale con affari poco leciti. Dopo una sequela di rovesci, deve ripartire da zero, ma la sua ambizione è rimasta intatta; cambia il proprio nome precedente per rifarsi una verginità anche personale e ricomincia daccapo. La nuova svolta, che prelude alla sua effimera rinascita, è annunciata da una lettera proveniente da Costantinopoli:

La lettera del banchiere russo di Costantinopoli, che Sigismonde aveva tradotto, era un’inattesa risposta favorevole; la grande impresa vagheggiata poteva iniziare da Parigi.” 6

La grande impresa si chiamerà Banca Universale e sarà destinata a finanziare progetti in Medio Oriente: siamo sempre lì, verrebbe da dire!

Saccard vende la sua proprietà lussuosa del parco Monceau allo scopo di regolare i suoi creditori, quindi affitta due piani di un palazzo dove insedia la sede della banca.

Aristide entra in contatto con vecchie conoscenze fra cui la principessa d’Orviedo,          che tuttavia rifiuta di partecipare ai disegni dello speculatore. Allora egli rivolge le sue attenzioni a Jacques Hamelin, giovane ingegnere e a Caroline, sua sorella. Dopo un accordo siglato tra Jacques ed Aristide, l’ingegnere raggiunge Costantinopoli per ottenere concessioni, mentre l’uomo d’affari cerca d’inserirsi nell’entourage di alcuni uomini molto ricchi del milieu finanziario parigino. Nel frattempo Saccard seduce e possiede bestialmente Caroline.

La truffa è architettata per attirare piccoli e medi risparmiatori, ai quali si promettono guadagni facili e rapidi. I comunicati stampa, gli articoli e le voci sapientemente calibrate fanno volare i titoli della società e Saccard si trova di nuovo al vertice della gloria. Tale potenza borsistica, tuttavia, è costruita sulla sabbia: a questo si aggiunga il fatto che Saccard si è attirato l’inimicizia del banchiere Gundermann. Un giorno del 1869, col concorso di amici speculatori, dopo avere verificato che le casse della banca Universale sono a secco, quest’ultimo decide di lanciare un ultimo attacco borsistico ribassista vendendo le azioni della Banca universale che possiede e quelle che non possiede (vendita allo scoperto).

Il titolo crolla e Saccard reagisce facendo quello che tutti gli speculatori fanno in tali circostanze, sebbene non serva a nulla: acquista lui stesso i propri titoli per farli risalire di prezzo, ma in questo modo dà fondo a tutte le sue risorse finanziarie e si ritrova sul lastrico. Trascina nella sua caduta tutti i risparmiatori che gli avevano dato fiducia. Denunciato per frode viene condannato a cinque anni di prigione, ma riesce a lasciare la Francia e fuggire nei Paesi Bassi.

Nello scrivere questo romanzo, Zola si è ispirato agli scandali finanziari che non mancavano alla sua epoca. Al momento in cui scrive Il denaro è in pieno sviluppo quello di Panama, ma lo scrittore s’ispirò anche all’affaire dell’Unione generale (1881-1882), il cui protagonista fu il banchiere cattolico e legittimista Eugène Bontoux, la cui società fu rovinata dalla speculazione di un Rothschild. Bontoux  fu condannato proprio a cinque anni di prigione nel 1883, come accade al protagonista del romanzo di Zola. Si pensa che il personaggio di Saccard gli sarebbe stato anche ispirato dallo speculatore e industriale Hector de Sastres, che fu amico e protetto del ministro Jacques Louis Randon.

Lasciamo per il momento Zola e rivolgiamoci a un testo a noi vicinissimo.

L’orologio americano di Arthur Miller, dramma in due atti, scritto nel 1982 e ispirato da Hard Times di Teckel, è una riflessione a distanza di pochi decenni sulla crisi del ’29, ma essendo così contemporaneo, sorprende appunto per il ripetersi di situazioni analoghe. Miller analizza il meccanismo economico legato al trust, ovvero alla fiducia, piede d’argilla su cui si poggia l’intera economia; curiosamente, fra l’altro, la parola inglese significa anche cartello industriale, monopolio! Il tema principale dell’opera è la fine del sogno americano; tema che si ripropone oggi, dopo il fallimento di Chrysler e General Motors e gli scandali che hanno coinvolto le banche. È una satira sull’immaterialità del denaro, sulla spietatezza delle regole dell’economia. Tuttavia, il dramma non si limita a questo, ma prende in considerazione i rapporti sociali, su cui impattano le tragedie dell’economia. Alla lucida analisi dei legami familiari che caratterizzano la civiltà, si contrappone quella sul materialismo sfrenato che porta alla barbarie. Le origini della crisi del ’29 sono per Miller da ricercare in primo luogo in una generalizzata crisi morale che si riflette successivamente sulla sfera politica e infine su quella economica. La Prima Guerra Mondiale  viene analizzata come uno strumento capitalistico di riequilibrio del mercato:

Il mercato non rappresenta altro che uno stato d’animo.

La sovrapproduzione accompagnata da una scarsità di moneta fa sì che i magazzini siano pieni di merci che la gente, non avendo soldi, non può comprare. Il crollo dei prezzi diventa il sintomo della frattura del ciclo produttivo causato principalmente dalla gestione irrazionale del sistema creditizio da parte delle banche. La fiducia cessa e il crollo del sistema del trust porta a una svalutazione dei titoli azionari, al fallimento delle aziende, alla disoccupazione; senza stipendi non circola moneta e il sistema è destinato alla paralisi. Gli interessi sul credito sono per Miller il grande nemico. I grandi capitali non investiti che creano interessi da capogiro sono di per sé un atto economicamente immorale e vengono utilizzati dalle banche per speculazioni selvagge su oro, petrolio, costruzioni edilizie. I profitti gonfiati della borsa poi sono il germe del crollo di Wall Street. La Prima Guerra Mondiale fu il tragico tentativo di azzerare i debiti e crediti per creare una tabula rasa su cui ricostruire l’economia. Miller contrappone l’etica del valore all’etica del denaro e vede nella folla dei disoccupati, nei negozi vuoti, nella gente buttata in strada con materassi pentole e tegami, la conseguenza ovvia di tutti gli errori economici commessi. Il boom degli anni ‘20 fu, nella sua visione, una gigantesca truffa organizzata dagli straricchi per moltiplicare i loro capitali rapinando la gente. Gli avidi affaristi senza scrupoli portarono al crollo dei mercati perché, secondo Miller, ne avevano utilizzato le leggi al di là dell’etica del progresso comune e perseguendo unicamente l’arricchimento personale. In Miller l’etica protestante della ricchezza, come segno della grazia divina e della predestinazione alla salvezza, si contrappone all’etica ebraica, che  egli vede come Quoelet, segnata da un pessimismo di fondo che conserva connotazioni negative nella ricchezza come frutto di ingiustizia e idolatria. Due forze antitetiche si contrappongono: il capitalismo e il socialismo, la destra e la sinistra. La prima è una corrente di pensiero di stampo protestante e la seconda di stampo ebraico. L’etica ebraica vede nel denaro un bene/male per la sopravvivenza della comunità, la quantificazione di un concetto astratto che incarna tutti gli idoli, che sono adorati pur non esistendo. In questo, Miller riecheggia anche il contenuto dei saggi economici scritti da Ezra Pound nel 1933. L’etica protestante, base del sistema democratico americano, esalta invece della comunità  l’individuo, la libertà; Dio, in tale contesto, è visto come grazia e non come giudice.

Se la libertà, tuttavia, non è bilanciata dalla giustizia sociale ben presto qualsiasi economia crolla.

Il titolo del dramma si riferisce al tempo e al grido silenzioso delle folle disperate,

fino a quando sopporteremo tutto questo?

La pièce si conclude con questa domanda, che rimane tuttavia senza risposta: è Robertson, il personaggio alter ego di Miller stesso a porla, ma il sipario si chiude, perché per Robertson/Miller la stupidità umana è senza limite; se gli chiedono se furono Roosevelt e il New Deal a salvare l’America, egli scuote il capo e ricorda che fu la fede degli Americani nel futuro a salvarli.

Il sostrato sociale e le problematiche del dramma di Miller sono simili a quelli di Zola e si ripropongono oggi negli stessi termini, solo con effetti ulteriormente ingigantiti. Anche l’analisi di Miller è in piena consonanza con quella di Zola, solo che l’uso di strumenti d’analisi che si possono definire marxiani è in lui molto più parziale e meno consapevole che non nel naturalista francese. Quest’ultimo, pur non sposando completamente il pensiero di Marx, ne era tuttavia un profondo conoscitore, tanto che nel romanzo L’argent, un altro protagonista – Sigismonde – rappresenta molto bene i valori e gli atteggiamenti di un marxista. Nell’opera egli è il contrappunto morale della torva figura di Saccard, anche se la sua stessa vita gravita intorno alla Borsa, seppure per ragioni opposte: il suo appartamento, infatti, non è lontano dall’edificio. Nei dialoghi con Saccard, Sigismonde presenta il punto di vista dell’economia collettivista e formula previsioni di crolli finanziari futuri che rivelano una grande perspicacia. Saccard e Sigismonde rappresentano ancora due mondi che, pur contrapponendosi, possono ancora capirsi perché in quel capitalismo, il rapporto fra finanza e produzione era ancora visibile rispetto a oggi. Del resto è proprio Sigismonde a tradurre la lettera del banchiere russo per Saccard e il loro dialogo testimonia questa vicinanza discorde fra loro:

Il collettivismo è la trasformazione dei capitali privati, che speculano sulle lotte della concorrenza, in un capitale sociale unitario, sfruttato dal lavoro di tutti…”

“Oh!”, lo interruppe Saccard, “Questo cambierebbe moltissimo le abitudini di un bel po’ di gente!…” Saccard i sentiva sempre più a disagio. Se quel ragazzo che sognava ad occhi aperti, avesse detto il vero? Se avesse presentito l’avvenire? Gli argomenti che portava a sostegno delle sue teorie sembravano molto chiari e sensati. “Bah!,” mormorò per tranquillizzarsi, “Non sono cose che accadranno l’anno prossimo.” 7

Lo sguardo del marxista Sigismonde è proiettato al futuro, Saccard vive alla giornata anche se è ancora in grado di leggere le ragioni dell’altro.

Il naturalismo di Zola, tuttavia, è ben più deterministico e diverso dal modo di procedere di Marx, anche da un punto di vista metodologico; per di più lo scrittore francese ignora la dialettica hegeliana. Tuttavia, nel rappresentare  le conseguenze sociali della deriva finanziaria e nella messa a fuoco dei personaggi, Zola dimostra di avere una conoscenza realistica delle leggi economiche capitalistiche.

Miller è lontano da tutto questo, anche se si può dire che entrambi (seppure per ragioni diverse), condividano una visione pessimistica del futuro. Zola è pessimista per definizione, in quanto iper determinista nello stabilire nessi fra storia individuale, soma (in questo senso è addirittura lombrosiano), e comportamento sociale. Ecco per esempio come descrive una protagonista del romanzo:

Fu interrotto dall’arrivo di una donna enorme, Madame Méchian , ben nota agli habitué della Borsa, una di quelle miserabili e frenetiche giocatrici, che cacciano le grasse mani in ogni sorta di losche attività. La sua faccia da luna piena, gonfia e rossa, con i piccoli occhi azzurri, il naso perduto  nel traboccare delle guance, la minuscola bocca da cui usciva un’infantile vocina flautata, sembrava straripare dal vecchio cappello viola, …. e il seno gigantesco e il ventre idropico, facevano tendere fino a scoppiare il vestito di popeline verde, sbiadito e macchiato di fango.8

La figura sordida di Madame Méchian non ammette sfumature: essa è senza scampo e redenzione possibile, quasi un automa che non può agire diversamente da come fa.

Miller è pessimista per una forma di scetticismo naturale, corretto talvolta da slanci profondamente naive. L’orologio americano si conclude con un completo disastro, il sipario cala su una totale mancanza di risposte. Miller fa dire a Robertson che fu la fede degli americani nel futuro a salvare gli Usa; ma è una fede posticcia che nel testo teatrale non esiste e compare soltanto nel finale come escamotage. Del resto, attribuire alla semplice fede nel futuro la fuoriuscita dalla crisi è quanto meno risibile e anche ingenuo. Furono la Seconda Guerra Mondiale e i successivi piani di ricostruzione come il Marshall a permettere la ripresa su larga scala dell’economia capitalistica e se è vero che a un’opera d’arte non si chiede normalmente la coerenza è pur vero che il dramma di Miller si pone come realistico, in presa diretta con la realtà e non come un testo visionario.

Da esso traspare tutta l’ingenuità e il limite del pragmatismo statunitense, incapace di comprendere le leggi dello sviluppo capitalistico e infatti non è un caso che l’attuale crisi mondiale giri intorno agli stessi problemi denunciati da Miller. È questo in definitiva, il pregio maggiore di quest’opera che, non bisogna dimenticarlo, fu scritta nel 1980 e non a ridosso della grande Depressione! Miller aveva coltivato di nuovo il sogno americano dopo il disastro del ‘29, aveva combattuto il maccartismo ed è stato un militante assiduo del Partito Democratico: ma con questo dramma sembra però chiudere definitivamente i conti con tale illusione. A pochi decenni di distanza accadono le stesse cose e per gli stessi motivi: la coazione a ripetere è la spia di tale incapacità a capire. Sono cambiati soltanto le dimensioni degli effetti che la crisi provoca su un piano planetario, per il resto si tratta di un film gia visto che si ripete stancamente dalla prima crisi ‘globale’ alla borsa di Amsterdam nel lontano 1672! Saprà la cultura statunitense reagire in modo diverso dal passato? Dall’attenzione che oggi le opere di Marx hanno negli Usa si direbbe che sta nascendo una generazione di studiosi e di movimenti che affrontano in modo diverso dal passato la crisi in corso; si tratta di lavori in corso ancora sotterranei ma importanti.


5 Sui simboli di massa anche Wilhelm Reich  ha scritto pagine importanti, proprio riferendosi al nazismo: in particolare, al significato simbolico della croce uncinata e a quello delle coreografie, elaborate dall’architetto Walter Speer, che accompagnavano le manifestazioni di massa del Partito Nazista. In W. Reich Psicologia di massa del fascismo, Feltrinelli, Milano.https://psicologiadimassadelfascismo.wordpress.com/2015/08/27/svastika/

6 Èmile Zola: L’argent, (il denaro), Newton Compton, traduzione di Luisa Collodi; introduzione di Attilio Lolini, p. 70.

7 Op. cit. p. 45.

8 Op. cit. p. 32.