IL GUARDIANO DELLA SOGLIA: ATTO PRIMO

Leone Trotzkj

Il vecchio cammina lentamente su una strada buia; tiene il cane al guinzaglio. La scena si schiarisce leggermente ma tutto il paesaggio è avvolto in una nebbiolina sottile. Lentamente appare l’immagine di un convoglio, potrebbe essere la carrozza di un treno di cui non si vede la fine, o della metropolitana. Accanto a loro vi sono altre figure che attendono e che appaiono come ombre. Le porte della carrozza si aprono e salgono tutti. Buio in sala e nuovo cambio di scena. Siamo sulla carrozza ora, piena di figure sedute o in piedi, sempre come se fossero ombre. Il vecchio le guarda finché non si arresta vicino a due di esse che improvvisamente diventano reali: una dalle sembianze maschili e con uno strano berretto a visiera, l’altra femminile, seduti l’una di fronte all’altra. In realtà, insieme, costituiscono un solo personaggio dall’identità cangiante. 

TROTZKJ: Perché continui a guardarmi?

MALINCHE: Ti dà così fastidio?

T: (si tocca il berretto): Non è facile sostenere uno sguardo come il tuo e poi non so chi sei.

M (ride): Temi qualche spia anche qui? Proprio non mi riconosci?

L’ombra maschile si porta la mano al cappello, come se stesse facendo un saluto militare.

T: No.

M: Non potresti peraltro, di me esistono pochi ritratti, tutti diversi e lontani dalla realtà e poi ho tanti nomi, tranne il mio.

T: Tanti nomi? Cosa vuoi dire.

M: Che ne ho uno per ogni vicissitudine, ogni terra che ho abitato mi ha dato il suo, appiccicandomelo addosso come un marchio. I vincitori mi diedero un nome di fantasia: donna Marina. Io non appartenevo a me stessa, per questo ho tanti nomi. 

L’uomo alza la testa di scatto la guarda socchiudendo gli occhi…affiora un ricordo…

T: Sì, certo, parlavano di te con vergogna a Città del Messico!

M: E tu naturalmente ci hai creduto!

T. annuisce con un cenno del capo.

M: Dovresti essere più cauto, con tutto quello che è successo a te!

T: Ma nel mio caso si trattava di menzogne, mentre nel tuo …

M: Con tutto quello che sai sulle infamie del potere hai ancora queste certezze?

T: Fu imponente la campagna di calunnie orchestrata contro di me da quel satrapo maledetto! E poi perché avrebbero dovuto mentire nel tuo caso! Nel mio si comprende bene, ma nel tuo?

M: Sei ingenuo e arrogante, ascoltarti però mi fa sorridere, parli in un modo così buffo. A cosa serve la tua sicurezza? Qui in mezzo a noi, dove neppure credevi di esserci, tu l’ateo che scherzava sulla propria data di nascita e prendeva in giro i pitagorici. Arrenditi all’idea che la verità è sempre altrove, non è mai nella lettera del mondo, nella sua cronaca, nel potere che l’avvolge nel suo abbraccio fino a soffocarla! 

T: Ti sbagli! Siamo stati travolti dalla cronaca, non dalla storia. Sì, dalla cronaca, anche questo si può dire, se ho ben capito il tuo pensiero confuso e oscuro. Noi cercavamo qualcosa di grande, d’immenso, qualcosa che non era mai apparso all’orizzonte della storia. (guarda verso l’alto, perdendosi nel suo pensiero, poi torna ad osservarla). Vedo che sai molte cose su di me e non solo.

M: Quanto basta per prenderti un po’ in giro.

T: C’era ben poco da ridere, sai, ai tempi in cui vissi!

M: E ai miei? Pensi che siano mai esistiti i tempi in cui si poteva ridere? Se avessimo dovuto aspettarli, il riso non sarebbe neppure nato sulle bocche degli umani. Il mondo è sempre uguale, identico a se stesso.

T: Hai una concezione della storia che non posso condividere, la definirei statica e reazionaria.
M: Smettila di fare comizi!

T: Cosa vuoi da me dopo tutto?

M: Parlare; ti propongo un gioco. Il mondo che è nato da quello che tu hai chiamato il mio tradimento, si sta disintegrando; quanto al tuo sogno, è anch’esso finito miseramente. Siamo entrambi esuli, ma abbiamo la parola che solo gli esuli hanno.

T: La mia parola sta scritta in libri che si possono trovare facilmente.
M: Ma li hai scritti quando ancora la tua utopia sembrava avere le ali, altri furono scritti dai tuoi adulatori, altri ancora da piccoli epigoni senza gloria, che sanno soltanto tesaurizzare le idee altrui, così come gli spagnoli tesaurizzavano l’oro, l’oro che per noi era solo luce, luz, Entiendes hombre?

T: Non capisco cosa sia quest’altra parola a cui alludi e quanto alle idee è bene che le nostre rimangano separate. Alle tue, non alle mie è toccata la fine!

Le voci si sovrappongono e si alzano

M: Ti sto esortando a cercare un’altra parola, quella non scritta, quella che si poteva leggere fra una riga e l’altra de tuoi proclami.

T: La storia è fatta di leggi esatte per chi le vuole interpretare e comprendere, leggi che riguardano prima di tutto l’economia …

D: Chi lo ha detto?

U. Lui, lui, chi vuoi che sia!

D: Ahh, il tedesco col barbone. Vi ha forse aiutato la sua previsione? A che cosa serve la verità se non può guarire l’imperfezione? Che senso ha una previsione che non ammette alternative? Tu sei ancora innamorato del calcolo esatto, ti piacevano le statistiche, gl’indici di produzione, ma non hai saputo decifrare il tradimento, quello ti è sfuggito. Usavi il compasso dell’intelligenza per squadrare il mondo e invece il mondo ha squadrato te!

U: Le mie idee non moriranno mai!

D: Sai quanti che sono qui hanno pronunciato questa frase? Almeno una decina. Anzi, scommetto che qualcuno di quelli che secondo te ti hanno tradito pronuncerà la stessa frase! Che vuole dire? E se l’altro che pronuncia la stessa frase ha idee opposte alle tue? Come faranno a vivere entrambe in eterno se cozzano non appena s’incontrano. (piega il capo e parla fra sé) …Ustedes non tenìan ideas, matàvan, matàvan y matàvan…

Le voci si placano e tornano più normali e assorte.

T: Va bene, accetto il tuo gioco, anche se non posso dire di avere capito bene in che cosa consista.

M: Un gioco non ha un vero scopo. Siamo esuli entrambi, tu dalla tua utopia io dalla mia; raccontiamo, senza più speranze d’inutili rivincite, la nostra verità.

T: Qual era la tua utopia?

M: Che nonostante tutto valesse la pena di accoglierle quelle bestie con la croce, pensare che fra noi e loro potesse nascere qualcosa …

T: oh. Oh figurati!

M: Almeno hai riso in un modo diverso dal solito, anche se non capisco cosa ci sia da ridere.

T: E tu la chiami utopia questa?

M: Sì. Che altro potevano fare del resto? Pensi che avrebbero potuto resistere? Tentarono di farlo se è per questo, ma la forza de los conquistadores era immensa, soverchiante.

T: Non la loro forza, non le loro armi! Quelle furono soltanto strumenti! Fu la loro concezione del mondo che li fece vincere! Rappresentavate una fase finita nella storia dell’umanità e come un limone spremuto siete stati messi da parte.

M: Era sangue quello che ci spremevano, sangue! Oppure il seme della vostra razza bastarda che finiva come una fucilata nel ventre di noi donne. Altro che limoni, che ne sapevamo noi dei limoni, da noi non ci sono limoni!

T: Ho usato una metafora.

M: Lasciale stare le metafore, ti metti a fare il poeta adesso, che ne sai tu delle metafore! Tu parli lo stesso loro linguaggio e volevi cambiare il mondo tu? Vergognati! Parli la loro stessa lingua, trasudi della stessa sicumera. Sei una canaglia come loro!   

T: Fermati tu adesso, donna! Non insultare noi! Parla così di quelli che hanno buttato le nostre idee ai porci, che hanno usato il potere per distruggere quanto di più bello il pensiero umano avesse mai concepito in tutta la sua storia: una società di eguali, in cui tutti hanno gli stessi diritti, uomini e donne e sanno governarsi da soli, senza che nessun potere esterno li sovrasti. In questo abbiamo creduto, in questo io ho creduto.

M: E in questo sei stato sconfitto.

Si guardano in silenzio.

T: Sì, è vero e ne porto il peso, così come lo porta l’umanità che volevo salvare e che senza di noi è precipitata più indietro da dove, nonostante tutto, l’avevamo portata; almeno con il sogno e in parte anche con la realtà. Sei ingiusta, ma siamo stati sconfitti, almeno nella contingenza storica; su questo non posso che darti ragione.

M: Anch’io sono stata sconfitta, volevo che lo dicessi anche tu, con l’umiltà che ti è mancata in vita.

T: Non puoi essere umile quando pensi di rivoltare il mondo, non te lo puoi permettere! E a te l’umiltà non è servita se dici tu stessa di trovarti nella mia stessa condizione. L’umiltà è il cibo dei perdenti, ma non tutti coloro che hanno perso erano dei perdenti. Va bene, te lo concedo, anche tu sei stata soverchiata dalla storia e forse è vero che non hai tradito. Su di te, in effetti se ne dicono tante, ma la verità? La tua almeno! Ecco, dimmi la tua!

M: Sono nata nella gloriosa terra degli Aztechi, esiliata, prigioniera dei miei nuovi custodi, fuggiasca, poi ingannata da quel prete maledetto, Aguilar. M’insegnò a parlare la lingua dei conquistatori e quando parli una lingua che non è la tua, anche le parole diventano estranee, mai amiche. Dicevano tutti che ero brava nel tradurre. Cosa capivano veramente gli altri? Cosa volevano capire di quello che io traducevo? Certe sequenze di parole che per me avevano un senso, una volta nelle loro mani producevano effetti strani, sempre più sinistri. Lo vedevo dagli sguardi cattivi e dalle azioni che subito dopo si manifestavano.

T: Nelle mani di chi? Degli spagnoli?

M: No, non solo delle loro; fosse stato così! Le parole, anche quelle che stavano nelle mani dei fratelli, si ritorcevano sempre contro di me e contro il mio popolo e quindi anche contro di loro. C’era una terza lingua fra la nostra e quella dei conquistatori, implacabile, che correva come un serpente e avvolgeva le nostre teste e oscurava i nostri cervelli e anche quelli degli spagnoli. Fu quella a vincere; a me e a coloro che hanno sopportato il peso maggiore di quella tragedia è rimasto un dialetto bastardo, un idioma storpio come era storpia quella bestia che m’imprigionò nel suo letto. Ancora oggi, quando arrivano qui io li riconosco subito: storpi e soltanto storpi. Oppure facce slavate che portano i nomi dei nostri guerrieri, donne nere dagli occhi profondi e persi nella loro tristezza senza fine; volti distorti come le cattedrali che tu hai visto nella mia città. Anche il loro dio ha dovuto contorcersi nell’orrore e infatti non ne vedi una sola diritta delle loro chiese. Sono tutte deformi, con quell’oro che deborda e le incrosta come una bava di merda. Quanto a me chi sono veramente si saprà soltanto quando le donne impareranno a parlare la loro lingua.

T: Ti capisco, ma è solo un giro della ruota, e la ruota non si ferma. Ciò che oggi si trova nel punto più basso e preme il selciato con tutto il suo carico di oppressione sarà di nuovo in alto, leggero, pronto per un nuovo assalto al cielo. Le grandi personalità nascono in ogni epoca ma solo in alcune la loro forza può mostrarsi in tutta la sua estensione perché necessita di un tempo in cui potersi dispiegare. Sarà la storia, dunque, a redimere entrambi, noi siamo stati un anello della catena; chi verrà dopo farà tesoro anche della nostra esperienza, anzi è già nel mondo, sento di nuovo risuonare lo strepito delle folle! Le nostre idee non moriranno mai!

Le due figure oscillano l’una nell’altra come due fiamme che si confondono, poi si alzano ed escono; salgono altre figure.

La Malinche

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