GRAND TOUR: LA LUNIGIANA

Sarzana: Piazza Matteotti

Premessa

La Lunigiana fa parte di quei luoghi che nel ricordo sembrano appartenermi da sempre; eppure durante l’ultimo viaggio mi sono reso conto di non conoscerla in buona parte ed è stata una scoperta molto felice, perché mi ha dischiuso un mondo. Se vado indietro alle origini del mio incontro con questo lembo d’Italia, ritrovo subito Luni, le sue rovine, il suo anfiteatro miracolosamente intatto, il mare dietro l’angolo. Questa pianura che si apriva di colpo allo sguardo di chi scende dalla Cisa è stata per lungo tempo la mia Lunigiana, ma anche quella di mia moglie e dei miei figli. Nel nostro trasferimento da Milano a Massa Marittima nel grossetano, dove trascorrevano l’estate, Luni era la tappa intermedia, con la mitica Baracchetta, il ristorante a ridosso dell’anfiteatro: con le sue rane fritte, i panigacci e le trofie al pesto. Alle spalle le Apuane con le loro rocce e quelle striature di bianco che ogni volta facevano sorgere il dubbio: neve o marmo? Era marmo naturalmente, marmo grezzo con i suoi scariolanti e Carrara nelle retrovie.

Un teatro naturale

Le diverse scenografie mutanti erano un vero teatro naturale: quello pianeggiante e marino da un lato, cui facevano da contrafforte protettivo le montagne, con la severità del paesaggio, con la severità del lavoro, dello sfruttamento, dei suoi morti, delle sue lotte e delle sue canzoni di lotta anarchiche. Una prima svolta nel mio rapporto con questa terra avvenne qualche anno dopo. I miei figli erano cresciuti, a Massa non si andava più insieme, Luni viveva già nel ricordo. La riscoperta avvenne un po’ di sguincio, quando venni invitato a leggere poesia nel Golfo dei poeti, a Tellaro, dove Angelo Tonelli organizzava ogni anno un piccolo e prezioso festival dal titolo Altramarea. Era un altro mondo rispetto alla Lunigiana, ma lì a due passi. A dire il vero, quel periodo della mia vita non cambiò affatto la mia percezione del luogo, che restava la conchiglia verde aperta fra i giganti e il mare, come recita un verso di una mia poesia: le Apuane continuavano a essere là, un po’ lontane. Luni invece la ritrovavo anche grazie alla conoscenza di Sara Montefiori. Ci eravamo incontrati a una delle letture a Tellaro, avevamo parlato anche di Luni e il giorno dopo mi venne voglia di tornare a guardarle quelle rovine. Mi recai al museo e Sara stava dietro la scrivania all’ingresso: si occupava di beni culturali e proprio di quelle rovine. La piacevole sorpresa mi permise di conoscere il sito archeologico in modo assai più profondo. Al tempo stesso quel soggiorno mi avvicinò ad altre realtà di quella strana pianura: Arcola, Amelia, Bocca di Magra e specialmente Sarzana, che mi affascinò subito, anche se non saprei dire esattamente perché, ma questa è la magia dei luoghi, inspiegabile; oppure che si manifesta nel tempo come una fotografia che s’impressiona poco per volta. Nei bar di Sarzana ho scritto alcune delle poesie cui sono più affezionato. Quello che colsi dopo esserci ritornato più volte era proprio la sua posizione particolare. Sarzana stava al centro di quel teatro naturale, era una specie di capitale senza pretese, ma da lì in mezzora si potevano raggiungere mondi diversi e tutti affascinanti: Monte Marcello, le Grazie di Portovenere e Portovenere, da cui traghettare a quell’isola ruvida e straordinaria che è la Palmaria. Poi le Cinque Terre; infine anche la Lunigiana profonda, che sta alle spalle del mare, ma questo lo avrei capito molti anni dopo, durante questo viaggio recente appena concluso. Ricordo che allora ci misi un po’ a ricordare se quel lembo di terra fosse Liguria o già Toscana e in fondo ogni tanto me lo chiedo anche adesso. Sara, risolse i miei dubbi usando un’espressione che allora mi parve quanto mai azzeccata:

Siamo liguri apuani.

A pensarci bene era una risposta assai elegante ma che in definitiva ribadiva il concetto di una terra che appartiene a mondi diversi; ma cominciava a farsi strada in me l’idea che la Lunigiana non era solo quella conchiglia verde ma che c’era dell’altro da scoprire.

Qualche decennio dopo

Sarzana è diventata nel tempo il centro di molte cose, con i suoi festival – non solo quello della Mente che rimane comunque prezioso e duraturo nel tempo – ma anche il suo teatro, le sue vie strette ed eleganti e tutto quello che le sta intorno, le sue feste e i suoi mercatini; nel tempo è diventata un centro anche per me, al quale ritornare periodicamente. L’ultima esplorazione, di nuovo con mia moglie e Ulisse figlio, mi ha portato molto lontano rispetto alla mia idea di Lunigiana di un tempo e a un nuovo cambio di scenografia. Le Apuane sono un teatro nel teatro. Viste dal mare la loro imponenza e la loro asprezza con le striature, ne fanno un paesaggio crudo, la forza che esse esprimono è quella della dura estrazione del materiale prezioso, del lavoro che si riflette anche nei monumenti imponenti che si trovano nella città di Carrara; emblemi del lavoro operaio con quel tanto di prometeico che trasmettono e che furono anche icone nei manifesti del movimento operaio fin dalle sue origini. Salendo però verso le Apuane e superati i primi paesi, il dorso delle montagne, visto dall’altra parte, cambia in modo imprevedibile: grotte, boschi affascinanti, il verde a tratti selvaggio a tratti più educato. Un mondo aspro ma di un’eleganza barbarica, primigenia. Località affascinanti come le terme di Equi, immerse nel verde intenso, fra vasche, e camminamenti nei boschi circostanti, si alternano ai castelli come quelli di Malgrate, Lusuolo o la Fortezza della Brunella.

Pontremoli

Infine questa città, che lascio per ultima e preziosa riscoperta. Come Luni, era già stata una meta durante i trasferimenti per Massa Marittima, ma allora alcune delle scoperte che oggi la rendono famosa e importante, erano solo agli albori; se ne sapeva poco, per cui dominava in fondo la natura arroccata e arcigna della città, anche un po’ scostante. Oggi, dopo la scoperta delle stele lunigianesi, che si cominciavano a riscoprire proprio negli anni ’60 e ’70 e che oggi si trovano esposte nel castello del Piagnaro nel museo intitolato a Stefano Ambrosi, Pontremoli è diventata davvero altro. Non ha perso la sua severità, ma le stele l’hanno resa preziosa. Fino ad oggi ne sono state rinvenute 85, in parti diverse del territorio e il loro mistero affascinante è oggetto ormai di studi molto importanti. Risalgono a un periodo molto lungo di preistoria che va dal quarto millennio al primo. Si tratta di sculture dai tratti maschili e femminili molto stilizzate. La loro funzione è avvolta nel mistero e in effetti anche osservandole attentamente ciò che colpisce è la loro enigmaticità, che le fanno assomigliare a delle piccole sfingi. Tale circostanza è del tutto plausibile se si pensa allo stile austero del luogo e delle sue popolazioni, che i Romani descrivevano come fiere e sfuggenti.

La storia successiva della Lunigiana è più nota e riflette quanto accaduto anche altrove. Dopo la conquista romana e la successiva decadenza alla fine dell’impero, è territorio di conquista fra diverse casate nobiliari e sede dei loro castelli. Dante citò più volte la Lunigiana nella Divina Commedia.   

Le stele lunigianesi a Pontremoli

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