Introduzione
Nel 1921, Walter Benjamin scrisse un frammento dal titolo Il capitalismo come religione. Lo riporto qui di seguito nella traduzione di Leonardo Maria Battisti, che è disponibile anche in rete. Il frammento, insieme al saggio sulla Violenza – sempre del 1921 – è il più importante dei suoi scritti giovanili, ma esso fu tenuto un po’ ai margini dalla critica, perché ritenuto oscuro. Lo ripropongo nel blog con un mio commento perché penso che siamo oggi in grado di comprendere la profondità di questo scritto, ma anche la sua lateralità rispetto ad analisi più correnti: è proprio quest’ultima caratteristica che lo rende a mio avviso particolarmente attuale.
Il frammento
PRIMO. Il capitalismo è una religione puramente cultuale, forse la più estrema mai esistita. In esso tutto ha significato solo in rapporto diretto col culto; senza alcuna specifica dogmatica, né teologia. L’utilitarismo ottiene, da questo punto di vista, la sua tonalità religiosa.
SECONDO. A tale concrezione del culto segue: la durata permanente del culto. Il capitalismo è la celebrazione di un culto sans rêve et sans merci [senza tregua e senza pietà]. Non esistono “giorni feriali”: ogni giorno è festivo nel terribile senso di: dispiegamento di tutta la pompa sacrale, dell’estremo sforzo del venerante.
TERZO. Tale culto “colpevolizza e indebita” [verschuldend]. Il capitalismo è forse il primo culto a non espiare, bensì creare “colpa & debito” [verschuldend]. Così tale sistema religioso è immesso in un movimento immane. Una piena coscienza della colpa [Schuldbewuβtsein], irredimibile, ricorre al culto non per espiare in esso questa colpa, bensì per renderla universale, per conficcarla nella coscienza e, infine e soprattutto, per includere Dio stesso in questa colpa, per render pur esso bisognoso di espiazione. Espiazione che non va attesa dal culto stesso, né da una riforma di tale religione (che dovrebbe reggersi su qualcosa di saldo in essa), né da una sua abiura. Essenza di questo movimento religioso (il capitalismo) è procedere fino alla totale e completa colpevolizzazione di Dio: sperare di raggiungere lo stato di disperazione cosmica. Novità storica del capitalismo: la religione non è più riforma dell’essere, bensì la sua tabe. Dilatare la disperazione a stato religioso cosmico; e da ciò aspettarsi la salvezza. La trascendenza di Dio è caduta. Ma non è morto; bensì subisce il destino umano. Tale transito del pianeta Uomo per la casa della disperazione, nell’assoluta solitudine della sua orbita, è l’ethos trovato da Nietzsche. L’oltreuomo è chi per primo inizi di proposito a compiere la religione capitalistica.
Ecco un QUARTO tratto di questa religione: il suo Dio va occultato finché non sarà permesso invocarlo solo allo zenit della sua “colpevolizzazione & indebitamento”. Il culto è celebrato ante una divinità immatura: farsene un’immagine o un’idea lede il segreto della sua maturità.
Pure la psicanalisi costituisce la ierocrazia di questo culto. Freud pensa in guisa affatto capitalistica. Il rimosso, la rappresentazione peccaminosa, è analogo (come non è stato ancora studiato) al capitale, su cui l’inferno dell’inconscio paga un interesse. Il tipo di pensiero religioso capitalistico trova espressione grandiosa nella filosofia di Nietzsche. L’idea dell’oltreuomo pone il “salto” apocalittico (anziché nel trasmutarsi [Umkehr], nell’espiazione, nella purificazione, nella penitenza) in una crescita del quarto tratto apparentemente continua, ma in realtà esplosiva e discontinua. Crescita ed evoluzione sono incompatibili nel senso del “non facit saltum”. L’oltreuomo è l’uomo storico cresciuto fino ad attraversare il cielo senza trasmutarsi. Nietzsche ha pronosticato questo sfondamento del cielo da parte di un elemento umano cresciuto, che (pure per Nietzsche) è e resta sul piano religioso colpevolizzazione. Lo stesso vale per Marx: il capitalismo che non si trasmuta diviene socialismo grazie gli interessi semplici e composti che sono funzioni della colpa-debito (tale è l’ambiguità demoniaca del termine Schuld).
Il capitalismo è una religione di puro culto, senza dogma.
Il capitalismo occidentale (come provato per il calvinismo; ma provabile per le altre correnti cristiane) si è sviluppato come parassita del cristianesimo, tant’è che la storia del cristianesimo è in sostanza la storia del suo parassita: il capitalismo.
(Da paragonare: le immagini sacre delle diverse religioni da un lato e dall’altro le banconote dei vari Stati. Lo spirito che parla dall’ornamento delle banconote). Capitalismo e diritto. Carattere pagano del diritto: Sorel, Réflexions sur la violence, p. 262. Superamento del capitalismo mediante la migrazione: Unger, Politik und Metaphysik, p. 44.
Fuchs: Struktur der kapitalistischen Gesellschaft (o qualcosa di simile).
Max Weber: Ges. Aufsätze zur Religionssoziologie, 2 voll., 1919-1920.
Ernst Troeltsch: Die Soziallehren der chr. Kirchen und Gruppen (Ges. W. I, 1912).
Si vedano le indicazioni bibliografiche di Schönberg, II.
Landauer, Aufruf zum Sozialismus, p. 144. Inquietudini: una malattia dello spirito propria dell’epoca capitalistica. Spirituale (non materiale) assenza di scampo: monachesimo errante e mendicante. Una situazione così senza scampo è colpevolizzante-indebitante. Le “inquietudini” sono l’indice di tale coscienza della colpa-di-non-aver-scampo. Le “inquietudini” sorgono dall’angoscia che non c’è scampo a livello comunitario (non individuale-materiale).
Il cristianesimo nell’epoca della Riforma si è fatto capitalismo (anziché favorir il sorger del capitalismo). Sul piano metodologico andrebbero anzitutto indagati quali legami col mito il denaro abbia stretto lungo la storia, finché ha poi tratto dal cristianesimo così tanti elementi mitici da costruirsi un proprio mito.
Guidrigildo / thesaurus delle buone opere / compenso dovuto al prete. Pluto come dio della ricchezza.
Adam Müller: Reden über die Beredsamkeit, 1816, p. 56 sgg.
Nesso fra capitalismo & dogma della natura dissolutrice del sapere (la quale è in grado di redimerci e insieme di ucciderci): il bilancio quale sapere che redime e che liquida.
Per capire che il capitalismo è una religione, giova rammentare che il paganesimo originario concepisse la religione non come un interesse “superiore” e “morale”, bensì come il più immediato interesse pratico. Cioè, come il capitalismo odierno, esso non aveva chiara la sua natura “ideale” o “trascendente”, bensì stimava l’individuo irreligioso o eterodosso della sua comunità un membro indubitabile della comunità, proprio nel senso in cui la borghesia di oggi considera i suoi membri senza reddito.
Il totalitarismo capitalista
L’idea di una totalità che assume le vesti di una vera e propria religione (non alla Weber ci tiene a precisare Benjamin quando afferma che Il cristianesimo nell’epoca della Riforma si è fatto capitalismo (anziché favorire il sorgere del capitalismo), potrebbe bastare per dire, fra l’altro, ciò che il capitalismo non è: un semplice, troppo semplice, modo di produzione. Molta della cosiddetta oscurità che solitamente viene attribuita al testo è dovuta anche a una tipologia di sguardo troppo ristretta all’economia in senso proprio. Rifacendomi a questo frammento e a due libri decisivi come L’alba di tutto e Il debito i primi 5000 anni[1], una prima risposta possibile su cosa sia il capitalismo potrebbe essere questa: un sistema sociale complesso e totalitario il cui telos – consapevole o meno poco importa – è di espellere dalla storia l’umano come ente generico – Gattungswesen – e trasformarlo in una macchina iper specializzata – magari con l’ausilio dell’intelligenza artificiale -. Il culto del consumo senza giorni feriali come precisa Benjamin è proprio fra l’altro, la negazione dell’umano come ente generico, cioè aperto alla molteplicità e alla progettazione consapevole della propria vita. Benjamin sottolinea un altro aspetto e cioè la doppia dipendenza del capitalismo da un cristianesimo che si è fatto capitalismo da un lato e dall’empirismo e utilitarismo – che si è dato una tonalità religiosa afferma Benjamin – dall’altro. Tali dipendenze vanno considerate anche nella loro specificità. La filosofia empirista e il suo necessario approdo all’utilitarismo è certamente l’aspetto più importante, ma la tonalità religiosa dell’uomo calvinista, per esempio, con la sua ieratica enfatizzazione della grazia che si manifesterebbe proprio nel successo economico, sono forme che Benjamin giustamente definisce religiose, di una religione laica senza dio, né dogmi, ma solo culto che è in definitiva culto del denaro. Per l’utilitarismo e l’empirismo britannici l’essere umano è una cosa, un oggetto come qualsiasi altro della res extensa di Cartesio, un concetto come ente generico è una sorta di bestemmia per l’utilitarismo. Gli umani dell’utilitarismo sono atomi senza relazione – la società non esiste, ripete in termini moderni Margareth Thatcher – esistono solo gli individui, cioè gli atomi e al massimo la famiglia. L’iper specializzazione delle formiche e delle termiti sono la distopia del capitale nella sua espressione più potente che oggi possiamo guardare molto più da vicino e del resto già Gramsci aveva definito la distopia capitalista come il sogno di avere a che fare con scimmie ammaestrate e non con esseri umani. Nel capitalismo fordista fu Chaplin a rappresentare in forma pressoché perfetta l’essenza del modello di allora: mi riferisco al film Tempi moderni. Il frammento di Benjamin può aiutarci meglio a capire cosa sia il capitalismo oggi, quando il meccanismo ha monopolizzato l’intera vita sociale e persino colonizzato l’immaginario. Faccio allora alcuni esempi. I saldi sono costanti in ogni momento dell’anno, il ritmo vertiginoso degli acquisti non ha più alcun limite, non è governato dalla necessità che ciascuno di noi ha di comperare quello che ci serve ma diviene un culto che deve essere ripetuto e se occorre indebitarsi per reggere il ritmo sono in molti a farlo. Se poi a questo si aggiunge l’istituzione del Black Friday, un vero e proprio rito, il culto del consumo assume aspetti parossistici. Le file di persone davanti alle vetrine in occasione di questi venerdì sono l’immagine di una umanità nella quale si rispecchiano gli ignavi danteschi che corrono dietro alle insegne. Vale la pena di ricordare anche, che casuale o meno, la scelta del venerdì appare quanto mai singolare, essendo il giorno storicamente dedicato al sacrifico alimentare e all’astinenza. Lo scorso anno un teologo cattolico pubblicò sul giornale dei vescovi Avvenire un editoriale interessante.2 Il culto del consumo e del denaro fino ad accettare l’indebitamento, – qualunque cosa si decida di fare se l’età è quella giusta la banca propone sempre di fare un mutuo anche per acquistare la bicicletta – sono proprio l’immagine plastica di una pratica che tende verso una forma estrema di religione, senza riscatto ma solo segnata dal debito e dalla colpa, come osserva Benjamin e come Graeber documenta nei suoi libri.
Apro qui una parentesi per non suggerire che nelle parole da me usate si nasconda un intento moralista o a mia volta colpevolizzante, oppure volto a credere in facili vie d’uscita. La parentesi riguarda la storia recente, ma di cui ci siamo forse dimenticati. Come lavoro ho fatto l’insegnante e mi ricordo ancora molto bene cosa succedeva il fatidico 27 di ogni mese. In fila davanti alla banca dove la scuola versava il mio stipendio e quello dei miei colleghi, andavamo a ritirare il tutto. Certo, si perdeva un po’ di tempo e anche allora la banca lucrava sui nostri soldi perché essi arrivavano il giorno prima e quindi una piccola cresta di interessi rimaneva lì, ma il giorno dopo tutto veniva ritirato e il contante era a disposizione di ciascuno di noi. Si viveva così e fino a quel momento io non avevo affatto un conto corrente in banca o altro, avevo avuto da ragazzo i libretti di risparmio che mia madre aveva aperti e con un certo orgoglio mia moglie ed io ne aprimmo uno nella banca vicino a casa a nome dei nostri due figli. L’esperienza durò un paio d’anni e finì perché fu la banca a rifiutarsi di continuare ad avere quella scocciatura dei libretti di risparmio, c’erano altri strumenti ci dissero con una certa acredine allo sportello! Non ne facemmo nulla ma quando mi trovai alle prese con la mia liquidazione non ci fu nulla da fare. Resistetti per un mese ad andare avanti e indietro alla banca cercando di gestire le cose in proprio, ma poi mi arresi anche se quel mese non fu tempo perso perché alcuni meccanismi del mondo verso cui andavano in incontro a vele spiegate mi si palesò. Dal conto corrente, a valanga sono seguite altre cose e si arrivò, non ricordo l’anno esatto ma doveva essere vicini al cambio di secolo, in cui anche un pensionato con pensione minima era obbligato ad aprire un conto magari con poste italiane, ma tant’è. Tutto questo per dire che non esistono scappatoie individuali rispetto alla totalità sociale in cui siamo immersi. Tuttavia, le vie d’uscita collettive bisognerà pure tornare a cercarle e forse il momento, con il suono della campana di Trump che incombe sulle nostre teste e su quelle dell’Europa intera, ci costringerà a farlo, volenti o nolenti.

[1] Il primo libro è stato scritto da David Graeber e David Wengrow, il secondo dal solo Graeber, entrambi tradotti in italiano. In questo stesso blog trovate una breve recensione nella rubrica Critica del pensiero unico
2 Luigino Bruni, in un articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire il 24 dicembre del 2023, notava come la successione di Black Friday in tempo natalizio era corrispondente ai giorni dell’avvento e ne ricavava la convinzione che ormai viviamo in un’epoca post cristiana, dominata da riti che si rifanno piuttosto al sol invictus e ai riti del solstizio d’inverno. Facciamo finta di non ricordare che questa battaglia il Cristianesimo l’aveva già persa nel 1200, ma il ragionamento un po’ sgomento del teologo era comunque significativo e quanto mai attuale rispetto al frammento di Benjamin, che anch’egli citava.