I fuochi propulsori da cui prende vita e corpo il romanzo Il Dono, pubblicato per le edizioni Croce, sono un evento planetario – la pandemia di Covid – e un protagonista maschile – Renato – che si trova a vivere una condizione rovesciata rispetto a quella che è capitata a tutti noi durante il confinamento e il coprifuoco. Egli non può aderire a quel motto un po’ sinistro, che – specialmente nel web – era scritto tutto di seguito come se fosse una sola parola, iorestoacasa. Renato, infatti, è un senza tetto che vive in strada da vent’anni con uno zainetto nel quale, fra le altre cose, tiene un libro con le vite dei santi.
Il terzo elemento costitutivo della tessitura narrativa è la presenza di una narratrice onnisciente che non teme di esserlo. La combinazione di questi tre elementi si snoda per queste intense e ricche 281 pagine, in cui ogni capitolo è contrassegnato dalla data del giorno e da altri particolari che vedremo meglio successivamente. Il tutto è corredato da fotografie in bianco e nero, suggestive ed essenziali al tempo stesso. Più leggevo, tuttavia, più una domanda continuava a tornare: cosa viene davvero narrato in questo romanzo? Da un lato, la storia di Renato è quella di tanti che si sono persi nella grande città, la vita di strada è ormai un modo di condurre la propria esistenza in tutte le metropoli a ogni latitudine. Chi fa volontariato lo sa e proprio i componenti della comunità di sant’Egidio faranno presto la loro comparsa in questa narrazione, come comprimari e in qualche caso protagonisti essi stessi: la volontaria Teresa in particolare. Saranno loro a rendere meno sinistro il motto iorestoacasa, grazie alla presenza costante sul territorio.
Per un altro aspetto, la vicenda umana di Renato sta dentro una storia più grande: quella dei decenni trascorsi, quanto mai tumultuosi, sia dal punto di vista politico e sociale, sia personale: fra matrimoni falliti e divorzi, la ribellione di una generazione intera alle convenzioni sociali in una società in rapida trasformazione. Infine il quartiere. Chi vive in strada in teoria può andare ovunque ma è sempre nelle nicchie del proprio luogo di nascita o della porzione di città che meglio conosce dove trova il proprio rifugio naturale e trascorre gran parte del suo tempo; tanto più se si tratta di un quartiere che ha una lunga storia: il Tor Marancio, un tempo Shangai, immortalato anche in un passaggio di Ragazzi di vita di Pasolini e dal cinema.
Allo snodarsi di questi intrecci fra presente e memoria, fanno da contrappunto i dialoghi, fitti e densi a loro volta. Per non togliere a chi legge il gusto di assaporare il testo, ho scelto alcuni prelievi emblematici per questa riflessione critica, avvertendo però che questo romanzo può essere percorso in vari modi e lo si potrebbe leggere persino come un omaggio proprio al quartiere in cui è ambientato – dove pure la narratrice vive prevalentemente – nonché alla ricchezza della sua storia e dei suoi tanti luoghi e anfratti.
Il primo prelievo è dal capitolo 25/3/2020 Pasta e fagioli. I titoli, tranne il primo, sono scanditi da tre elementi portanti: la data, il menu che la comunità di sant’Egidio prepara quotidianamente e il santo del giorno. Quanto a Renato, che all’inizio stentava a rendersi conto di che cosa stesse davvero succedendo nella città improvvisamente vuota, ha ormai imparato a giostrarsi nel tempo della pandemia: è passato quasi un mese dall’inizio del confinamento e molte cose sono già successe. Però questo giorno è particolare perché gli manca il supporto del santo:
… Ma oggi, mercoledì 25, nessuno è scritto nel neretto che promette una storia edificante da scoprire, nessun palpito che impregni la giornata di virtù illuminanti. Bisogna aspettare il 30 marzo per incontrare san Zosimo, il guardiano delle tombe. …
Per di più si sta avvicinando un’altra data importante, il 2 aprile quando Renato compirà sessant’anni. Il ricordo di quel passaggio della sua vita e la mancanza delle parole di un santo come si deve, genera in lui riflessioni sempre più sgomente, il peso del passato lo spinge a tentare di liberarsene definitivamente, ma pensare al futuro in un momento come quello che la città e il mondo intero stanno vivendo è un’impresa che mette paura. Inizia allora una passeggiata lungo la Cristoforo Colombo, quell’arteria interminabile che chilometro dopo chilometro porta finalmente al mare: nel mezzo ci sta l’Eur con i suoi palazzi simbolo della modernità architettonica romana, l’obelisco e altro. La passeggiata solitaria e nel silenzio della città innesca un viaggio immaginario della mente, nel quale si mescolano allucinazioni e progetti:
… Il futuro è dietro l’angolo. Forse dopo l’incrocio con via Laurentina o con viale Marconi … o piazza delle Nazioni Unite.. Certo, la piazza con l’Obelisco di Marconi potrebbe essere quella giusta per l’atterraggio di un corpo estraneo alle logiche comuni: un’astronave … Un’astronave a Roma caput mundi, cuore del pianeta e della pandemia. E lui il cieco dalla nascita cui è concessa la vista. Potrebbe essere una svolta per tutti.
La passeggiata continua e proprio all’Obelisco vuole arrivare Renato, che gli ricorda le Olimpiadi di Roma nell’anno in cui anche lui è nato. Il tempo attuale si sovrappone a quello passato, generando un vortice. Il ricordo della prima nascita porterà a una seconda? Renato lo pensa:
… Tutto coincide. Certamente è questo il luogo dove l’astronave prenderà terra.
Alla fine, stanco, si addormenta sull’erba con le sue visioni, ma quando si risveglia ritrova la quotidianità prosaica di sempre.
La notte magica, però, ha lasciato segni: Renato ritorna dai volontari e da Teresa con un piglio diverso. Per la prima volta dopo tanto tempo non pensa più solo al passato, il tempo corre più velocemente e arriva finalmente anche il 30 marzo e con esso l’ultimo santo censito dal libro che porta nello zaino. Zosimo piace molto a Renato, perché s’identifica con lui. Uomo semplice, apparentemente senza qualità, messo alla prova rivela doti e saggezza da vendere. Renato, sulla scia della notte magica, pensa che sia arrivato anche il suo momento.
I dialoghi
Ci sono due diverse tipologie di dialogo nel romanzo, improntate a stili e registri linguistici differenti di cui dirò meglio nelle conclusioni. La prima tipologia è costituita da flash di conversazioni che rimandano al passato del protagonista. Emergono improvvisi alla sua memoria: sono dialoghi con il padre, o la moglie Ada, la sorella Adele o la madre. Spesso questi frammenti diventano il tramite per ricostruire pezzi della propria vita, la storia del quartiere, oppure il difficile rapporto della sorella con la scuola
La seconda tipologia di dialoghi è invece in presa diretta con il presente e la pandemia. Avvengono nei luoghi canonici che un senza tetto frequenta: i bar anche se sono chiusi spesso, i cortili di un condominio dove c’è sempre qualcuno che gli allunga una sigaretta o altro, la comunità di sant’Egidio.
È la mattina del 26 marzo quando Renato, risvegliatosi dopo la notte magica si reca dai volontari e trova Teresa:
Teresa, ho bisogno di vestiti puliti
Io ti ho portato gli occhiali.
Sono contento, ma intanto … oggi mi faccio la doccia
Incredibile! Forse è la festa del santo della pulizia. Sotto il capannone trovi un bell’assortimento. E poi oggi alla distribuzione ci sono nuove volontarie che non vedono l’ora di compiere una buona azione.
Non potresti scegliere tu? Dai mi fido. Chi distribuisce cibo conosce i bisogni del corpo … un po’ di biancheria, un paio di pantaloni servono urgenti, possibilmente con tante tasche.
E va bene, intanto vai ai bagni. Ci dovessi ripensare. Ti lascio qualcosa sullo sgabello dell’ultima doccia.
La cura di sé è un’arte difficile per un senza tetto, ma la notte magica ha davvero lasciato segni importanti. Renato si riconcilia con l’acqua, sente il suo corpo come non avveniva da tempo. Alla fine, rimesso a nuovo, torna da Teresa ed è persino tempo di qualche confidenza:
Hai scelto proprio bene Teresa. Con questa camicia a righe mi sento un ragazzo in vacanza … Il miracolo oggi lo hai fatto tu. Profumo come un diciottenne alla festa delle debuttanti.
Ti vedo esperto in fatto di feste.
Figurati … mi ricordo solo qualche pagina di Harmony. Roba di mia sorella Adele.
La svolta di Renato però non si ferma qui perché l’uscita da uno stato d’immobilità apre a scenari nuovi e nuovi incontri: la Donna con il Fazzoletto per esempio, una figura misteriosa e inquietante. Poi è tempo di una nuova escursione serale fuori dal perimetro stretto di Tor Marancia. Renato s’incammina per via Ostiense e la vista del gasometro innesca una nuova ondata di memoria: ci lavorava suo nonno in quel luogo e, a cascata, quel ricordo ne innesca altri, mentre le sue gambe lo portano sempre più lontano, verso una casa occupata ed è lì che Renato entra in contatto con una Roma che non conosce, fatta di immigrati dalle lingue diverse che lo guardano con sospetto perché il nuovo arrivato può turbare il loro difficile equilibrio. Tutto finisce bene, anche se:
..Renato è ancora troppo fragile per diventare cittadino del mondo. Non è questa la sua Nuova Casa.
Il ritorno a Tor Marancio però non è una sconfitta; anzi. Una seconda metamorfosi è alle porte: Renato comincia a vedere il quartiere come mai lo aveva visto da tempo. Luoghi che attraversava ogni giorno senza farci caso, ora gli appaiono nitidi per quello che sono, fra cui la vecchia scuola media Locatelli, frequentata da lui e anche dalla sorella. Ridotta a un rudere gli sembra però un luogo dove rifugiarsi sempre, una vera Nuova Casa. La vista di questa scuola e dei ricordi che suscita è l’ultima delle sue metamorfosi: Renato decide che quello sarà il luogo dove vivere d’ora in poi.
Sul linguaggio e la strategia narrativa
All’inizio di questa riflessione affermavo che Teresa Ciammaruconi è una narratrice onnisciente che non teme di esserlo. L’intreccio e la trama narrativa sono vistosamente presenti in questo romanzo e per quanto mi riguarda è una buona notizia. Nel caso specifico, proprio la necessità di coniugare storia e memoria, rende inevitabile l’intreccio, che l’autrice governa molto bene perché esso è in realtà stratificato su tre diversi livelli, anche dal punto di vista del tempo e del linguaggio. Lo scorrere dei giorni e dei santi segna il perimetro della contemporaneità e del Grande Male che la pandemia è stata: è il tempo di una quotidianità precaria, governata dall’abitudine che è il solo modo per sopravvivere nei tempi difficili. Il risveglio al mattino, procurasi il cibo, far passare il tempo che è lineare e segregato al tempo stesso: le ritualità permettono di non naufragare del tutto. Renato lo vive in termini rovesciati, ma le abitudini sono comuni a quelle di tutti gli altri: i soli che possono introdurre una paradossale varietà nelle loro esistenze sono i volontari della comunità di sant’Egidio, che per via della funzione che svolgono godono pure di un pizzico di libertà in più. I dialoghi in presa diretta sul presente semplici e lineari come si è già visto, vertono per forza di cose intorno al tema della sopravvivenza, sono governati dalla gentilezza di Teresa che cerca di vincere la diffidenza che un senza tetto si porta addosso per forza, ma anche di vincere la propria paura di fronte a un uomo di cui non sa nulla: è un registro linguistico semplice e diretto, ma che – specialmente per la sagacia di Teresa – sa trovare anche i guizzi che pure nella quotidianità più prosaica esistono:
La seconda tipologia è assai più complessa. I ricordi, le reminiscenze dei dialoghi fra Renato e i suoi famigliari irrompono improvvisi ed è spesso un’immagine a innescarli: presente e passato allora si fondono e creano una sovrapposizione di tempi che offrono una ricostruzione della storia del protagonista di cui però, anche alla fine, avremo solo frammenti: è un flusso stratificato e dai registri linguistici diversi. La relazione intensa fra immagine e memoria ha effetti che passano attraverso il linguaggio del cinema e la sua metabolizzazione nella narrazione. Un capitolo è assai esemplificativo di questa commistione fra parola e immagine, 20/3/2020, Caffè e ciambellone:
… I giorni scorrevano a strattoni, schiacciati sotto il peso crescente dell’inadeguatezza.
Intanto le donne della sua vita si allontanavano per strade diverse: la madre Assunta, accucciata nella sua vecchiaia,la sorella Adele, risucchiata nel vortice di emozioni incontrollabili, sua moglie Ada ripiegata nella banalità delle piccole garanzie.
E lui nel mezzo, incapace di atterrare e di volare,
Da solo a vagare per via Cristoforo Colombo.
La Grande Storia
Lascio per ultimo questo tema perché se da un lato la storia del quartiere e il contrasto con l’attualità – Tor Marancia non è più da tempo la Shangai immortalata anche da Pasolini – emergono fra le righe della narrazione lineare, lo sfondo e lo spessore storico sono affidati a ricordi frammentari. Renato è un uomo semplice, dalla consapevolezza altalenante anche quando tenta di ricostruire il proprio passato personale. La storia più grande lui non la padroneggia, fuoriesce da qualche rapida notazione. Colpisce per esempio il ricordo della ribellione della sorella e dei suoi amori che la porteranno a una fine tragica e questo non è un caso perché il protagonismo femminile è stato un segno distintivo del cambiamento dagli anni ‘70 e forse nel caso di Renato non è estraneo al fallimento del suo matrimonio.
Tale frammentarietà, che è un tratto ineludibile della personalità di Renato, permette però alla narratrice di essere sì onnisciente ma di conservare una nube d’indeterminatezza che le consente di tenersi a distanza dalla trappola delle sintesi onnicomprensive.
La riflessione più ampia e profonda sulla Storia, tuttavia, c’è in questo romanzo, ma è affidata ai soli momenti in cui la narratrice dismette il suo ruolo onnisciente ed entra a sua volta in scena. Lo fa però con incursioni rapide, talvolta aforistiche, che iniziano dal dopoguerra e arrivano fino a noi. Ne indico alcune, contrassegnate in qualche caso da un’amara ironia, che diviene tagliente. Questi assaggi sono distribuiti sull’intero libro e segnano dei passaggi decisivi nel processo di trasformazione sociale dell’Italia, a cominciare dall’immediato dopoguerra:
… A raccontare tutto ‘sto circo ci pensavano i nuovi cantori con la cinematografia. Sfruttando le astuzie della macchina da presa hanno piantato un’aureola sulla testa della miseria e un firmamento di stelle nel cielo di un’Italia frantumata. Così è stato più facile – per i sopravvissuti – dimenticare la luce sinistra dei bengala e contemporaneamente far impallidire gli splendori di Hollywood, dando pure una lezione a quei simpaticoni degli americani che comunque ancora ci stavano sfamando.
… Gran cosa il volontariato, ormai è quotato pure in borsa. E soprattutto fa sentire gli adepti importanti e contemporaneamente a posto con la coscienza.
Il mistico del quartiere scomparve quando i lampioni al neon misero in fuga le ombre che la notte circolavano ai margini della strada e si inoltravano nel verde. Niente zanzare, niente mistico, niente pecore, niente prato rasato per i picnic. E scomparvero anche le automobili che di notte si inguattavano tra le piccole dune della terra, rifugio sicuro per coppiette irregolari.
All’Anziana Signora pareva un sessantottino sfuggito alle maglie della storia, un sopravvissuto alle cesoie del politically correct. E siccome lei era arrivata troppo tardi per le barricate e troppo presto per la rivoluzione sessuale, con la vecchiaia cercava simulacri che la confortassero e dessero un senso al non vissuto. Cercava appigli nel presente per dimenticare che cinquant’anni prima, mentre alla sede del partito urlava rivendicazioni, pensava al marito che a casa brontolava per la cena che tardava.
La capitale sopravvive a ogni distorsione. La lupa offre le tette alla fame e all’infamia.
Per concludere
Il Dono, nonostante il finale sia più sottilmente aperto di quanto non sembri a prima vista, è un’opera che non ci riconcilia con il presente storico e il titolo stesso lascia un retrogusto di amarezza. Il protagonista Renato ha assaporato nel tempo breve di poco più di un mese la possibilità di una rinascita che è avvenuta, ma pur sempre in modo rocambolesco e incompiuto. Quanto alla nostra contemporaneità, nonostante gli esempi di solidarietà attiva, la presenza discreta e corale di un tessuto sociale che resiste alla durezza dei tempi, nessuna palingenesi ci aspetta. Concludo allora con un’ultima citazione, alla fine della notte magica, quando Renato si risveglia al mattino dal suo sogno ad occhi aperti:
… Non c’è traccia di astronave, il futuro gli ha strizzato l’occhio e se ne è fuggito. Si è beffato di lui perché il futuro è una carogna bugiarda. Lontani gli orologi di piazzale Tosti scandiscono il tempo per chissà chi …